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Sean Shanahan da BUILDING a Milano | Intervista con l’artista e il curatore

Ha da poco inaugurato la mostra Cuore a Fette dell’artista irlandese Sean Shanahan. Ospitata negli spazi di BUILDING a Milano – dal 9 febbraio al 25 marzo 2023 – la mostra e a cura di Luca Massimo Barbero e ruota attorno alle riflessioni dell’artista sul tema della morte e dell’eternità. La mostra si sviluppa sui […]

Sean Shanahan – Installation view. – BUILDING Milano – Ph. Luca Casonato

Ha da poco inaugurato la mostra Cuore a Fette dell’artista irlandese Sean Shanahan. Ospitata negli spazi di BUILDING a Milano – dal 9 febbraio al 25 marzo 2023 – la mostra e a cura di Luca Massimo Barbero e ruota attorno alle riflessioni dell’artista sul tema della morte e dell’eternità. La mostra si sviluppa sui tre piani della spazio espositivo in un percorso che potremmo definire ascensionale. In occasione di questo importante appuntamento, abbiamo rivolto alcune domande all’artista e al curatore. 

Elena Bordignon:Anche se suddivisa sui tre piani della galleria BUILDING la mostra “Cuore a fette” è da considerarsi un progetto unico scandito in tre momenti. Qual è il fil rouge che lega i tre piani della mostra? 

Sean Shanahan: Il fil rouge è la pittura e lo spazio, il rapporto che si instaura tra queste due componenti. Ogni piano, come ogni quadro, funziona singolarmente ma una volta messi in relazione permettono al visitatore di percorrere quello che io stesso ho attraversato.

Luca Massimo Barbero: Con l’artista abbiamo costruito un percorso coerente all’interno del suo lavoro che ha tre spazi definiti e, allo stesso tempo, legati da un tema che è la pittura e la ricerca dell’artista, non intorno ma nella pittura. L’idea è come una sorta di gradum, nel senso che si parte da questa Danza Macabra, che non è da intendersi semplicemente come una danza macabra, ma ha un significato più ampio. È da considerare come ‘funebre’, ma è in realtà qualche cosa di più, legato all’idea del suono, del colore, all’idea di una drammaticità che può essere anche equivocata. C’è la necessità di trovare in un altro spazio l’incontro con la pittura intesa in modo essenziale; più come dialogo fra i colori resi forse evidenti dalla loro stessa cromia.
Salendo vi è una sorta di ascensione, paradossalmente in modo, se vogliamo, quasi dantesco: l’idea di passare attraverso le tenebre per tornare alla luce. Che è un po’ quello che accade anche nell’ultima parte della mostra dove si palesa l’idea di occhio, di prospettiva, dove il visitatore – che poi è l’“udente” di questi suoni di colore – riesce ad attraversare lo spazio e incontrare per la prima volta l’esterno. E questo accade dando le spalle a queste pareti che sono, “quasi sfiorando l’installazione”, nuovamente un timbro che si collega, come se fosse una sorta di abisso visivo, con l’inizio della mostra.

EB: In merito al foro centrale che contraddistingue tutte le opere in mostra, come leggere questo ‘buco’ – ma potrebbe anche essere un occhio – dove tutto sembra iniziare e finire?

Sean Shanahan: Il quadro emana dal buco, perché c’è il nero. Dal centro, si espande. Al primo piano i quadri sono molto più equilibrati, al di là dell’espandersi dal vuoto, c’è il tentativo di trovare un equilibrio tra il pieno e il vuoto che rende le opere più squisitamente pittoriche. Al secondo piano, è come se avessi tolto un velo. Lo spazio si è sviluppato fuori dal mio controllo: abbiamo usato in modo parassitico la luce vera, mettendo i quadri davanti ad essa. Se i quadri sono concepibili come delle maschere, se l’artificio è visibile, si vede pure l’occhio dentro alla maschera. Il senso del buco del quadro è un percorso che non si può spiegare chiaramente, non è controllabile perché io gestisco solamente ciò che sta attorno a quel centro vuoto. 

Sean Shanahan – Hysterical Aftermath 2022 olio su MDF 100 x 100 cm Ph. Luca Casonato

EB: Essenziali, dirette e concrete le sue opere raccontano, o rappresentano, grandi concetti esistenziali come la morte, la finitezza e l’eternità. Che percorso ha compiuto per raccontare questi temi complessi?

Sean Shanahan: Anche la questione della rappresentazione è un passo oltre, rispetto a quello che faccio.  Per metà le opere si “fermano” prima della manifestazione. Non le considero come delle rappresentazioni. La mia ricerca pittorica mi fa entrare nella vita, “I become”, “divento” lavorando.
La rappresentazione è un termine interpretativo che non mi appartiene. Lo so che ci sarà un momento in cui dovrò fare i conti con il significato.  Riesco sempre ad allontanare quel momento, ma ho la sensazione che si attui un perpetuo spostamento di questa conclusione. Il fatto di non chiarire questa conclusione, non significa che la mia ricerca sia ambigua; le opere non sono da considerarsi degli “incompiuti”, anzi, in un certo senso questo percorso acquista di significato proprio perché non raggiunge una chiara ‘finalità. Non vedendo la pittura come un problema, non sto cercando soluzioni attraverso di essa.

EB:Qual è la relazione tra la scelta di ‘imporre’ una visione frontale dei suoi lavori e la riflessione personale e intima sul tema della morte e dell’eternità? C’è un nesso tra la visione frontale e questi concetti?

Sean Shanahan: Cogliere la sfida… mi sembra la scelta più ambiziosa per me, quella che mi da di più, alla fine come inconclusivo, scegliere una cosa che arriva a una risposta, mi sembra inopportuno. 

Luca Massimo Barbero: Credo che l’idea della visione frontale sia non un’imposizione ma una sorta di percorso necessario, e non la vedo come una costrizione per quanto riguarda il visitatore, che può muoversi come vuole e scoprire che questa frontalità è spesso negata. Penso che la cosa importante sia la frontalità rispetto proprio all’idea della pittura e a come ci si pone di fronte a essa. Spesso questa libertà del rivelarsi, allo stesso autore, proprio in mostra, rivela un nuovo significato al concetto di ‘inconcluso’: è una potenziale apertura verso anche alla visione degli altri lavori in mostra. Ciò che si racconta qui è l’idea di una danza che chiede immobilità, silenzio, frontalità. Quindi la negazione del coinvolgimento dei sensi intesi come semplici agitatori della visione”.

Sean Shanahan – Installation view. – BUILDING Milano -Ph. Luca Casonato

EB: I dipinti in mostra sono inseriti in un contesto site-specific caratterizzato da una forte teatralità. Perché l’artista ha scelto questa struttura plateale nell’esporre il suo lavoro?

Luca Massimo Barbero: La tematica dell’allestimento è sempre molto articolato. Esporre, pensare o collocare delle opere nello spazio in modo specifico, è una finta verità perché ogni spazio viene mutato dalla presenza dell’opera, tanto più se queste opere sono state in un qualche modo – ritorno al termine della danza – orchestrate per questo spazio. Le opere sono state concepite in relazione all’installazione finale, ma non certo perché appartengono a questo spazio, ma perché interagiscono sia con la luce naturale o artificiale, sia con chi le guarda. 
Ritorno al concetto espresso in precedenza: non è lo spazio a essere modificato ma è l’opera che lavora nello spazio insieme a chi la guarda. Torniamo al tema della frontalità che è un tema centrale ma che si allarga al concetto di anomalia, che è tra le cose interessanti.

Sean Shanahan: È esattamente così. Pensare ad una mostra è un lavoro molto complesso, che a volte prescinde dallo stesso tema. Ad esempio, il tema della mortalità si può aggiungere a qualsiasi cosa, così come il tema della drammaticità. Ma poi, metter un piccolo quadro nero su un’enorme parete bianca è drammatico? Credo proprio di no…
Senza contrae che l’uso della drammaticità, dipende dai contesti. È come concepire un’opera per una mostra precisa e poi, la stessa opera viene esposta ad una fiera. Il senso cambia completamente. Quando vedo un mio quadro in fiera, allestito in uno spazio incongruo, lo sento come un orfano.  Questo progetto su tre piani, ho cercato di realizzarlo come mi sarebbe piaciuto immaginarlo. Ma è una mia visione che, naturalmente, cambia a seconda di chi guarda le opere e vive lo spazio. 

EB: La scelta dell’MDF (medium density fireboard) come supporto per la sua pittura ha più di una motivazione. Ci può raccontare, il perché di questa scelta?

Sean Shanahan: Quando ho cominciato a dipingere sua tela, ero consapevole che fosse talmente storicizzata. Se prendevi due tele e le mettevi insieme, diventavano dei dittici, se ne prendevi tre diventava un trittico, è come se si lavorasse con i piedi inchiodati al pavimento. L’MDF, invece, è un materiale neutro. L’ho scelto perché non si piega. La tela è un supporto con una struttura dietro. Se la togliamo, la tela diventa un lenzuolo. Utilizzo dell’MDF, in un certo senso, è una scelta molto più sculturale rispetto al pittorico. 
L’ho sempre considerato un materiale dove tutto è visibile. L’MDF è come tanti materiali industriali tipo il cemento non preparato dove le tracce della tua manualità vengono tradite, alla fine, sulla superficie.  Vengono tradite alla fine perché tutte le superfici che vengono toccate salgono alla superficie dopo un po’. Questa fragilità l’ho sempre trovata una splendida contraddizione dei materiali industriali.
Ho lavorato con il legno, con il metallo, però l’MDF è quello senza nessunissimo carattere. Qualsiasi tocco è notevolmente mio, tutto è visibile. Questo è ciò che mi interessato di questo materiale.

Sean Shanahan – Danza Macabra (4) 2022 olio su MDF 180 x 180 cm Ph. Luca Casonato