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La Biennale di Cecilia Alemani: Il Latte dei Sogni

"La mostra prende il nome da un libro dell’artista surrealista Leonora Carrington (1917- 2011), che negli anni Cinquanta in Messico immagina e illustra favole misteriose dapprima direttamente sui muri della sua casa, per poi raccoglierle in un libricino chiamato appunto Il latte dei sogni."
Cecilia Alemani – Photo by Andrea Avezzù – Courtesy La Biennale di Venezia

Testo di Giovanni Kronenberg

La 59. Esposizione Internazionale d’Arte si intitolerà Il latte dei sogni. La mostra prende il nome da un libro di Leonora Carrington in cui, come spiega Cecilia Alemani, «l’artista surrealista descrive un mondo magico nel quale la vita è costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione e nel quale è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altri da sé. La mostra propone un viaggio immaginario attraverso le metamorfosi dei corpi e delle definizioni dell’umano.»

Il Presidente della Biennale di Venezia, Roberto Cicutto, e la Curatrice della 59. Esposizione Internazionale d’Arte, Cecilia Alemani – nominata Direttrice del settore Arti Visive dal precedente Cda il 10 gennaio 2020 -, annunciano oggi il titolo e il tema della Biennale Arte 2022, che si svolgerà dal 23 aprile al 27 novembre 2022 (pre-apertura 20, 21, 22 aprile) ai Giardini, all’Arsenale e in vari luoghi di Venezia.


Dichiarazione di Cecilia Alemani 
Curatrice della 59. Esposizione Internazionale d’Arte 

Il latte dei sogni è il titolo della 59. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di  Venezia

La mostra prende il nome da un libro dell’artista surrealista Leonora Carrington (1917- 2011), che negli anni Cinquanta in Messico immagina e illustra favole misteriose dapprima direttamente sui muri della sua casa, per poi raccoglierle in un libricino chiamato appunto Il latte dei sogni. Bambini che perdono la testa, avvoltoi intrappolati nella gelatina e macchine carnivore sono alcune delle visioni allucinate di creature ibride e mutanti che popolano gli universi fantastici di Carrington. Raccontate in uno stile onirico che pare terrorizzasse adulti e bambini, le storie di Carrington descrivono un mondo magico nel quale la vita è costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione e nel quale è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altri da sé. È un mondo libero e pieno di infinite possibilità, ma è anche l’allegoria di un secolo che impone sull’identità una pressione intollerabile, forzando Carrington a vivere come un’esiliata, rinchiusa in ospedali psichiatrici, perenne oggetto di fascinazione e desiderio ma anche figura di rara forza e mistero, sempre in fuga dalle costrizioni di un’identità fissa e coerente. A chi le chiedesse quando era nata, Carrington rispondeva che era stata costruita dall’incontro tra sua madre e una macchina, in una bizzarra comunione di umano, animale e meccanico che contraddistingue molti dei suoi dipinti e delle sue opere letterarie. 

L’esposizione Il latte dei sogni sceglie Leonora Carrington, le sue creature fantastiche e molte altre figure della trasformazione come compagne per un viaggio immaginario attraverso le metamorfosi dei corpi e delle definizioni dell’umano. La mostra nasce dalle numerose conversazioni intercorse con molte artiste e artisti in questi ultimi mesi. Da questi dialoghi sono emerse con insistenza una serie di domande che non solo evocano questo preciso momento storico in cui la sopravvivenza stessa dell’umanità è minacciata, ma che riassumono molte altre questioni che hanno dominato le scienze, le arti e i miti del nostro tempo. Come sta cambiando la definizione di umano? Come si definisce la vita e quali sono le differenze che separano l’animale, il vegetale, l’umano e il non-umano? Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, di altre forme di vita e del pianeta che abitiamo? E come sarebbe la vita senza di noi? 

Queste sono alcune delle domande che fanno da guida a questa edizione della Biennale Arte, la cui ricerca si concentra in particolare attorno a tre aree tematiche: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione tra individui e tecnologie; i legami che si intrecciano tra i corpi e la terra. 

Molte artiste e artisti contemporanei stanno immaginando una condizione post-umana, mettendo in discussione la visione moderna e occidentale dell’essere umano – in particolare la presunta idea universale di un soggetto bianco e maschio, “uomo della ragione” – come il centro dell’universo e come misura di tutte le cose. Al suo posto, contrappongono mondi fatti di nuove alleanze tra specie diverse e abitati da esseri permeabili, ibridi e molteplici, come le creature fantastiche inventate da Carrington. 

Sotto la pressione di tecnologie sempre più invasive, i confini tra corpi e oggetti sono stati completamente trasformati, imponendo profonde mutazioni che ridisegnano nuove forme di soggettività e riconfigurano gerarchie e anatomie. 

Oggi il mondo appare drammaticamente diviso tra ottimismo tecnologico, che promette il perfezionamento infinito del corpo umano attraverso la scienza, e lo spettro di una totale presa di controllo da parte delle macchine grazie all’automazione e all’intelligenza artificiale. Questa frattura è stata acuita ulteriormente dalla pandemia del COVID-19, che ha intrappolato gran parte delle interazioni umane dietro le superfici di schermi e dispositivi elettronici e ha intensificato ulteriormente le distanze sociali. In questi mesi la fragilità del corpo umano è diventata tragicamente più evidente ma allo stesso tempo è stata tenuta a distanza, filtrata dalla tecnologia, resa quasi immateriale e disincarnata. 

La pressione della tecnologia, lo scoppio della pandemia, l’acuirsi di tensioni sociali e la minaccia di incipienti disastri ambientali ci ricordano ogni giorno che, in quanto corpi mortali, non siamo né invincibili né autosufficienti, ma piuttosto siamo parte di un sistema di dipendenze simbiotiche che ci legano gli uni agli altri, ad altre specie e all’intero pianeta. 

Molte artiste e artisti ritraggono la fine dell’antropocentrismo, celebrando una nuova comunione con il non-umano, con l’animale e con la terra, esaltando un senso di affinità fra specie e tra l’organico e l’inorganico, tra l’animato e l’inanimato. Altri reagiscono alla dissoluzione di presunti sistemi universali, riscoprendo forme di conoscenza locali e nuove politiche identitarie. Altri ancora praticano ciò che la filosofa femminista e attivista Silvia Federici descrive come il “re-incantesimo del mondo”, mescolando saperi indigeni e mitologie individuali, in modi non dissimili da quelli immaginati da Leonora Carrington. 

Se gli eventi degli ultimi mesi hanno dato forma a un mondo lacerato e diviso, la mostra Il latte dei sogni prova a immaginare altre forme di coesistenza e trasformazione. Per questo, a dispetto del clima in cui è nata, Il latte dei sogni aspira a essere una mostra ottimista, che celebra l’arte e la sua capacità di creare cosmologie alternative e nuove condizioni di esistenza. La mostra guarda alle artiste e artisti non come coloro che ci rivelano chi siamo, ma piuttosto come coloro che sanno assorbire le inquietudini e le preoccupazioni di questi tempi per mostrarci chi e che cosa possiamo diventare. 

Leonora Carrington – Self-Portrait
Leonora Carrington