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Noble Experiment | Intervista a Giuliana Rosso e Caterina Avataneo

Intervista di Francesca De Zotti — È in corso fino al 21 luglio Noble Experiment, mostra personale di Giuliana Rosso, con testo critico di Caterina Avataneo, che trasforma gli spazi di MASSIMO “in un sotterraneo infestato dai personaggi che abitano le opere dell’artista, caratterizzate da un immaginario a tinte acide e atmosfere venate di onirica […]

Giuliana Rosso, Noble Experiment, installation view. Photo by Flavio Pescatori
Giuliana Rosso, Torna a casa adesso (2022). Photo by Flavio Pescatori

Intervista di Francesca De Zotti

È in corso fino al 21 luglio Noble Experiment, mostra personale di Giuliana Rosso, con testo critico di Caterina Avataneo, che trasforma gli spazi di MASSIMO “in un sotterraneo infestato dai personaggi che abitano le opere dell’artista, caratterizzate da un immaginario a tinte acide e atmosfere venate di onirica inquietudine adolescenziale”.

Francesca De Zotti: Scendendo per le scale che portano a MASSIMO, non ho potuto fare a meno di pensare a Gaston Bachelard. La dimensione ipogea di questo spazio e le creature che lo abitano rimandano a quell’idea di cantina, contenuta in La poétique de l’espace, come “essere oscuro” ma al tempo stesso luogo dell’inconscio e dell’immaginazione. Cosa ti ha affascinato di questo luogo e come ti ci sei rapportata?

Giuliana Rosso: Ho pensato alla cantina come un habitat in cui vivono diverse creature da cui si sviluppano delle radici che ho realizzato su carta nel momento dell’allestimento. Le ho pensate vagamente metamorfiche, come grossi lombrichi, zampe di gallina, cavi elettrici che trasportano energie frantumate e creano connessione tra le creature stesse; radici sopra le finte macerie di un incidente domestico, come ci fosse stata una gag che si è svolta al buio pesto e che nessuno ha potuto vedere. Lo spazio è illuminato da neon molto limpidi e raggianti e mi viene da pensare che di colpo qualcuno abbia acceso la luce nello spazio e ogni cosa si sia cristallizzata nell’attimo in cui tutto è andato distrutto. Non si è visto il dolore, non ha fatto ridere.
È anche il posto in cui si prende coscienza dei lati ombra dell’inconscio. Penso che succeda di più nelle situazioni di passaggio, nei posti senza collocazione, quindi ha in sé una grande neutralità. I posti vaghi mi piacciono perché lasciano totale libertà alle immagini che possono essere interpretate in ogni senso. Immaginando la casa psicologica di Bachelard, penso che la cantina sia il luogo che più rappresenti il nulla e generalmente non la si abita. La cantina è anche a contatto stretto con le fondamenta. Tutto quello che germina al di sotto e stratifica è come una caverna e anche quello che è germinato in passato, o forse non avverrà mai, può entrare a farne parte.

Caterina Avataneo: In effetti anche Bachelard fa riferimento alla cantina come luogo di radici… Un’entità oscura dai folti germogli che racchiudono potenzialmente tutto ciò sopra descritto da entrambe. Penso sia interessante sottolineare che Bachelard fa anche riferimento alla casa come ad un Cosmo, e poi dedica qualche pagina agli angoli, che lui definisce luoghi di solitudine, immobilità e negazione dell’Universo. La ragazza con i rollerblade, trascinata da mani sconosciute, si trova proprio in un angolo dal quale un rugoso buco nero – luogo di negazione per antonomasia, oscuro e travolgente – si allarga e sborda nel muro. In La poétique de l’espace, Bachelard cita un consiglio che Leonardo Da Vinci diede a pittori con mancata ispirazione: contemplare con occhi attenti le fessure dei muri. L’autore continua scrivendo che gli angoli sono i luoghi perfetti da cui notare e osservare le fenditure dei muri, in cui perdersi esplorando gli Universi che queste dischiudono. I lavori in mostra sono pieni di crepe che pullulano di vita, alcune provvisoriamente chiuse con cerotti, quasi a proteggere i visitatori o i personaggi dei lavori di Giuliana dalla complessità del multiplo, della mente e del suo inconscio… Queste costellazioni di lavori, cristallizzate nello spazio nel momento prima che la luce accecante dei neon dissolva il mondo ctonio a cui queste appartengono, come dice Giuliana, fissano un momento e originano la mostra, lasciando sospesi spunti e immaginazioni. Più li si guarda e più ci si perde nelle loro storie allo stesso tempo misteriose e familiari.

Giuliana Rosso, Cometa Bonsai (2022). Photo by Flavio Pescatori
Noble Experiment, installation view. Photo by Flavio Pescatori

FDZ: I lavori presenti in mostra testimoniano un ulteriore tentativo di superare la natura bidimensionale della pittura. Non è solo la loro superficie pittorica a divenire “espansa”, simulando un altrove virtuale o estendendosi a supporti in cartapesta, ma trovano posto al loro interno veri e propri elementi tridimensionali. Che ruolo hanno questi objets trouvés nella tua pratica e quando hai iniziato a servirtene?

GR:
Ho sempre molti oggetti attorno a me. Li osservo svariate volte in una giornata e cambio il loro ordine sugli scaffali. Alcune volte li cerco, altre li incontro per caso. Faccio uso di oggetti comuni nel mio lavoro da alcuni anni e in questo caso li ho forse inglobati maggiormente. Quando le immagini diventano tridimensionali penso che agglomerati di oggetti comuni creino delle connessioni empatiche con chi osserva. E credo che usare oggetti sia un filo conduttore che aiuti a coinvolgere verso sentimenti di familiarità e di straniamento universali. Qui ho utilizzato una pallina giallo fluo di gomma e altre da ping pong colorate, una lente di ingrandimento di carta che non può ingrandire ma può mostrare tutto sotto un filtro rosso – l’avevo trovata a terra tra le foglie un giorno che stavo passeggiando – e una spugna verde trovata in un minimarket a qualche isolato da MASSIMO. Mi piace guardare o utilizzare oggetti che trovo nel luogo in cui lavoro. Questa volta sono stata fortunata, ho trovato una farfalla che era viva pochi giorni prima – mi hanno detto volava vicino alla scala che porta verso il cortile. Quindi l’ho subito “vista” mentre si abbeverava dai resti liquidi del corpo ultra piatto del bambino appeso con le mani all’entrata.

CA: I lavori di Giuliana appartengono ad un mondo parallelo: l’Universo dell’artista, accumulatrice compulsiva di oggetti “giulianeschi” e curatrice di situazioni improbabili e significative. In questo mondo la pittura e il disegno non stanno mai nei limiti della tela e della pagina, o meglio il concetto stesso di bidimensionalità non ha luogo!

Giuliana Rosso, Daylight is nobody’s friend (2022). Photo by Flavio Pescatori

Oltre all’indagine spaziale, anche quella cromatica costituisce un tratto distintivo della tua ricerca artistica, declinandosi in tinte acide e stranianti che amplificano quel senso di inquietudine, fragilità e incertezza esistenziale che abita le tue opere. Come è cambiato, rispetto ai primi lavori, il tuo rapporto con il colore e con i significati di cui si fa vettore?

GR: Non penso sia cambiato tantissimo il mio rapporto con il colore, ma rispetto a qualche anno fa forse cerco di più una combinazione di collisione e separazione tra i toni cromatici. Vorrei raggiungere una tridimensionalità e uno scollamento cangiante, soprattutto in certi soggetti. In questo caso specifico ho pensato che normalmente in una cantina i colori sono affogati nella semioscurità o nel buio totale e allora quando si accende la luce tutto sembra più luminoso. Ogni cosa sembra assorbire la luce molto di più in quell’attimo, magari perché non succederà più per un po’. La semioscurità è beffarda a volte e i colori stranianti sono necessari per trasmettere tutta l’alienazione e la solitudine che c’è fuori, al di là del vuoto temporale che ci può essere in una cantina che chiama a raccolta tutti i nostri residui di oggetti e i ricordi stratificati.

CA: In questa mostra ho notato anche la presenza leggermente più marcata di colori pastello, come il rosa, l’azzurro o l’arancione pallido. Penso che questi colori, combinati con quelli tipici dello spettro di Giuliana, accentuino un sentimento di ambiguità, di una situazione opaca e weird, non del tutto decifrabile. I toni che caratterizzano i lavori di Giuliana sono permeanti e molto più che rappresentativi. Sono catalizzatori di una logica sfacciata, imprevedibile ma “lineare” nel suo no-sense, come in un sogno o in un ricordo d’infanzia.

Giuliana Rosso, Daylight is nobody’s friend (2022). Photo by Flavio Pescatori

Tema centrale all’interno del testo critico è la caduta, sia reale sia intesa come metaforico e inevitabile epilogo a cui sembrano essere ugualmente destinati i personaggi evocati da Giuliana, tra cui la Ragazza con i rollerblade. A partire da quali suggestioni letterarie e visive avete lavorato?

CA: La caduta e il declino sono contestualizzati nel testo critico come un qualcosa di inevitabile: sono le leggi della fisica a dirlo, ma anche la storia, la letteratura, la biologia… Mentre scrivevo c’erano molti riferimenti che mi giravano per la testa. Per esempio l’idea di precipitazione libera di Georges Bataille, come un qualcosa a cui l’uomo non solo è attratto, ma a cui aspira; o l’idea di apocalisse culturale di Ernesto De Martino, come un qualcosa che si ripete. Il crollo diventa, attraverso i lavori di Giuliana, un qualcosa a cui abbandonarsi per rivedere l’ordine mondo nel suo totale potenziale caotico e irreale. In questo senso ho fatto molto riferimento a Lewis Carroll e Alice in Wonderland, dove leggi fisiche e più in generale l’atto di trovare senso sono in continua ridefinizione, e abitano il vortice del possibile. Infine, pensando invece alla cantina come luogo oscuro e l’atto del discendere in questa, l’immaginario dantesco ha sicuramente evocato l’ambiance di partenza, così come America Latina, il recente film dei Fratelli D’Innocenzo – in cui tra l’altro il protagonista si chiama Massimo! – anche se poi questo non è emerso nel testo come riferimento diretto.

Giuliana Rosso, Coniglio siderale (2022). Photo by Flavio Pescatori