Intervista di Anna Del Torchio —
Ti sei formata all’estero, tra Londra e Amsterdam, in Dance Studies e Choreography. Ora hai deciso di tornare in Italia e sei approdata a Viafarini. Quali erano le tue aspettative sulla residenza artistica?
Sono spinta a dislocare la mia ricerca e il materiale che utilizzo in altre architetture e geografie per assistere a come quasi autonomamente si alterano e adattano o a come respingono un ambientee un pubblico nuovi. Altri scenari-sfondi. Questo processo è generativo ed essenziale per continuare a creare e per far sì che io possa accedere a molteplici prospettive e interpretazioni del materiale che creo.
Ho iniziato la mia esperienza artistica fuori dall’Italia; è la prima volta che mi trovo qui durante un processo creativo e di ricerca. Non avevo aspettative definite, solo un’intuizione sull’essere qui, che è emersa, senza una cornice definita. Sapevo che avrei voluto approcciare una nuova creazione in base a come mi sarei sentita, a chi avrei incontrato e cosa avrei trovato in e attraverso Viafarini.
La tua ricerca è interdisciplinare, si muove tra il video, l’installazione e la performance. Spesso utilizzi anche la forma della scrittura e del segno: in che modo essa influenza il tuo linguaggio artistico?
Fin da quando ero molto piccola sono sempre stata attratta dalle parole, dal linguaggio, dai simboli e dal processo di comunicazione tra esseri umani, animali e oggetti. Ancora di più mi affascina l’incomunicabilità verbale, il non detto, il celato. Tra criptico ed esplicito. L’ambiguità del linguaggio. Ho un rapporto-ricerca con la nozione di ambiguità e di ambivalenza come desiderio di indagare aspetti della realtà che tendono continuamente a sfuggire. I miei testi sono dei tentativi di sfida oppure dei conflitti con la nozione e la richiesta di coerenza. Scrivo molto, ma forse trovo ogni parola vuota, mi piacciono le interruzioni tra una frase e l’altra, la prima e l’ultima parola di un testo. E mi piacciono le parole devianti.
In vista dell’Open Studio stai trasformando uno spazio all’interno dell’archivio in un set per il tuo progetto installativo. Puoi raccontare qualcosa a riguardo?
Per l’opening di Viafarini presento JJJ-ACT WITHOUT. È un’installazione multimediale, che nasce appositamente per quello spazio chiuso in Archivio che ha fortemente influenzato la mia ricerca. È un’indagine sul rapporto tra architettura , ruoli di genere, messa in scena, controllo e potere. Oggetti, testi, immagini, personaggi e materiali sono intesi come una giustapposizione materica e concettuale – senza pregiudizi – di estetiche apparentemente opposte, che tendono ad evocare sentimenti coincidenti di desiderio e repulsione. È una struttura che mira, attraverso l’incontro con i corpi-sensi degli spettatori, a indurre a stati di dubbio, confusione e spaccatura verso una dimensione immaginativo-interpretativa personale e collettiva.
Mi interessa creare spazi che suggeriscono e contengono molteplici temporalità, dove si ha l’impressione che forse qualcosa sia già accaduto, sta accadendo e accadrà. Ogni spazio che creo è abitato da personaggi specifici, che sono guardiani o prigionieri dello spazio stesso. In questa prima fase saranno presenti in forma video, come un’allusione, un trailer indiretto. JJJ-ACT WITHOUT è un progetto che continuerà a svilupparsi durante tutto l’anno: in una seconda fase l’installazione sarà attivata dai personaggi stessi dal vivo, arrivando al teatro DE SINGEL, in Belgio, a Ottobre.