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DRAWN-OUT – Conversazione con François Ghebaly

Intervista di Gaia Grassi — Fino al 10 febbraio la rhinoceros gallery ospita la mostra collettiva DRAWN-OUT realizzata in collaborazione con la galleria François Ghebaly di Los Angeles, Hollywood e New York e composta dalle opere di 10 artisti – Ann Leda Shapiro, Danielle Orchard, Jessie Makinson, Max Hooper Schneider, Meriem Bennani, Mike Kuchar, Patricia […]

DRAWN-OUT – rhinoceros gallery, Roma – Installation views – Crediti Simon d’Exéa
Ross Simonini, The Fars, 2019, ink, watercolor and trace minerlals on paper

Intervista di Gaia Grassi

Fino al 10 febbraio la rhinoceros gallery ospita la mostra collettiva DRAWN-OUT realizzata in collaborazione con la galleria François Ghebaly di Los Angeles, Hollywood e New York e composta dalle opere di 10 artisti – Ann Leda Shapiro, Danielle Orchard, Jessie Makinson, Max Hooper Schneider, Meriem Bennani, Mike Kuchar, Patricia Iglesias Peco, Ross Simonini, Sascha Braunig, Sayre Gomez e Sharif Farrag – che si sono confrontati con il tema del disegno. Non è la prima volta che Ghebaly espone a Roma negli spazi di Via del Velabro, già lo scorso giugno aveva portato dagli Stati Uniti una rosa dei suoi artisti. Il progetto rappresenta l’inizio di una serie di collaborazioni tra la rhinoceros gallery e diverse realtà artistiche internazionali, per permettere loro di conoscere e confrontarsi con un ambiente particolarmente ricco di tradizione come quello romano. 

Segue l’intervista con il gallerista —

Gaia Grassi: La mostra, come anticipa il titolo DRAWN-OUT, si concentra interamente sul disegno contemporaneo e le sue declinazioni. Trovo che sia un tema coraggioso, che pone l’accento su una tecnica fondamentale della pratica artistica. Cosa ti ha spinto a fare questa scelta?

François Ghebaly: Ammiro molto questa tecnica, trovo sia il fondamento di tutte le pratiche artistiche. Anche quando gli artisti sperimentano altri mezzi, alla fine ritornano sempre al disegno. Che si tratti di scultura, di pittura o persino di multimediale, c’è sempre uno schizzo e c’è sempre un disegno. Credo sia un modo molto significativo e diretto di esprimersi, il passare dalla mente alla carta, ma anche per fare ricerca e questo è un aspetto molto prezioso. In mostra è esposta una vasta gamma di artisti e pratiche con approcci molto diversi alla carta. Ad esempio, queste opere di Sascha Braunig sono disegni preparatori basati su delle sculture che realizza lei stessa. Sascha è una pittrice molto precisa, per ideare i suoi dipinti si basa su dei set abitati da miniature, a volte nemmeno così piccole, che la aiutano a definire l’idea che ha in mente. Da qui, realizza prima i disegni preparatori e poi i quadri.

GG: Questi disegni sono molto piccoli e delineati. I quadri invece?

FG: Spesso sono grandi. La precisione con cui delinea le figure è impressionante. Visto che lavora da osservazioni reali, applica uno studio molto accurato alla luce e alle ombre. Anche il modo in cui la carta o la ceramica si piegano è molto verosimile.

GG: Mentre osservavo la mostra prima del tuo arrivo, mi stavo chiedendo come mai fossero incluse anche opere realizzate con altre tecniche, nonostante il tema principale della mostra sia il disegno. Ad esempio, qui a destra vedo della pittura ad olio, lì in fondo una scultura. In che modo tutto ciò è stato messo in dialogo?

FG: All’interno della mostra non ho voluto solo includere opere che fossero realizzate nel senso stretto del disegno, ma tutto ciò che rappresentasse un momento di studio, un qualcosa di propedeutico. Come nel caso di Patricia Iglesias Peco: lei di solito lavora su una scala più ampia, su tela intendo, mentre questi oli su carta sono come dei bozzetti. Qui elabora composizioni che espande poi in un’immagine più grande. Nei suoi lavori c’è sempre una componente sperimentale sul tipo di pittura e viscosità che utilizza. 

GG: Devo dire che l’effetto è molto particolare. Come è riuscita a ottenere un risultato del genere con la pittura ad olio?

FG: Lei utilizza la pittura quasi liquida che poi sposta all’interno del suo piano di lavoro. È come se stesse cerando di rimuovere informazioni dalla pittura con il pennello, lasciandone solo la traccia.

Mike Kuchar, Fresh Air, 2022, pencil, pen, felt pens, ink on paper

GG: Invece, mi potresti raccontare di Max Hooper Schneider? Qui vedo esposti sia una sua scultura sia un disegno. 

FG: Max per me è un artista massimalista, per questo credo fosse interessante mostrare un suo disegno. Ha una pratica molto ambiziosa, lavora con delle sculture che costruiscono interi ambienti. A volte queste sculture si condensano in oggetti che uniscono al loro interno innumerevoli aspetti, come la natura, anche nel suo stadio di decomposizione, e ciò che le risponde, il rifiuto per tutta una serie di oggetti e per il capitalismo. Tutti questi elementi insieme si trasformano poi in qualcos’altro. Mi piace molto questo suo aspetto. Questa scultura in particolare ricorda un tempio, anche se in realtà si tratta di una gabbia per uccelli. I disegni al contrario li sento molto diversi, mostrano un altro aspetto della sua pratica. Max è un artista iperattivo che fa costantemente cose, tanto che io a volte mi trovo a doverlo arginare. È un pioniere. E questo disegno mostra un altro tipo di precisione, di cura e di ossessione che fa parte della sua pratica.

GG: Sì. È molto diverso.

FG: Questo dipinto invece è di un’artista settantenne che si chiama Ann Leda Shapiro. Ho appena iniziato a collaborare con lei, ha un background molto interessante. Negli anni ’60 si trovava a New York e, da giovane, è stata protagonista di una personale al Whitney Museum of American Art. La mostra fu censurata perché mostrava strani corpi ermafroditi con un particolare comportamento sessuale. Fu anche uno dei membri fondatori di un gruppo femminista molto importante chiamato The Guerrilla Girls. Alla fine si trasferì sulla costa occidentale, a Northwest Seattle, dove ha iniziato a studiare agopuntura e medicina orientale e a realizzare questi lavori. Alcuni sono sul corpo, altri sembrano più dei paesaggi che si fondono con l’energia che scorre al suo interno, con il presente e con il corpo, secondo i principi della medicina cinese. Diventa una sorta di coscienza ecologica. Questa energia della città che scorre secondo me funziona bene con Max. Inizieremo a collaborare con Ann a breve, faremo una prima mostra a New York in primavera.

GG: In opposizione a queste opere che sperimentano con diversi medium, l’opera di Sayre Gomez sembra ricordare un disegno in senso classico, anche se guardando più attentamente alcune parti sono come stampate. Da dove nasce quest’opera?

FG: Questo è un pezzo molto interessante. Sayre Gomez è un pittore di Los Angeles molto conosciuto. Ha poco più di 40 anni, ma ha realizzato opere che ora stanno influenzando il panorama artistico a lui vicino. Si tratta di una rivisitazione del paesaggio della pittura americani, ma in chiave dura e realistica. Sayre in Untitled (2023) sta rappresentando come la fase tardiva del capitalismo americano stia influenzando il paesaggio in molti modi. A Los Angeles in particolare, si vedono molte rovine moderne, contemporanee e scioccanti. In queste rovine non si vedono quasi mai persone, ma piuttosto detriti e dettagli di distruzione. Quella è una Tesla, credo. Di solito Sayre fa opere iperrealiste con l’aerografo, sono davvero impressionanti. Ma questo disegno mostra un effetto inverso della tecnica sviluppata per l’aerografo: ha usato un sistema molto complesso di stencil tipo di vinile che vengono applicati sulla vernice e poi rimossi. Ciò gli permette di identificare e isolare molti dei diversi dettagli dell’immagine. Ci sono alcune linee che sono disegnate a mano, ma il vinile è ancora presente. È come se ci fosse un collage decostruito.

DRAWN-OUT – rhinoceros gallery, Roma – Installation views – Crediti Simon d’Exéa
DRAWN-OUT – rhinoceros gallery, Roma – Installation views – Crediti Simon d’Exéa

GG: Questo vinile mi ricorda i retini, quei fogli di acetato colorati, trasparenti e autoadesivi che si utilizzavano in architettura quando si disegnava ancora a mano. 

FG: Sì, ricorda anche un sistema di disegno computerizzato fai-da-te. E poi ci sono aree in cui il vinile è posizionato sopra la pittura, come se si ribaltasse la tecnica, scomponendola in parti e introducendo nuovi modi per costruire o decostruire l’immagine. È la prima opera che ha fatto con questa tecnica. Ci sta lavorando da molto tempo e sento che sia molto riuscita, è molto intelligente.

GG: Parliamo di Roma. Questa è la seconda mostra che presenti alla rhinoceros gallery. Come ti trovi a Roma?

FG: Roma è meravigliosa.

GG: E il mercato? Come vedi l’ambiente artistico di Los Angeles rispetto a quello di Roma?

FG: Non si può paragonare, è così diverso. Ci sono forse delle somiglianze in termini di ritmo rispetto alle città sorelle. Roma è più grande, ma l’area metropolitana di Los Angeles è di 18 milioni di persone. È semplicemente pazzesco, così grande. Ma è una situazione diversa, un rapporto diverso con l’arte contemporanea. Ovviamente Los Angeles è una città contemporanea americana molto moderna. Lì i collezionisti non hanno molta storia e tradizione alle spalle, al contrario di quelli italiani. C’è molta educazione da fare. Qui i collezionisti hanno una visione culturale così ampia che l’arte contemporanea a volte non è abbastanza. Stamattina sono stato ai Musei Vaticani ed è proprio vero che una volta che hai visto la Cappella Sistina diventa difficile guardare con gli stessi occhi qualsiasi altra cosa.

GG: Parlando però da un punto di vista di un locale, questa può essere un’arma a doppio taglio. È molto difficile fare qualcosa di nuovo qui, con l’enorme patrimonio culturale che custodiamo. 

FG: Questo è anche il vecchio mondo e forse proprio qui sta la bellezza dell’America. È come se gli americani avessero fatto tabula rasa. Continuano a distruggere e a muoversi in avanti. Ma detto questo, sento che ci sono molte realtà interessanti qui a Roma adesso. Penso che l’Italia si trovi in un buon momento e Roma è la capitale, anche se si parla di più del Nord. Ma per quanto riguarda il contributo alla storia dell’arte, anche contemporanea, con tutti gli artisti che arrivano a Roma e le giovani realtà che si stanno sviluppando, il terreno è molto fertile. Ci sono tanti addetti ai lavori che stanno facendo cose e non se ne stanno andando. Sono qui. Ed è un cambiamento enorme. Mi viene in mente Cloé Perrone, che mi ha invitato, ma anche Luca Lo Pinto. Sento che ci sono molte persone davvero interessanti che potrebbero scegliere di essere altrove e invece rimangono qui. È un segno positivo per il futuro della città. Per quanto riguarda i collezionisti, Roma è una tappa fondamentale, un must. Il mercato è un po’ diverso, ma credo di aver fatto incontri e connessioni interessanti che mi porterò per il resto della mia vita. Non ero mai stato a Roma prima di iniziare questo progetto. 

GG: Come mai hai deciso di fare questa mostra proprio a Roma, anche se non ci eri mai stato?

FG: Oltre all’invito ricevuto, sentivo che c’era qualcosa che mancava nella mia vita. Mi sono trasferito negli Stati Uniti quando avevo 20, 21 anni. Ho viaggiato a lungo, ma ho anche una vita molto impegnata. Non mi era mai capitato un progetto a Roma, sono stato in molti altri posti, ma non qui, cosa che consideravo come un fallimento per uno che, come me, ha studiato arte. Dovevo assolutamente rimediare e mi hanno dato un’opportunità incredibile. Per ricollegarsi alla mostra, una delle idee era anche scegliere opere che sfidassero un po’ la gerarchia di genere, specialmente qui a Roma, dove ci sono sempre state tante regole, a volte anche piuttosto sessiste. Per questo ho deciso di includere artisti come Danielle Orchard che esamina il corpo della donna come un soggetto che conosce in prima persona. È un cambiamento molto grande rispetto ai modernisti e al modo in cui guardavano al corpo femminile e alla sua rappresentazione, in un certo senso pubblicizzandolo. Poi c’è Mike Kuchar, un’icona gay degli anni ’60. I suoi sono fumetti gay e underground raccontano l’identità molto specifica degli uomini queer americani, prendendo ispirazione anche dalla statuaria antica. È molto erotico, ma in modo molto umoristico. Ho pensato che fosse divertente portare questi lavori anche al di fuori del contesto in cui sono nati. 

Max Hooper Schneider, Seafoam Textile, 2008, pen and marker on paper
DRAWN-OUT – rhinoceros gallery, Roma – Installation views – Crediti Simon d’Exéa