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Staging the Residency vol. II | Lucrezia Costa

Attraverso il suo lavoro Lucrezia Costa cerca di inserirsi nelle crepe dello sconosciuto per poi riportare in superficie frammenti raccolti nell’abisso dell’animo umano. Trentatré ovvero tre rampe da undici gradini è il lavoro che hai mostrato in occasione di Viafarini Open Studio. Di cosa si tratta? Definirei Trentatré ovvero tre rampe da undici gradini un […]

1) Lucrezia Costa, Trentatré ovvero tre rampe da undici gradini, dicembre 2022. Maschere in terracotta e supporto in ferro per l’archiviazione delle risposte. Ph Lucrezia Costa

Attraverso il suo lavoro Lucrezia Costa cerca di inserirsi nelle crepe dello sconosciuto per poi riportare in superficie frammenti raccolti nell’abisso dell’animo umano.

Trentatré ovvero tre rampe da undici gradini è il lavoro che hai mostrato in occasione di Viafarini Open Studio. Di cosa si tratta?

Definirei Trentatré ovvero tre rampe da undici gradini un archivio in divenire sul tema del dolore. Si tratta di un processo in cui è auspicabile la partecipazione di tutti: a chi decide di farne parte è richiesto rispondere a una domanda riguardante un dolore personale, di individuarlo in una zona del proprio corpo e successivamente di trasformarlo attraverso uno sforzo immaginativo in una forma animale o vegetale, il tutto in forma palese o anonima. Le risposte vengono conservate in un archivio cui ho accesso solo io, e sulla base di ciò che leggo per ogni persona realizzo una maschera in terracotta, con lo scopo di dare un corpo fisico al dolore di ognuno. Le maschere sono anonime, non ci sono riferimenti di alcun tipo, perché lo scopo non è quello di raccontare i dolori individuali, bensì di mostrare la collettività del dolore e sottolinearne il potere sovversivo. La collaborazione con Tiziana Villani è stata fondamentale: la sua voce in filodiffusione avvolge lo spazio mentre recita alcune parti narrative del suo libro Corpi mutanti ponendo l’attenzione su come il potere abbia scolpito i nostri corpi e come il dolore sia l’ultimo residuo dell’essere umano “libero” dalla produttività. Il risultato è un “muro del dolore”, che spero possa diventare una stanza intera o uno spazio sempre più vasto in cui le identità anonime interrogano gli spettatori invitandoli, con i loro sguardi, ad una riflessione sulla propria interiorità.

Affronti una tematica estremamente personale. Come renderla invece anche collettiva?

Ci è stato fatto credere che il dolore è individuale e che siamo soli a soffrire, che dobbiamo vergognarci della nostra sofferenza e risolverla nel più breve tempo possibile per non risultare vulnerabili in una società in cui è richiesto un alto grado di performatività. Il mio archivio è l’escamotage per dimostrare la collettività del dolore, per creare comunità e in un certo senso anche un potenziale sovversivo. Se la prima parte del processo è effettivamente personale e rimane infatti esclusa dalla formalizzazione finale del lavoro, la seconda parte, che si manifesta nell’anonimato di ogni maschera e nell’assenza di riferimenti alle persone specifiche è proprio la dimostrazione della collettività di questo sentimento. La metamorfosi del dolore da strumento di potere a sentimento inutile perché ostacola la produttività e il disagio sociale sempre più evidente e altrettanto taciuto, sono stati i due fattori scatenanti che incontrandosi nelle mie ricerche, mi hanno fatto capire che è necessario parlarne.

2) Lucrezia Costa, Trentatré ovvero tre rampe da undici gradini, dicembre 2022. Dettaglio del supporto in ferro per l’archiviazione delle risposte. Ph Lucrezia Costa

Quest’opera è stata una ricerca anche partecipativa. Come hanno reagito le persone che hai coinvolto?

Ci sono tre diversi presupposti che, convergendo, mi hanno portata a sviluppare il progetto con queste modalità: il mio vissuto e quello delle persone intorno a me, l’incontro con un non vedente che ha dato il titolo al lavoro e infine la base teorica (Corpi mutanti di Tiziana Villani, La società senza dolore di Byung Chul Han e alcuni testi di Elias Canetti sulla nudità dell’anima e Georges Didi-Huberman sul potere sovversivo del pianto). Nell’approcciarmi alle persone, ho palesato questi presupposti e spiegato in dettaglio il progetto, ponendo l’accento sul rispetto dei dolori che mi vengono raccontati. Il feedback è stato sorprendentemente positivo: c’è un gran bisogno di sviscerare queste tematiche troppo spesso ignorate.

Nelle tue opere è presente, come fil rouge più o meno esplicito, un continuo riferimento alla geologia. Da che cosa nasce questo interesse e questa costante?

La geologia è un elemento estremamente importante per la mia ricerca, nata dal tentativo di cercare parallelismi tra il corpo del mondo e il corpo umano con le loro ferite, cicatrici e stratificazioni. Durante il mio percorso di studi poi, ho scoperto e approfondito il lavoro di Robert Smithson e il suo approccio dialettico alla natura e alle stratificazioni geologiche, spunto fondamentale per miei lavori come Passaggi catartici e Rise into decline. Ad oggi la terra costituisce un elemento imprescindibile della mia pratica: nel caso di Trentatré ovvero tre rampe da undici gradini è ciò di cui sono costituite le maschere, ovvero argilla, un materiale che richiede molta pazienza e cura.

Per partecipare all’archivio del dolore di Lucrezia Costa LINK

4) Lucrezia Costa, Passaggi catartici, novembre 2021. Lastra di alluminio colata con materia grassa e incisa con punzonatura. Ph Lucrezia Costa
5) Lucrezia Costa, Rise into decline, marzo 2022. Mattoni forati, intonaco, stencil, legno, viti, molle e motore per calcestruzzo. Ph Lucrezia Costa

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