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Space as a duty of care | Galleria Studio G7, Bologna

– Testo di Giulia Giacomelli – Oltrepassando visivamente la vetrata della Galleria Studio G7 di Bologna, l’ambiente della collettiva Space as a duty of care (fino al 20 settembre) curata da Daniele Capra si espande oltre i suoi stessi confini e diventa parte integrante del mondo. Il titolo esemplifica chiaramente il tentativo di conciliazione nel confronto tra […]

Space as a duty of care, Galleria Studio G7, Bologna | Courtesy degli artisti e Galleria Studio G7, Bologna | Foto Francesco Rucci

– Testo di Giulia Giacomelli –

Oltrepassando visivamente la vetrata della Galleria Studio G7 di Bologna, l’ambiente della collettiva Space as a duty of care (fino al 20 settembre) curata da Daniele Capra si espande oltre i suoi stessi confini e diventa parte integrante del mondo. Il titolo esemplifica chiaramente il tentativo di conciliazione nel confronto tra spazio e cura alla luce del “duty of care”, un principio anglosassone che implica un coinvolgimento consapevolmente attivo verso ciò che appartiene a tutta la comunità. La pratica degli artisti in mostra è accomunata da un senso di profondo rispetto per la tridimensionalità della materia e per la molteplicità delle sue restituzioni tattilo-visive. Le opere esposte sono tali in quanto rispondono a quell’esigenza intrinseca di “aboutness”, senza la quale, come scrive lo stesso Capra, “dovremmo considerarle come dei manufatti ordinari e convenzionali”: esse, valorizzando il sentimento di cura, si integrano armoniosamente nello spazio e invitano chi osserva ad apprezzare le qualità tangibili e immaginifiche che esso può offrire. Foot-Neck Wallspine (2012-2013) di Simon Callery (Londra, 1960) tenta già dal titolo di rispondere a questa possibilità, proiettando un’immagine antropomorfa al di fuori di se stessa. Adottando gli schemi visivi della Minimal Art, Callery lavora lungo i margini delle definizioni di pittura e scultura, dando forma ad oggetti fisici che possano facilmente relazionarsi allo spettatore in quanto essere altrettanto fisico, impegnandone l’attenzione, e dunque la responsabilità. Il dipinto, infatti, tradizionalmente relegato al muro, è qui in completo aggetto e si inserisce quasi come un ostacolo alla normale fruizione della mostra. Parte di una serie molto ampia, questi “contact paintings” hanno come filo conduttore il paesaggio, la cui concretezza è pienamente tangibile dagli avvallamenti volumetrici di cui Callery ha fatto la sua cifra stilistica.

Space as a duty of care, Galleria Studio G7, Bologna | Courtesy degli artisti e Galleria Studio G7, Bologna | Foto Francesco Rucci

Con Anneke Eussen (Kerkrade, 1978) la pittura non pittura di Callery diventa a tutti gli effetti scultura murale. La cura di Eussen nel riportare all’attenzione ciò che è finalizzato a non essere visto e potenzialmente gettato si riflette sul reimpiego di materiali di scarto provenienti da fonti differenti. L’impossibilità di una loro ricostruzione storica apre allo spettatore infinite variabili sulle rispettive funzioni originarie di tali oggetti, che vengono così inseriti in un tempo attuale che apre nuovi significati verso spazi futuri. Nel caso di Lifting the outlines 22 (2022), Eussen assembla all’interno di una scatola in plexiglass dei frammenti di vetro provenienti da un’automobile, applicando una sovrapposizione che sembra delineare i confini interni di una mappa immaginaria. La stessa logica viene applicata anche nell’equilibrio bilanciato di There is no going back (2020), in cui le pesanti lastre marmoree appartenenti al precedente pavimento della biblioteca statale di Berlino sono tenute in sospensione tramite degli esili fili. Un equilibrio precario invece è quello che si innesta in Alzarsi o cadere (2015) di Silvia Stefani (Bassano del Grappa, 1974). Osservando quest’opera, la cui cura è sollecitata piuttosto che esposta, è impossibile non provare un senso di coinvolgimento empatico che spinga a voler intervenire per evitare che il cavalletto piegato cada a terra. Le linee spezzate e gli angoli aperti sembrano seguire la conformazione meccanica di corpi umani in lotta perpetua con le proprie forze e debolezze, e la cui restituzione, interagendo con l’ambiente circostante, ne viola l’armonia e la sicurezza. Un bisogno di spazio che è allo stesso tempo fisico e mentale.

Space as a duty of care, Galleria Studio G7, Bologna | Courtesy degli artisti e Galleria Studio G7, Bologna | Foto Francesco Rucci

Essendo lo spazio fisico concretamente misurabile, le distanze ne rappresenterebbero gli strumenti d’indagine. L’installazione Completed with the first (2022) di Goran Petercol (Pola, 1949) sovverte, tuttavia, il concetto di vicinanza relativo allo spazio intermedio che s’interpone tra due oggetti: punto focale dell’opera è un proiettore di luce che illumina una porzione ritagliata di foglio dal quale s’intravede il muro sottostante. La luce genera un ambiente all’interno dell’ambiente, la cui distanza non è necessario che sia quantificata, poiché è la forma che essa assume ad avere rilevanza in un tale rapporto di vicinanza virtuale. L’atto di cura della luce, che collega visivamente il foglio di carta al muro sottostante tramite la porzione ritagliata, crea un’indagine sulla percezione spaziale che va al di là della misurabilità delle distanze, concentrandosi sulla relazione visiva e sulla connessione tra gli elementi. Connessione, continuità e forma rivelano inevitabilmente l’approccio topologico-matematico dell’autore, il quale si fa portavoce dell’esplicazione di una metafora più ampia sui rapporti umani, i cui legami decostruiscono il concetto di vicinanza fisica attraverso una percezione condivisa delle cose. Delimitare per attenzionare. Con i martelletti del pianoforte di Etude (2023), Jacopo Mazzonelli (Trento, 1983) circoscrive come Petercol una porzione di muro, in questo caso a forma di elisse. L’applicazione della geometria nel mondo fisico, solitamente intesa piuttosto come un’astrazione concettuale, trova la sua perfetta corrispondenza nella musica che, anche qualora dovesse essere assente, si concretizza negli elementi tridimensionali da cui essa nasce, come gli stessi strumenti. Mazzonelli lascia come unica traccia visiva i martelletti del pianoforte, che diventano il mezzo attraverso il quale immaginare la melodia che potrebbero produrre laddove venissero sfiorati e che, a loro volta, hanno compimento nella libertà immaginifica di ognuno. Si crea così un ponte tra l’astrazione concettuale e la realtà fisica, in cui la cura della gestualità emette un eco nella memoria segnica che si deposita sugli oggetti.

Space as a duty of care, Galleria Studio G7, Bologna | Courtesy degli artisti e Galleria Studio G7, Bologna | Foto Francesco Rucci
Anneke Eussen, Lifting the outlines 22, 2022, antique glass and nails in plexiglass frame, cm 23 x 23 | Courtesy of the artist and Tatjana Pieters, Ghent | Photo Francesco Rucci