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Marco Vitale – Transwestern | VOGA Art Project

Testo di Ambra Abbaticola — “Il binarismo di genere è un costrutto coloniale” questa la scritta tracciata sulla vetrina principale che accoglie i visitatori della mostra di Marco Vitale, presso lo spazio indipendente VOGA Art Project in via Curzio dei Mille 58, a Bari (dal 4 al 6 giugno 2023). Come un palinsesto sopravvissuto allo […]

Marco Vitale – Installation view Transwestern, Courtesy the Artist and VOGA Art Project, Bari
Marco Vitale – Installation view Transwestern, Courtesy the Artist and VOGA Art Project, Bari

Testo di Ambra Abbaticola

“Il binarismo di genere è un costrutto coloniale” questa la scritta tracciata sulla vetrina principale che accoglie i visitatori della mostra di Marco Vitale, presso lo spazio indipendente VOGA Art Project in via Curzio dei Mille 58, a Bari (dal 4 al 6 giugno 2023). Come un palinsesto sopravvissuto allo scorrere del tempo, il messaggio realizzato con gesso liquido funge da punto di soglia, e forse di non ritorno, nei confronti delle logiche binarie che hanno lungamente scandito – e tuttora scandiscono – il rapporto io-mondo della civiltà occidentalizzata.
Marco Vitale è un’artista pugliese, la sua sua ricerca risente di un approccio quasi etnografico, in cui l’artista quale moderno antropologo osserva la realtà prismatica che gli si palesa davanti: ne risulta un concretizzarsi artistico che tende spesso ad un manufatto invendibile, il quale schiacciato dalle proprie stratificazioni trattiene in sé una performatività endemica, che vive surrettiziamente nei meccanismi che innesca e – soprattutto – nell’esperienza di chi osserva.
La mostra si compone di tre parti che articolano metaforicamente la presa di coscienza dello spettatore, nei confronti di verità parzialmente rivelate o malcelate che s’impernano su questioni quali il binarismo di genere come costrutto sociale di ascendenza coloniale, il transgenere come realtà plurisecolare testimoniata dalle idolatrie sacre di molte culture, la profonda emendazione e “igienizzazione” storica di cui noi occidentali siamo stati, e siamo ancora, spettatori.
L’installazione all’interno dello spazio consta di nove poster appesi lungo le pareti; le immagini che vi compaiono sono disposte in sequenze arbitrarie che rimandano alla raccolta di appunti o a documenti sparsi sulla schermata di un computer. Idoli, pittogrammi, pseudo-individui e paesaggi, diventano tasselli di un’archeologia impossibile. Se da una parte infatti le immagini realizzate dall’artista tramite un
AI, ricostruiscono le prime tracce della nascita dell’individuo con due sessi, palesando scenari fittizi di storie mai avvenute, dall’altro recano in sè il dubbio etico nei confronti di secoli di censura operata a discapito di quei particolarismi culturali considerati da sempre “minori”. La performance, terzo momento della mostra, si anima nel cortile esterno dello spazio ed è eseguita nella forma di reading pubblico. Il lungo testo, diviso in quattro capitoli, è composto da stralci ricavati da una collezione di scritti che spazia da autori come Barthes, Artaud, van der Post ed Elémire Zolla. Durante la lettura ai partecipanti è stato chiesto di disporsi in cerchio e girarsi di spalle per favorire un esercizio di ascolto, posto che l’artista, nell’atto del muoversi e del leggere, non può essere recepito da tutti con la stessa chiarezza e intensità. Così chi ascolta è stimolato a mettere in atto differenti modalità di attenzione, e altresì ad abbandonarsi alla parzialità della percezione, cullato dalla risacca della voce che va e viene sommandosi ai rumori della città e alla vita del quartiere. In questo senso Voga stesso si configura come spazio – atollo – dell’eterotopia, ossia utopia realizzata, dove in un breve lasso di tempo, un tempo che diventa performativo, un gruppo di persone acquisisce nuove coordinate storico antropologiche in grado di riorientare la propria visione del mondo.
“Più scavi nel tempo, più vaghi per le geografie e più si realizza non l’immagine naturale di un binomio, ma una doppia castrazione imposta sulla natura. È tempo di scavare, recuperare, ricordare che cosa è intimamente un essere umano, un animale, una pianta, una pietra: i loro versi, i loro sessi, i loro sensi – il cangiante e ciò che è attraversato. Tutto ciò che possiamo realmente dire sia nostro in quanto umano”, cosi riporta il foglio di sala, o sarebbe meglio dire la lettera-epitaffio che Vitale dedica alla scomparsa di Cloe Bianco, professoressa transgender che si è data la morte a seguito di una revisione del suo ruolo all’interno dell’istituzione scolastica, dopo il coming out come donna trans. Il fatto di cronaca, avvenuto un anno fa, costituisce il legante fra castrazione culturale e castrazione sessuale, base teorica su cui s’incentra Transwestern.

Se è vero, come dicevano Jacques Derridà e Roland Barthes, che non esiste una realtà extra-testuale, tracciando segni che diventano confini e poi aree di consapevolezza, con Transwestern Marco Vitale vuole metterci di fronte alla necessità di riguardare le categorie di riferimento che ordinano la realtà.