Artista selezionato da Simona Squadrito*
Pettegolezzi
Sono cresciuto con i miei nonni. Con quelli materni avevo un rapporto più intimo perché non dovevo condividere il loro tempo con altri nipoti, ero il più piccolo, omonimo del nonno, come si usa fare dalle mie parti quando si da il nome dei nonni ai nipoti, avevano tutto il tempo per me.
Da loro raccoglievo più storie di guerra, fatti e fatterelli ma ogni tanto scattava anche il momento del pettegolezzo. Mio nonno mi portava in macchina in giro per mercati rionali. Sono cresciuto a cucchiaiate grosse di mercati, preghiere e pettegolezzi. Le tre cose convivevano nei mercati ed era per questo che sono i posti in cui amo più stare al mondo. I mercati veri, non quelli dell’arte, quelli sono la brutta copia dei mercati di frutta e verdura o peggio di quelli delle pulci.
Non mi piaceva andare a scuola, soprattutto alla scuola materna dove c’era una maestra che aveva la strana pretesa di farsi chiamare “zia”. Proprio in quell’ambiente però ho cominciato ad apprezzare la pratica del “pettegolezzo”, non mi piace generarli, mi piace ascoltarli. Le bidelle dell’asilo, credendoci orecchie capaci di ascoltare solo le pubblicità dei giocattoli che tagliavano la programmazione di Bim Bum Bam, nei lunghi pomeriggi che ci preparavano a diventare soldati di Berlusconi negli anni ’80, raccontavano pettegolezzi su colleghe, genitori dei compagnucci di scuola e sulle maestre.
Dai nonni paterni passavano continuamente persone che, quando avevano fretta, si affacciavano alla finestra della grande sala da pranzo, a livello strada, e raccontavano dei fatti quasi sempre non di loro “proprietà”. Quando avevano più tempo entravano in casa e approfondivano il pettegolezzo. Io ascoltavo e giocavo ai Lego allo stesso tempo, o ai Masters o con fogli di carta della polleria del paese e spillatrice per costruirmi zaini, pistole e spade.
Vi racconto un fatto che forse non ho mai raccontato ufficialmente e pubblicamente: una domenica, di una decina d’anni fa, costrinsi quella che adesso è mia moglie e che allora era la mia fidanzata storica ad andare in un mercatino delle pulci di Bologna, alle 17 del pomeriggio. Ora, chi frequenta questo tipo di mercati sa bene che per fare l’affare si va al mattino presto, con la torcia tra i denti. Avevo trenta euro in tasca. Mi avvicinai ad un banchetto su cui erano impilati libri di fotografia, scarto il primo libro di Franco Fontana, il secondo dello stesso e prendo il terzo che era una scatola bianca con la scritta PORTFOLIO, tutta in stampatello maiuscolo. La apro e dentro trovo stampe fotografiche in passe-partout con una firma a matita su ciascun passe-partout, un totale di nove fotografie e nove firme. Mi pareva di averle già viste. Le conosco bene, sono di Ghirri. Chiudo la scatola con un senso di mancamento che mi pervade tutto il corpo e chiedo il prezzo.
“Venticinque euro, è un bel libro” mi dice il commerciante.
Do i trenta euro, prendo i cinque di resto e scappo via manco lo avessi rubato. Mi chiudo in un bar e lo descrivo accuratamente al telefono al mio amico editore Danilo Montanari… Il resto di questa storia può essere raccontato come un pettegolezzo: “Pare che Giuseppe De Mattia abbia campato un anno senza dover lavorare grazie a Luigi Ghirri”.
Quella domenica era attorno al ventennale dalla sua scomparsa, anni in cui si avvicendavano terribili mostre di quei strani “homage” di gente che da copiare un autore si trovava ad essere invitato in quanto omaggiante, omaggiatore,figliastro, figlioccio, insomma respiratore abusivo della stessa aria del povero Ghirri.
La serie dei “Pettegolezzi”, realizzata sotto forma di tele pittoriche, nasce a Saint Tropez nell’estate del 2022, durante una breve residenza al Port Tonic Art Center, in una lunga mattinata al mercato di Les Issambres in cui mi sono divertito a sentire le indiscrezioni dei mercanti, sui loro colleghi. Il bello dei pettegolezzi è che spesso sono frasi assolute, avvolte dal mistero. Si sa a chi sono rivolte, a volte, ma non si sa bene dove sono nate.
Ha collaborato Simona Squadrito*
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.
Hanno contribuito alla rubrica Zoe De Luca, Simona Squadrito e Irene Sofia Comi