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VENEZIA 2022 – Il fuoco e sei grandi artisti alla Fondazione Giorgio Cini a Venezia

Buttarsi nel fuoco per qualcuno, fare fuoco e fiamme, mettere a ferro e fuoco, scherzare con il fuoco, fuoco di paglia, lingua di fuoco, mettere la mano sul fuoco, mettere troppa carne al fuoco… I modi di dire legati al fuoco, le metafore, le usanze, le simbologie, il suo senso figurato, il suo utilizzo poetico, […]

Yves Klein realizing Fire Painting at Centre dessais de Gaz de France Saint Denis, France 1961 Centre Pompidou Mnam Bibliothque Kandinsky Fonds Vera Cardot Pierre Jol
Yves Klein, Peinture de feu sans titre ca. 1961, burned cardboard on pannel 142 x 303 cm Succession Yves Klein

Buttarsi nel fuoco per qualcuno, fare fuoco e fiamme, mettere a ferro e fuoco, scherzare con il fuoco, fuoco di paglia, lingua di fuoco, mettere la mano sul fuoco, mettere troppa carne al fuoco… I modi di dire legati al fuoco, le metafore, le usanze, le simbologie, il suo senso figurato, il suo utilizzo poetico, l’estensione del suo significato, sono illimitati, senza contare i diversi ambiti con cui è designato per regolare le distanze, pensiamo all’ottica o alla matematica. Andando oltre, pensiamo all’astrologia e ai segni del fuoco. Dovessimo poi citare tutte le canzone in cui compare nel titolo, la lista sarebbe lunghissima. Il suo essere privo di forma, sfuggevole e distruttivo, protettivo e al tempo stesso temuto, il fuoco ha sedotto per secolo l’uomo per la sua potenza, la sua essenza e, non ultima, la sua utilità. Affascinante come pochi altri elementi, non poteva non lasciare tracce di sé sulle vite degli artisti che ne hanno fatto, in alcune casi, la sostanza delle proprie opere. 

Semplicemente con il titolo On Fire, si apre a Venezia una mostra ospitata alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia dal 22 aprile al 24 luglio. Interamente dedicata all’uso del fuoco come mezzo di creazione tra le avanguardia del Secondo Dopoguerra, la mostra – curata da Bruno Corà – ospita una serie di opere realizzate grazie il fuoco, attraverso e nonostante esso.
Strutturata attraverso sei aree tematiche, la mostra raccoglie per la prima volta i grandi maestri del XX secolo: Yves Klein, Alberto Burri, Arman, Jannis Kounellis, Pier Paolo Calzolari e Claudio Parmiggiani

Il fuoco è diventato per questi artisti il protagonista assoluto al pari di pigmenti, carta, matite, trementina, cera, ceramica, legno, inchiostro e tutti gli altri materiale che componevano – e compongono – gli elementi per creare. 
La particolarità di questa mostra è quella di concentrarsi sulle ricerche di ogni maestro per mettere in evidenza come hanno utilizzato il fuoco. Esso si può trovare come strumento di combustione dei materiali (Klein, Burri e Arman); come presenza viva con i suoi effetti sensoriali, talvolta spettacolari grazie all’utilizzo della luce, del calore o del rumore (Klein, Kounellis, Calzolari); infine, come traccia pittorica attraverso il fumo della combustione (Calzolari e Parmiggiani). 

Alberto Burri at work on Grande Plastica in his studio in Case Nove di Morra Citta di Castello, 1976 – Photo Aurelio Amendola. Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri.

Apre simbolicamente la mostra Yves Klein. Per l’artista, tutta la sua ricerca ruotava attorno a concetti quali il vuoto, la sensibilità, l’immateriale e l’illuminazione. Immerso in una dimensione che potremmo definire esoterica-artistica, la nozione di immateriale è il cardine stesso di molte sue opere di vastissima importanza. La ricerca spasmodica del ‘superamento dei limiti del materiale, dovevano portare a trascendere il reale per giungere ad una rivelazione e salvezza. Le due le tappe per questo percorso esoterico sono rappresentate dal colore blu e il fuoco. 
Per le sue antropometrie realizzate con il fuoco, affermava che “il fuoco è azzurro, oro e anche rosa. Questi sono i tre colori fondamentali della pittura monocroma, e per me è un principio di spiegazione universale, di spiegazione del mondo”. Anche i tre colori base blu, oro e rosa del suo lavoro si articolano tra loro e perfettamente nel fuoco.

Quello di Alberto Burri con il fuoco è stato senza dubbio un rapporto conflittuale, quasi una sfida su chi riusciva – l’uomo e l’elemento – dominare la marteria. Sebbene l’artista abbia sempre sottolineato la sua completa capacità di controllare la materia, l’uso del fuoco aggiunge una componente aleatoria al suo processo creativo, perché il fuoco in relazione alla materia è non solo imprevedibile, ma anche incontrollabile. Le Grandi plastiche degli anni sessanta rappresentano forse il risultato più rigoroso della pittura senza pittura di Burri. Montati su cornici di metallo di grandi dimensioni e realizzate con vari strati di plastica trasparente posti sotto la fiamma ossidrica a modificarne la superficie, queste opere riassumono la gestualità dell’artista e, allo stesso tempo, ne negano l’autorità perchè parzialmente libere dal suo controllo. Significativo il fatto che l’artista decise di esporre le prime grandi plastiche al centro dello spazio, per darne consistenza e potenza scultorea. 

Nel 1964 Arman fu invitato a esporre al Museo Stedeljik di Amsterdam. Quando il curatore gli chiese di creare un’opera per l’ingresso del museo, visitarono una discarica dove una poltrona stile Luigi XV stava bruciando in cima a un mucchio di spazzatura. Quest’opera gli ricordò l’iconico quadro “L’échelle du feu” di René Magritte. Tornato a Nizza, creò il Fauteuil d’Ulysse con l’aiuto di Martial Raysse.  Questo fu il punto di partenza per la tecnica di combustione di Arman, in cui mobili eleganti e strumenti musicali furono consumati dal fuoco prima di essere stabilizzati dall’introduzione di resina. La scelta dei materiali di Arman ricorda il concetto di Ready Made di Duchamp e il cubismo di Braque e Picasso nella divisione degli oggetti in più piani. In questo modo, all’inizio degli anni ’60, riattivò le rivoluzioni delle avanguardie dell’inizio del XX secolo.

Arman at work – Photo by Shunk Kender.-Roy Liechtenstein Foundation
Pier Paolo Calzolari, Senza titolo, 1980, Mangiafuoco – 1980-86 Giorgio Colombo Milano.

Così come concettualizzato nell’Arte Povera, Pier Paolo Calzolari lavora fin dall’inizio con materiali in costante conversazione tra loro, umili e provenienti dai contesti semi-industriali urbani o elementi naturali. Tra questi ci sono il fuoco, il legno, ma anche rottami, oggetti quotidiani e tubi al neon. Le sue opere sono opere d’incontro in tutti i sensi, tra lo spettatore e l’oggetto che vive nel quotidiano, ma che in questo caso ha subito una trasformazione, ma anche tra elementi artificiali e lavorati in opposizione all’elemento naturale e allo stato primordiale, come il fuoco. Dal 21 al 24 aprile, in occasione della vernice, si terrà la performance Mangiafuoco in cui un vero e proprio performer sputerà fuoco a cadenza oraria, dalle 11 alle 19.

“Il problema del fuoco è un problema particolare”, afferma Jannis Kounellis. “Il mio interesse per questo elemento non risiede soltanto nel fuoco come problema, ma anche nei suoi riferimenti con le leggende medievali. Il fuoco nelle leggende medievali si identifica con il castigo e la purificazione.” Kounellis si allontana dalla pittura negli anni attorno al 1965 ed a partire dal 1967, l’anno della cosiddetta “Margherita di fuoco” (che sarà esposta in mostra), il fenomeno della combustione comincia ad apparire frequentemente nell’opera dell’artista. In quest’opera Kounellis confronta la natura e la cultura mostrando la fiamma ossidrica che ha usato per tagliare le foglie di metallo e sostituendo così la vita organica del fiore con il fuoco, che è l’immagine del suo rinnovamento. Il suo è un fuoco benefico con potenziale alchemico, dalla fiamma mistica delle sue prime opere alla fuliggine degli ultimi anni.

Scegliendo di occupare nel 1970 nella Galleria di Modena uno spazio che serviva da riserva, Claudio Parmiggiani scopre sui muri la traccia della polvere accumulata al termine degli anni. L’artista decide di fare un fuoco con dei pneumatici e delle coperte. Un fumo chiaro e grigio si deposita sugli oggetti che poi ritira. L’ombra diventa allora una forma plastica, un modello di polvere che fissa dal suo interno l’oscillazione del tempo. La rappresentazione si avvicina anche al metodo fotografico che prende l’immagine, la inverte, crea un negativo prima di svilupparlo. Le sue Delocazioni – è il nome dato a queste sue opere – sono uno spazio vuoto di percezioni fisiche, dove però lo spettatore ha la sensazione di penetrare in un luogo abitato. L’assenza di oggetti esposti in precedenza rende i muri ancora più chiari; non c’è più che la loro traccia fuligginosa da vedere. Parmiggiani creerà un’installazione in situ per quest’esposizione.

(Estratti dal CS)

Jannis Kounellis con Margherita di Fuoco – 1967 © Claudio Abate, Roma.
Claudio Parmiggiani, Solo la terra oscura, 2020. Fumo e fuliggine su tavola, 240x1824cm. Foto Agostino Osio, Alto Piano. Courtesy Fondazione MAXXI.