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Lauren Wy – The Vagabond and the Lovers | Société Interludio | Intervista con Allegra Fantini

In occasione della prima mostra personale dell’artista americana Lauren Wy (Los Angeles, 1987)dal titolo The Vagabond and the Lovers, abbiamo posto alcune domande alla curatrice Allegra Fantini. Ospitato fino al 28 maggio da Société Interludio il nuovo progetto espositivo è tutto declinato al femminile e presenta un’operazione site specific dedicata agli ultimi 2 capitoli di […]

Lauren Wy, L’acqua del corpo, Oil on Canvas, 160 x 195 cm, 2022, ph Stefano Mattea
Lauren Wy, The Vagabond and the Lovers, installation view (Room 2) @ Photo stefano mattea

In occasione della prima mostra personale dell’artista americana Lauren Wy (Los Angeles, 1987)dal titolo The Vagabond and the Lovers, abbiamo posto alcune domande alla curatrice Allegra Fantini. Ospitato fino al 28 maggio da Société Interludio il nuovo progetto espositivo è tutto declinato al femminile e presenta un’operazione site specific dedicata agli ultimi 2 capitoli di Autodesire (numero 12 Il corpo di una cagna e 13 Io urlo per il tocco), all’inedita produzione scultorea di vasi in cemento e cera e alla recente serie di dipinti a olio realizzati su tela di varie dimensioni.
Oltre alla serie di opere presenti nella galleria in Piazza Vittorio Veneto, la mostra si sviluppa in un secondo percorso presso il Project Space di Société Interludio a Cambiano in via Torino 5, dove è presente un’ampia selezione di opere che ripercorrono le principali tappe e le ultime ricerche diLauren Wy. 

Seguono le domande alla curatrice Allegra Fantini —

Elena Bordignon: La mostra che curi di Lauren Wy, The Vagabond and the Lovers, presenta gli ultimi due capitoli di Autodesire. Mi puoi introdurre il progetto nel suo insieme? 

AUTODESIRE è un progetto iniziato da Lauren Wy tre anni fa circa, come parte del suo percorso di laurea alla North Western University di Chicago, Illinois. Si compone di 300 disegni, ciascuno dei quali viene montato su due piatti lignei rilegati in tessuto, a riproporre la struttura di un libro che può essere aperto o chiuso a piacimento. Si tratta di un progetto dalla struttura estremamente singolare – elemento che mi ha da subito intrigato un sacco, appena conobbi Lauren sei mesi fa: AUTODESIRE è nato inizialmente come un primo corpus di visual essays realizzati per il suo MFA, a partire dalle teorie di Giles Deleuze e Feliz Guatari. Il capitolo 1 è stato poi sviluppato fino ad arrivare alla creazione di proto-romanzo grafico, di cui i singoli disegni costituiscono le unità narrative, o canti che dir si voglia, per arrivare poi all’insieme di 12 capitoli che rappresentano la più generale narrazione.
Il protagonista del progetto è un personaggio femminile i cui principi cardine sono l’interesse personale e il piacere. Questa è la chiave di volta per la comprensione profonda di tutto il progetto nel suo insieme: grazie al suo ruolo di protagonista, antagonista in costante dialogo con se stessa e anche quale unico personaggio del progetto (si, i molteplici gruppi di figure non sono personaggi diversi, ma sempre lo stesso che si scinde in tanti fotogrammi) cogliamo il significato di AUTODESIRE come un vero e proprio romanzo visivo di autoteoria. Per quanto riguarda il background teoretico, AUTODESIRE in questo senso è tanto articolato quanto è articolata la costruzione formale e visiva dei disegni di Wy. Le fonti di ispirazione e alle quali l’artista fa riferimento sono molteplici e variegate: dai già citati Deleuze e Guatari, passando per antichi miti classici, la serie degli Insomnia Drawings di Louise Bourgeois, Otto Dix, fino ad arrivare alla cantica dell’Inferno della Commedia di Dante Alighieri. E dicendo tutto questo non sono arrivata neanche ad un terzo delle fonti che AUTODESIRE ingloba nei 12 capitoli. Questo mi porta a pensare al secondo aspetto della pratica artistica di Lauren Wy che mi ha subito affascinato: ognuna delle fonti che l’artista riconosce come ispirazione per temi e fili narrativi del racconto visivo, vengono digerite ed inglobate al punto da diventare irriconoscibili. Tale procedimento è ciò che permette all’artista di dare una forte connotazione autobiografica al lavoro, inserendo circostanze e situazioni viste e vissute in prima persona che, venendo così diluite nel tratto e nella narrazione, le permettono di raccontare la sua storia senza farlo in maniera esplicita. 

Lauren Wy, Twin Flame, 126x100cm, Oil on canvas, 2022, Ph Stefano Mattea

EB: L’artista ha un particolare rapporto con la materia pittorica. Come racconteresti questo suo “processo artistico inquieto, personale e multidisciplinare”? 

È un argomento del quale io e Lauren abbiamo parlato diverse volte nell’arco degli ultimi mesi. Per introdurre il discorso mi piacerebbe citare proprio una frase che mi disse mentre eravamo sedute al tavolino di un bar in centro a Torino. Wy si definisce una disegnatrice che dipinge; e io personalmente penso che, nel suo caso, altra definizione non potrebbe essere più efficace. Anche passando dai disegni, realizzati con pastelli ad olio su una base di acquerello, ai dipinti ad olio su tela si nota quanto la questione del segno sia centrale nella produzione dell’artista. Non a caso, infatti, se l’insieme dei disegni di AUTODESIRE costituisce il corpus di un romanzo visivo, le opere pittoriche sono più da intendere più come l’equivalente cinematografico della sua produzione: non qualcosa che va “letto”, ma osservato e contemplato. Il principio che governa la produzione di una delle sue opere è intuitivo, basato su un procedere graduale che prende forma e raggiunge la completezza sulla base di quello che è già stato tracciato. Lasciando temporaneamente la semantica in disparte, sia i disegni che le opere su tela partono da un fondo di colore realizzato accostando e sovrapponendo le tonalità tipiche della tavolozza di Wy. Il momento di equilibrio cromatico e delle varie porzioni di colore viene rivelato dall’opera stessa, quasi a colpo d’occhio. Analogamente, lo stesso accade con le linee che mano a mano si accumulano portando alla definizione delle forme.
Come dicevo, il processo ha una forte componente disegnativa che, trasportata in pittura e più recentemente anche sulle sculture, porta Wy alla sperimentazione multidisciplinare e alla ricerca di materie prime che facciano da cassa di risonanza alle tematiche che sottendono il lavoro. Per arrivare infatti a capire quali potessero essere i procedimenti di lavoro a lei più congeniali, l’artista ha dovuto sperimentare e testare numerose soluzioni materiali differenti fino a trovare la giusta soluzione. Ad esempio, tutti i dipinti su tela sono stati realizzati con pennelli hake di diverse dimensioni: si tratta di pennelli piatti e larghi, tipici dell’arte giapponese, che si sono rivelati gli strumenti migliori per la creazione di forme attraverso l’uso di linee anche in pittura. 
Come precedentemente spiegato nel caso di AUTODESIRE, la dimensione più “inquieta e personale” del processo permea anche la produzione pittorica e scultorea e risiede nel meccanismo di profonda interiorizzazione e assimilazione della teoria nell’ output formale e visivo del lavoro. 

EB: Wy infonde nella sua ricerca, molto vissuto personale. Ci racconti, a grandi linee, come avviene questo processo di scambio tra il suo lavoro e il suo vissuto? 

Penso che la maniera più fattiva di spiegarlo stia nel riconoscere che ogni scelta di materiali e soluzioni visive che caratterizzano la sua produzione derivi direttamente dal suo vissuto.
L’esempio più significativo è sicuramente il format di AUTODESIRE, nato dalla necessità personale di Lauren di processare il suo sentito e produrre durante un momento traumatico di crisi quale è stato la pandemia di COVID-19. Parallelamente, la protagonista femminile delle opere si presenta come una versione romanzata della sua persona, il suo background culturale ed le caratteristiche ambientali dei quartieri di South LA in cui è cresciuta diventano ciò che direziona la scelta dei materiali. La dimensione autobiografica riveste un ruolo determinante anche dal punto di vista ottico-costruttivo; gli strati di colore che si sovrappongono, si mescolano e dialogano tra loro rappresentano materialmente i ricordi di matrice autobiografica che affiorano nella mente dell’artista durante il processo produttivo. Le linee e le forme che da queste prendono vita non sono altro che esperienze e sensazioni che, una volta esplicitate graficamente, permettono un percorso di metabolizzazione e superamento del trauma. 

Lauren Wy, Un minuto verde, 160 x 195 cm, Oil on canvas, 2022, ph Stefano Mattea
Lauren Wy, AUTODESIRE CHAPTER 12 IL CORPO DI UNA CAGNA Installation view, ph Stefano Mattea

EB: La sua ricerca pittorica oscilla tra l’astrazione e il figurativo. Come descriveresti il suo stile pittorico? 

Considero il suo stile pittorico un’equilibrata crasi tra le due. Dico questo anche pensando al procedimento messo in atto per la realizzazione delle opere. Se, da un lato, la genesi delle campiture cromatiche, spaziali e volumetriche rivela la componente astratta dei lavori, queste sono poi il punto di partenza per la creazione di corpi ed elementi nello spazio astratto, che vengono delineati da un tratto che parte da un approccio figurativo che (per non entrare in dissonanza con lo sfondo) abbozza ma non definisce, risolvendosi quale ponte tra i due linguaggi pittorici. 

EB: Uno dei temi costanti dei suoi quadri e il ruolo e l’identità della donna. Perché l’artista è interessata ad affrontare queste tematiche? 

Possiamo dire che la centralità della donna nelle opere di Lauren assume il significato di un più generale gesto di rivincita e di presa di posizione identitaria della figura femminile nel mondo odierno. L’elemento distintivo della sua produzione, incentrata com’è su personaggi femminili, a partire dall’occhio di una donna è la presentazione di un percorso artistico che non tratta il femminismo ma la femminilità in senso stretto. Ecco quindi che al centro della narrazione troviamo personaggi – lei stessa o tutti i suo alter-ego (Leda e Diana per esempio si ritrovano in due suoi lavori in mostra) – che diventano eroine contemporanee che si destreggiano nell’universo dantescamente infernale che fa da contesto ai contenuti dei lavori. 

EB: A Torino l’artista presenta un’inedita produzione scultorea di vasi in cemento. Mi introduci questi nuovi lavori? 

La produzione scultorea presentata in mostra è inedita in tutti i sensi. Non solo perché sono le prime “sculture” realizzate da Wy nel corso della sua carriera artistica, ma anche perché nascono senza essere considerate in maniera pura e radicale delle sculture. Si tratta infatti di opere che vanno piuttosto considerate materializzazioni radicali di un ragionamento che permea le opere dell’artista: si tratta di trasformazione di materiali per creare superfici alternative per i dipinti. Fondamentalmente è anche il concetto che sottende il formato a libro della serie AUTODESIRE, qui proposto non declinando il medium del disegno, ma con la pittura ad olio. 
Ogni scultura prende forma colando una miscela particolare di cemento all’interno di vasi, bicchieri e damigiane di vetro, creando così dei calchi. La superficie di questi blocchi diventa così per Wy l’alternativa fisica alla canonica tela. Le composizioni figurative e gli accostamenti cromatici dei colori rimangono quelli caratteristici della produzione dell’artista. Cambiano in questo caso i materiali e la forma delle superfici, scelti ovviamente non in maniera casuale. Hanno, infatti, un duplice scopo: da un lato, costituiscono un ritracciare, recuperare e presentare i materiali che hanno caratterizzato la crescita della cultura visiva dell’artista – di qui, la scelta del cemento. La forma delle damigiane è, invece, un tributo, una celebrazione della città di Torino e delle sue tradizioni vinarie. 

Lauren Wy, The Vagabond and The Lovers, installation view (Cambiano Project Space)
Lauren Wy, The Vagabond and The Lovers, installation view (Cambiano Project Space)
Lauren Wy, Spider and Wax, oil on canvas, 126 x 200 cm (diptych), 2022