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Viafarini Open Studio – Gruppo Tretre

Testo di Anna Del Torchio  — Esistono spazi di profonda intimità, e al pari della propria stanza, tra questi non è esagerato annoverare lo studio d’artista. Colmo di elementi e oggetti personali, lo studio rispecchia inevitabilmente l’attitudine dell’artista e della sua persona; parla della sua pratica anche quando l’artista è assente. Anche rispetto all’opera che […]

Liana Ghukasyan – Viafarini Open Studio

Testo di Anna Del Torchio  —

Esistono spazi di profonda intimità, e al pari della propria stanza, tra questi non è esagerato annoverare lo studio d’artista. Colmo di elementi e oggetti personali, lo studio rispecchia inevitabilmente l’attitudine dell’artista e della sua persona; parla della sua pratica anche quando l’artista è assente. Anche rispetto all’opera che l’artista realizza, visitare uno studio invita a un altro approccio. Permette di vedere la temporalità del lavoro, il processo concettuale e manuale senza il quale l’opera non esisterebbe. Forse l’opera è meglio contestualizzata in questo luogo, più che in quello uniforme e statico della galleria?

Visitare lo studio d’artista, inoltre, libera il pubblico da certe etichette comportamentali, o almeno, gliene richiede altre, probabilmente meno impostate. Infatti, in maniera più conviviale rispetto a una generale inaugurazione, una sera di maggio gli artisti e artiste di gruppo Tretre hanno aperto le porte del loro studio condiviso presso Viafarini.work. Per l’occasione, in un labirinto creato dalle diverse postazioni, è stato possibile aggirarsi tra i lavori degli undici artisti presenti.

Le ricerche e i media utilizzati sono eterogenei. Tra memoria sacralizzata e monumenti profani si muovono, per esempio, Lucrezia Costa (1996) e Lorenzo Montinaro (1997). La prima, con una scultura minimale intitolata extra matter symbiosis, ricongiunge simbolicamente due olmi millenari inglesi, a memoria di una connessione viscerale che li univa fin dalle radici; il secondo, oltre a essere egli stesso manifesto funebre – dopo la performance eseguita con l’artista Jacopo Benassi l’anno scorso in occasione dell’open studio di Viafarini –  monumentalizza parole di appunti fugaci in epitaffi, cristallizzandole nel marmo.
Entrambi sembrano compiere il tentativo di salvaguardare le tracce di qualcosa che fu. Con lo stesso scopo agisce Gianluca Tramonti (1992), installando striscioni di manifestazioni prelevati dalla strada, i cui segni grafici diventano testimonianza di gesti, pensieri e rivolte. Nello spazio di Francesca Migone (1989), invece, sono gli attrezzi del mestiere a trasformarsi in traccia dell’opera. Appunti, modellini, libri manifestano la ricerca e lo studio intenso compiuto dall’artista; il suo tavolo è un paesaggio immaginato di calchi e filati metallici.
Per Ludovico Orombelli (1996) e Carlo Galli (1981), invece, il gesto manuale è centrale. Il primo prosegue nello studio dello spolvero, tecnica tradizionale di preparazione all’affresco. Sulla parete si trova, svuotata dai soggetti protagonisti, la riproduzione di un’architettura di Beato Angelico. Lo studio di Orombelli diventa dunque una sorta di anticamera di questa, attivando una relazione unificatrice tra fruitore, spazio e oggetto artistico. Galli, la cui ricerca deriva originariamente dalla street art ma con un approccio più intimo, mostra invece diversi lavori pittorici caratterizzati da colori vivaci e pattern ipnotici.

Ludovico Orombelli – Viafarini Open Studio
Lorenzo Montinaro – Viafarini Open Studio

Lo studio è anche il luogo in cui è possibile vedere il cambio di traiettoria dell’artista, ricerche e sperimentazioni febbrili, prima che queste finiscano per confrontarsi con le aspettative del pubblico. In questo senso, Francesco Pacelli (1988) ricombina in maniera diversa materiali già utilizzati precedentemente, ottenendo sculture (Utopias) che si distaccano dalle forme più organiche su cui ha già lavorato.
Mentre si cammina per lo spazio, una cantilena ripetuta fa da sottofondo e conduce al video FIAT 633NM di Eleonora Roaro (1989), esposto l’anno scorso nella mostra torinese “Scenografie coloniali. FIAT 633NM di Eleonora Roaro”. Senza retorica, l’artista scava nell’archivio di famiglia per analizzare e decostruire saggiamente l’immaginario delle imprese coloniali durante il fascismo, assumendosi la responsabilità di un compito sempre più necessario.

Cosa succede invece quando l’opera ritorna allo studio dopo l’esposizione? Gravita nuovamente nell’orbita dell’artista ed è potenzialmente soggetta a revisioni e nuove contestualizzazioni. Pare così che l’installazione Indiscret di Vincenzo Zancana (1991), realizzata per Spazio Bidet, e le sculture simili a quelle presenti nella mostra “Props” di Andrea Bocca (1996) a Palazzo Monti, riacquistano una sorta di dinamicità nello spazio dello studio. Dunque la mostra sembra rappresentare una delle tappe, momentanee, del processo di creazione. È probabilmente la parola ‘processo’, infatti, a definire la natura dello studio d’artista e ciò è particolarmente visibile nello spazio di Liana Ghukasyan (1986), dove una dozzina di quadri si trova appoggiata a terra, un dipinto sopra l’altro. La disposizione delle opere, non esposte, non invita a una fruizione statica, piuttosto lascia immaginare il tragitto dell’esistenza delle stesse, la temporalità che va dal primo spunto, alla realizzazione, al confinamento, alla riconsiderazione.
Lo studio condiviso del gruppo Tretre rappresenta insomma un luogo di creazione eterogenea e incarna un contesto fervente, dinamico. In esso si percepiscono con più forza la temporalità e la ricerca alla base della pratica artistica, che è sempre in movimento. Lo spazio è accogliente, le opere non sono mai davvero concluse, l’artista si veste meno da artista e il pubblico fruisce probabilmente con più attenzione e consapevolezza.

Gli studi di gruppo Tretre si trovano in Viafarini.work, via Marco D’Agrate 33/31 – Milano 

Carlo Galli – Viafarini Open Studio