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Una notte al Luxy Club di Milano per Look at Me

Look at Me è una mostra temporanea a cura di Sara van Bussel (Direzione artistica di Manuela Nobile), realizzata con il sostegno della Fondazione Marcelo Burlon. Della durata di una sola notte, il progetto si svolge all’interno del Luxy Club, durante una regolare serata di lavoro del locale. Il tentativo di Look at Me è […]

Flaminia Veronesi – Installation View di “Garden of Fantasy”, Squalo (2022) 2.40 x 2 m, polistirolo, Barca (2021) 1.80 x 2 m, metallo, legno e plastilina polimerica. Ph credit: Getty images

Look at Me è una mostra temporanea a cura di Sara van Bussel (Direzione artistica di Manuela Nobile), realizzata con il sostegno della Fondazione Marcelo Burlon. Della durata di una sola notte, il progetto si svolge all’interno del Luxy Club, durante una regolare serata di lavoro del locale. Il tentativo di Look at Me è quello di mettere in mostra una limpida accettazione del piacere, del divertimento, del lavoro in quanto portatore di possibilità di espressione. Gli artisti invitati sono: Michele Rizzo che investiga lo sguardo, passando da movimento e ripetizione; Giulia Crispiani che riflette sul rapporto tra il corpo e la parola, il piacere dei sensi che si articolano su e con la lingua, i suoni, i rimbombi delle lettere mentre leggiamo e Flaminia Veronesi che inventa un mondo di sirene danzanti, bellissime nella loro sensualità, in un intervento a cavallo tra il fantastico e il reale. In progetto è ideato da OTTN Projects.

Segue l’intervista con Sara van Bussel e Manuela Nobile —

EB: Partiamo dalla base di questo progetto. Avete reso fin da subito chiaro l’intento: “mettere in mostra una limpida accettazione del piacere, del divertimento, del lavoro in quanto portatore di possibilità di espressione”. Mi raccontate come è nata la mostra temporanea Look at Me?

MN, SVB: La mostra nasce dalla nostra concezione di cultura in senso ampio, e il cosa vuol dire operare in questo settore. Fare cultura ad oggi – e lavorare nell’arte fa parte di questo – vuol dire operare per la società, fare qualcosa che arrivi alla gente. Il progetto nasce quindi dal desiderio di voler arrivare ad un pubblico diverso, che non si sente magari a suo agio in ambienti istituzionali dediti all’arte, e viceversa capire se il pubblico usuale di mostre si possa spingere a indagare un ambiente completamente estraneo, interrogandosi in questo modo anche sulle diverse tipologie di fruizione dell’opera d’arte.
Il piacere estetico tanto quanto quello erotico viene celebrato in LOOK AT ME come parte integrante della cultura contemporanea, nell’arte come nella notte. La mostra nasce quindi dal bisogno di sperimentazione, dalla volontà di creare dialogo e accesso all’arte contemporanea, come anche dal bisogno di riportare l’attenzione sulla libertà dell’atto artistico, scisso da sovrastrutture. 

EB: Il Luxy Club è senza dubbio un luogo “denso” per molte ragioni. Perché è stato scelto questo luogo e quanto vi ha condizionato nella scelta tematica?

MN, SVB: La scelta del luogo specifico è frutto di una serie di casi fortuiti, primo tra tutti la conoscenza casuale di uno dei due proprietari. Dalla sua predisposizione al dialogo e la sua curiosità siamo partite per poi sviluppare un progetto ad hoc, considerando i mille aspetti legati a questo luogo. Il posto ha indubbiamente delle complessità, di tipo etico ma anche e soprattutto pratico, andare quindi ad interagire con esso implicava dover sviluppare un approccio nuovo, creato su misura. Questo ci ha portato a crescere molto, abbiamo imparato a conoscere un mondo che ha le sue regole e le sue dinamiche, che hanno ispirato le tematiche scelte e ci hanno guidato nel processo di curatela e direzione artistica. Questa mostra ha insegnato tanto anche a noi.

EB: Come avviene “la consapevole valorizzazione dei sensi”? Come far scaturire questa consapevolezza mediante l’incontro tra l’arte, il luogo e la sua finalità?
MN, SVB: Crediamo che il tutto parta dal creare un terreno fertile, un ambiente in cui il visitatore si senta libero di cogliere qualsiasi cosa gli/le arriva. Questo può essere anche un rigetto, non necessariamente accoglienza: lo scopo qui è quello di creare un ambiente ibrido in cui chiunque possa entrare e cogliere, se ne trova, associazioni ai quali si sente affine. La valorizzazione dei sensi viene qui esplicitata attraverso i tre interventi artistici, che essendo molto diversi tra loro crediamo possano parlare ad altrettanti livelli di sensibilità nello spettatore. 

Michele Rizzo – Spacewalk, 2017. Concept e coreografia di Michele Rizzo, stage design e luci Lukas Heistinger, sound di Au†ismo, realizzazione tecnica di Lukas Heistinger, Yiannis Mouravas & diederik Schoorl.

EB: Avete scelto tre artisti molto diversi tra loro, per sensibilità e forme espressive. Come li avete messi in relazione in questo accattivante progetto? 
SVB: Gli artisti scelti sono molto diversi tra loro ma hanno elementi chiave in comune nella loro ricerca, primo tra tutti l’attenzione al corpo, come anche una certa libertà nel guardare alla pratica artistica in toto, lasciandola fluida, scorrevole. 
Per questo progetto ho giocato su livelli di fruizione diversi, facendo in modo che i tre interventi artistici si sfiorino ma rimangano a sé, permettendo un dialogo sottile ma non imposto. Giulia Crispiani ha opere delicate, forti ma discrete, che richiedono attenzione e tempo, Flaminia Veronesi interviene in modo esplicito ma si camuffa anche nel contesto, mentre Michele Rizzo interviene in modo deciso, impossessandosi del palco. Ciascuno si muove e accanto all’altro ma mantiene una propria autonomia, toccando una sfumatura diversa dello stesso tema. I tre diversi strati di fruizione artistica permettono al visitatore di scegliere il livello di attenzione ed interazione al quale si sente piú attratto e/o piú a suo agio, e fanno si che la cadenza della mostra rimanga in continuo movimento.

EB: Mi raccontate gli interventi degli artisti in relazione al tema di Look at Me?
SVB: Giulia Crispiani, artista che indaga il corpo e la parola, ha composto un testo per la mostra riflettendo sul gesto erotico come atto d’amore, libero perché pienamente compreso e accettato. Tutti i lavori esposti suoi si basano sulla seria e serena valorizzazione del corpo come strumento, erotico e sonoro. Michele Rizzo ha articolato una performance attorno ai concetti base di sguardo e svestimento, centrali al luogo dello strip club, ribaltando la prospettiva in una ricerca identitaria, veritiera in quanto pura e vulnerabile. 
Flaminia veronesi riflette sulla libertà della nudità, del corpo come oggetto estetico e liberamente erotico, sulla figura mitologica della sirena come simbolo di perdizione ma anche di amorfo e animale, fiabesco ma qui estremamente tangibile. Ciascun artista ha sviluppato la propria ricerca facendosi ispirare dal luogo, dalle ragazze, dal corpo e dal movimento, in un insieme che verte ad un accoglienza dei vari input, e per questo libero. 

EB: Cosa pensate si creerà nell’incontro tra i due diversi pubblici: da un lato i visitatori abituali dello strip club, dall’altro gli amanti dell’arte contemporanea?

MN, SVB: Come detto precedentemente, lo scopo è quello di creare un bacino, un campo d’incontro. Non crediamo di avere le risposte, il bello è anche quello, vedere che cosa succederà una volta creata la possibilità di interazione. L’importante è andare a offrire l’accesso, lasciando libertà totale al fruitore di coglierla nel modo in cui preferisce.

EB: Ultima, ma non meno importante domanda: il progetto è realizzato grazie al sostegno della Fondazione Marcelo Burlon? Quanto vi ha condizionato o stimolato questa collaborazione? Quando c’è lo zampino della moda, spesso i progetti assumono un tono altamente spettacolare, avviene anche in questa occasione?

MN: Entrando in un contesto così delicato come quello dello strip club inizialmente avevamo necessità di colmare dei bisogni per rendere più fruibile possibile l’esposizione.
Abbiamo voluto guardare alla mostra come luogo di ricostruzione di un’immagine curandone ogni aspetto, prima dalla scelta delle artiste e dell’artista, fino alla selezione dei brand e dei media partner, cercando di costruire attorno a noi un moodboard fatto di persone che avessero ideali simili ai nostri.
La prima realtà che abbiamo contattato è stata la Fondazione Marcelo Burlon che, contrariamente a quanto si creda, è un progetto che si diversifica dal brand dello stilista e che è stato ideato proprio per promuovere, tutelare e sostenere i diritti umani, tramite eventi e attività che valorizzano le diversità e la ricchezza dei vari linguaggi espressivi.
Altri brand che ci hanno sostenute in termini di sponsorizzazione tecnica sono sì legati al mondo della moda, ma completamente attinenti e in linea con la filosofia della mostra. Come GinArte che già dal nome suggerisce un’attenzione speciale al mondo della cultura personalizzando il proprio packaging ogni anno con artisti e artiste diversi/e. Oppure NeonClassico, che ci ha permesso di realizzare una delle opere di Giulia Crispiani.
C’è da dire che io e Sara lavoriamo entrambe a stretto contatto con la moda, la comunicazione e il design oltre che all’arte. Questo sicuramente influenza le nostre scelte e ci rende delle maniache compulsive nella cura del dettaglio. In questo senso l’arte che progettiamo e i luoghi in cui la contempliamo si adattano al nostro modo di vivere senza pregiudizio alcuno. 

Giulia Crispiani – Scongiuro per Prender-si Cura al Mattatoio, Roma 2020. Fotografia di Monkeys Video Lab. Courtesy Prender-si Cura.