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“Purge the World of bourgeois sickness”

Quando una tra le maggiori gallerie d’arte di una città decide di dare spazio allo sperimentalismo puro di giovani artisti emergenti si può parlare di visione, intraprendenza e, non da ultima, persistente propensione verso la scoperta del nuovo, aspetto che sicuramente è parte integrante di ogni ricerca artistica. “Avevo lo sguardo stanco, ricercavo qualcosa che fosse […]

Archivio Mefistofeledocumenta – Foto Silvia Mazzella

Quando una tra le maggiori gallerie d’arte di una città decide di dare spazio allo sperimentalismo puro di giovani artisti emergenti si può parlare di visione, intraprendenza e, non da ultima, persistente propensione verso la scoperta del nuovo, aspetto che sicuramente è parte integrante di ogni ricerca artistica. 
“Avevo lo sguardo stanco, ricercavo qualcosa che fosse davvero inedito e per questo ho deciso di affidarmi a Mixta, e alla loro bravura”, afferma Chico Schoen, uno dei titolari della galleria, rispondendo alle mie domande durante il vernissage della mostra. Le sue aspettative non sono state disattese.
Mixta è un collettivo curatoriale indipendente di Genova formato da Arianna Maestrale e Silvia Mazzella e ha l’intento di indagare nuovi linguaggi contemporanei, in un’ottica di auto-istituzione permanente e di lavoro col territorio. 
La mostra collettiva da loro curata negli spazi della Guidi & Schoen si inserisce nell’ambito della rassegna che la scorsa settimana ha celebrato i 60 anni del Fluxus. 
Il titolo scelto per la mostra, infatti, “Purge the world of bourgeois sickness”, è una citazione presa direttamente dal manifesto del movimento, o meglio, non-movimento, come i protagonisti tenevano a sottolineare, redatto nel 1962 da George Maciunas, considerato il fondatore di questa corrente. 
Gli artisti chiamati ad esporre fanno parte di Palazzo Bronzo, un artist-run space con sede a Genova, in cui essi ragionano collettivamente pur rispettando le proprie specificità. Non hanno un loro manifesto e non si sono ancora autodefiniti né dichiarano eredità o legami. Tuttavia, hanno accettato di far parte di questa mostra perchè riconoscono una loro continuità col Fluxus, con cui condividono un approccio anti-elitario, anti-sistemico e di critica verso consuetudini e codici comportamentali dominanti. 
“Per me è una questione molto intima, dobbiamo sicuramente purgare prima noi stessi”, dichiara Pietro Lugaro, uno degli artisti esposti, spiegando il modo in cui si sente legato al concetto fluxiano che fa da tema alla mostra. “Oltre alla pratica del situazionismo e dell’improvvisazione, condivido col Fluxus la passione per l’esoterismo”, mi dice ancora.
Una delle sue opere, infatti, ben visibile anche all’esterno perché posizionata al centro della prima sala al pian terreno della galleria, parla proprio di questo. Il titolo dell’opera è molto lungo perché contiene anche la spiegazione della stessa. 
È una scultura installazione appesa al soffitto, attraverso la quale l’artista riflette sul post-esotismo affrontando temi cosmici come quelli dell’armonia tra cielo e terra, della fine delle anime e del concetto di caos e di caduta. “Nella mia ricerca mi affido a oggetti di uso comune che mi limito a trovare e che non sono io a cercare, che tratto come essere viventi e pensanti […] sono essi stessi che costruiscono l’opera e nei loro confronti io sono un installatore e un tramite tra mondi diversi”. Difatti, si tratta di una scultura fatta in fogli di alluminio, materiale umile, elemento tipico delle opere dell’artista. 

Pietro Lugaro è anche l’unico artista ad avere presentato una performance durante l’opening, dal titolo “Si cerca di scavare una fossa decente”. È un lavoro che prende le mosse dalla vicenda della morte dell’ultimo membro di una tribù indigena brasiliana, chiamato “l’uomo del buco”, considerato l’ultimo vero indigeno dell’Amazzonia rimasto. In questo caso, prendendo le mosse dal realismo del fatto accaduto, Pietro cerca di superarlo in direzione dell’esotico. I temi su cui riflette sono quelli del colonialismo e del post-colonialismo, fino ad arrivare ad un’indagine sull’indigeno contemporaneo, che per Pietro è rappresentato dall’anziano, ultimo custode e portatore dei codici della civiltà agraria. 
Giocando con l’effetto larsen causato dall’avvicinamento di un microfono alle casse di un amplificatore, Pietro mette in scena la sua performance in cui spiega: “non considero il pubblico un insieme di spettatori passivi, ma delle persone nei confronti delle quali non mi pongo nella posizione di esperto virtuoso, anzi mi espongo in tutta la mia vulnerabilità, scoprendo insieme a loro delle cose nuove”.
Molte delle opere in mostra sono di Luca Conte, il quale definisce la sua ricerca “un progetto di critica verso consuetudini dominanti, proponendo al contempo delle alternative”. E in questo dichiara di sentirsi in linea col Fluxus. 
È in quest’ottica che va inteso il suo lavoro col cibo e con gli elementi tipici delle abitudini alimentari occidentali, tra cui il rapporto con la carne. 
La sua serie di sculture in ceramica, dal titolo “Conserve, Preserve, Deserve”, in esposizione presso la mostra, parla proprio di questo, partendo dal tema del bollito misto. Le sculture sono dei vasi che ricreano le parti del bollito misto che Luca fa assurgere a simbolo di una serie di comportamenti alimentari moderni che ormai lui considera anacronistici. Attraverso questa serie di opere Luca vuole, come mi dice, “stimolare principalmente l’idea di un rapporto ecologico col mondo”. 
Con l’opera “Archivio di Mefistofeledocumenta” dell’omonimo collettivo, costituita da un prototipo di documentazione dei lavori dello stesso ed esposta nel piano sotterraneo della galleria, la mostra riprende un altro legame con una delle caratteristiche principali del Fluxus, ovvero l’interesse verso gli archivi, la documentazione e le istruzioni. 
L’esposizione continua con i lavori di Revolvingdoors, Marco-Augusto Basso, Franco Ferrari, Edoardo Bracchi, Federico Zurani, Federico Ghillino, Michele Gasperini, attraverso un allestimento lineare, coerente e ben fruibile, in cui ogni angolo ha lo scopo di evocare un aspetto tematico grazie ad un posizionamento ben pensato delle opere. Nell’insieme, la mostra presenta alcune tra le ricerche più sperimentali portate avanti oggi a Genova ad opera di giovani artisti emergenti e per questo è meritevole di attenzione da parte di chi sia interessato alla comprensione delle dinamiche del tessuto culturale del capoluogo ligure. 
Allo stesso tempo, nel rendere omaggio alla corrente del Fluxus che, come afferma chico schoen “in realtà è tuttora insita in ogni produzione di arte”, celebra un passato che in realtà non è finito, ma continua a “fluire” ancora oggi e a influenzare molto della ricerca artistica contemporanea.