ATP DIARY

MINE. L’ottava edizione di Video Sound Art all’Albergo Diurno Venezia

La Pompei degli anni ’20. Così viene chiamato l’Albergo Diurno Venezia, progetto dell’architetto Portaluppi che sorge sotto Piazza Oberdan. Una ventata di novità tutta inglese che a Milano portò il primo salone dedicato alla cura della persona. La struttura, chiusa...

Installazione Ali Kazma Albergo Diurno Venezia Milano Foto di Neroshootings
Installazione Ali Kazma Albergo Diurno Venezia Milano Foto di Neroshootings

La Pompei degli anni ’20. Così viene chiamato l’Albergo Diurno Venezia, progetto dell’architetto Portaluppi che sorge sotto Piazza Oberdan. Una ventata di novità tutta inglese che a Milano portò il primo salone dedicato alla cura della persona. La struttura, chiusa definitivamente nel 2006 e aperta saltuariamente in occasione di mostre ed eventi teatrali, conserva ancora oggi gli originali rivestimenti in marmo della zona termale, le insegne del barbiere e della manicure, il mobilio e le boiserie in stile dèco. Un vero e proprio tempio del corpo rimasto invariato nel tempo e che ha riaperto le sue perte all’ottava edizione di Video Sound Art, MINE. Il titolo riprende un’omonima opera dell’artista turco Ali Kazma, protagonista di questo anno, che descrive la miniera di salnitro di Chacabuco e il suo villaggio disabitato situato nel deserto di Atacama in Cile, trasformato negli anni ’70 in un campo di concentramento dal regime Pinochet.

MINE, curata da Laura Lamonea, racchiude una selezione di video tratti da due serie, Obstructions (2005-in corso) e Resistances (2012-in corso), che costituiscono il corpus dell’opera di Kazma. Dal 2002 l’artista ha intrapreso un viaggio di indagine della condizione umana, grazie al quale ha dato vita ad un archivio che guarda da un lato all’universo delle attività umane legate ai processi di produzione e creazione di oggetti e materiali, osservando l’uomo e la sua abilità di creatore sia nei grandi impianti industriali che nelle attività artigianali (Obstructions); dall’altro pone al centro il corpo e gli interventi che l’uomo attua su di esso al fine di modificarlo e testarne le possibilità spingendosi oltre i limiti (Resistance). Insieme a questi si trovano anche altri video indipendenti che si snodano nei vari ambienti dell’Albergo Diurno creando una sorta di labirinto in cui passato e presente si ricongiungono, come Clerk (2011) che allude sia ai movimenti ripetitivi e meccanici a cui spesso l’uomo è costretto a sottostare ma anche alla capacità di esercitare un assoluto controllo sui propri arti e su ogni piccolo movimento. Negli spazi un tempo adibiti alla cura del corpo e alle maestranze che avevano il compito di accudirlo, si trovano adesso le moderne forme di manualità e di “cura” riservate al corpo odierno, proiettate sugli schermi di pc, tv, tablet, e disposti sulle superfici più disparate dell’edificio, dal banco di lavoro del barbiere ai bagni della zona termale, diventando così parte dell’architettura stessa.

Installazione Ali Kazma Albergo Diurno Venezia Milano Foto di Neroshootings
Installazione Ali Kazma Albergo Diurno Venezia Milano Foto di Neroshootings
Installazione Ali Kazma Albergo Diurno Venezia Milano Foto di Neroshootings
Installazione Ali Kazma Albergo Diurno Venezia Milano Foto di Neroshootings

ATPdiary ha posto alcune domande all’artista Ali Kazma in merito al suo lavoro:

ATP: Il tuo metodo di lavoro è molto meticoloso. Parte dallo scatto fotografico e culmina con le riprese video. Puoi descrivere questo processo?

Ali Kazma: Nella maggior parte dei posti che visito ho l’opportunità di fare un primo sopralluogo in cui scatto delle fotografie per avere un’idea dello spazio e del lavoro che viene svolto attraverso l’obiettivo. In questo modo capisco che tipo di luci o inquadrature posso fare, cosa accade nel pomeriggio durante il processo lavorativo, alle luci e persino ai suoni. È come se facessi uno schizzo e penso prima di tutto al lavoro in una prospettiva fotografica così quando torno con la mia videocamera sono più consapevole dell’ambiente.

ATP: Come reagiscono le persone alla tua presenza e come bilanci la presenza dell’individuo e quella della macchina nei diversi film della serie Obstructions?

AK: Non lavoro mai con altri, quando filmo sono sempre da solo. Dopo un po’ di tempo le persone si abituano a me e specialmente all’inizio filmo e scatto fotografie da lontano, cercando di non fare alcun rumore. Faccio in modo che si dimentichino della mia presenza così che si sentano a loro agio e io possa avere il materiale necessario. Quando filmo cerco di non essere ripetitivo e spero sempre che qualcosa di inaspettato capiti, tutto ciò che non è pianificato è prezioso. Obstruction parla di come costruiamo il nostro mondo, degli oggetti e degli spazi che modifichiamo e di come ciò che viene dalla terra lo usiamo per costruire oggetti d’uso. Si concentra sulla trasformazione della terra nel mondo, in senso heideggeriano. Tutto ciò è dato dalla presenza di tre elementi, l’industria, l’artigianato e la produzione artistico-simbolica e cerco di mantenere un equilibrio. Vedo il mio lavoro come paragrafi che posso utilizzare per comporre saggi diversi per ogni mostra e anche lo stesso rapporto tra i filmati aggiunge nuove narrazioni.

Ali Kazma - North 2017, 5 min Production: Jeu de Paume, Paris with the support of SAHA Association, Istanbul. Courtesy of the artist Foto di Neroshootings
Ali Kazma – North 2017, 5 min Production: Jeu de Paume, Paris with the support of SAHA Association, Istanbul. Courtesy of the artist Foto di Neroshootings
Ali Kazma - Kinbaku Serie Resistance 2013, 5 min Courtesy of the artist and the Istanbul Foundation for Culture and Arts Foto di Neroshootings
Ali Kazma – Kinbaku Serie Resistance 2013, 5 min Courtesy of the artist and the Istanbul Foundation for Culture and Arts Foto di Neroshootings

ATP: In Clerk si individuano due condizioni diverse: il braccio del ragazzo sembra quasi scollegato dal corpo per la velocità dei movimenti e rimanda sia ai gesti ripetitivi che l’individuo è costretto a fare in alcune catene di produzione, ma anche alla capacità dell’uomo di controllare il corpo e il movimento di muscoli e nervi. Il ragazzo è sia soggetto che oggetto della performance. Che cosa volevi dimostrare con questo lavoro?

AK: Il lavoro è volutamente contraddittorio, cerco sempre di stare lontano dalle conclusioni troppo affrettate o dai messaggi banali e propagandistici. Il mondo è una struttura assolutamente complessa e penso che il lavoro di un artista debba anche rappresentare questa complessità e anzi, aggiungere un nuovo livello di difficoltà per allontanarsi dalle semplificazioni. Quando si parla della natura umana non si può parlare di un solo elemento ma di una varietà spesso contrastante e questo è quello che ci permette di cambiare ed evolvere ed è proprio quello che ci rende così particolari.

ATP: Durante una intervista per il Padiglione della Turchia alla Biennale del 2013, riferendoti al corpo e alla serie Resistance hai affermato che “il corpo è un elemento materiale che non può essere scambiato e nemmeno le sue esperienze. È una forma di resistenza contro la sua stessa astrazione e ci riporta alla nostra individualità”. Cosa pensi delle teorie che vedono il corpo come una mancanza e della necessità di separare la mente, che è vista invece come pura informazione, da questa gabbia?

AK: Per me il corpo è una inesauribile risorsa di meraviglie. È estremamente complesso grazie al grande potenziale e agli stessi limiti che lo compongono. È il mezzo attraverso cui viviamo le nostre esperienze, con cui comunichiamo con il mondo, è la chiave di tutto. Quindi quando le persone parlano di andare oltre il corpo io penso che abbiano una visione della vita molto cinica e soprattutto non riesco a crederci. Siamo nel 2018 e a stento troviamo un rimedio alla calvizie, come possiamo pensare di disfarci del corpo quando non lo riusciamo a controllare e abbiamo ancora molto da imparare sul suo funzionamento?

ATP: I tuoi lavori ritraggono la condizione umana. C’è qualcosa che vorresti approfondire e che pensi possa arricchire questo archivio dell’individuo che stai costruendo?

AK: Sono sempre più interessato ad indagare gli spazi in cui viviamo e al modo in cui gli diamo forma. Sono anche interessato allo spazio e al modo in cui gli edifici sono modellati in base alla loro vicinanza al mare, come il faro e i porti. C’è molto materiale da studiare ed osservare a partire da questi luoghi.

Ali Kazma - Bodybuilding Serie Resistance 2013, 6 min e 16 sec Courtesy of Istanbul Foundation for Culture and Arts Foto di Neroshootings
Ali Kazma – Bodybuilding Serie Resistance 2013, 6 min e 16 sec Courtesy of Istanbul Foundation for Culture and Arts Foto di Neroshootings

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Insieme al lavoro di Ali Kazma, MINE presenta alcune opere scultoree in ceramica e porcellana di Diego Cibelli, Oli Bonzanigo e Caterina Morinigi, frutto della collaborazione tra Video Sound Art e l’Istituto a indirizzo raro della ceramica e della porcellana Giovanni Caselli, sede della prima Real Fabbrica della Procellana, e il Museo di Capodimonte.
Cibelli, vincitore dell’open call 2018, ha intrapreso una rilettura dell’antica lavorazione della porcellana di Capodimonte con la serie Serenissima, installazione plastica in argilla che si ispira allo spazio domestico settecentesco e che applica ad oggetti quotidiani, come la sedia e lo sgabello, la tecnica dell’intreccio. Le opere si pongono in stretto dialogo con la serie Obstructions e sottolineano l’importanza del tenere sempre viva la memoria delle antiche maestranze, dell’artigianalità di tecniche che si tramandano di generazione in generazione e del patrimonio culturale racchiuso all’interno degli oggetti, a cui va riconosciuto secondo l’artista oltre al valore tecnico anche quello narrativo ed antropologico.

Diego Cibelli, Serenissima, 2018 Real Fabbrica di Capodimonte (Napoli) Colonne e basi in terracotta a tornio Foto di Neroshootings
Diego Cibelli, Serenissima, 2018 Real Fabbrica di Capodimonte (Napoli) Colonne e basi in terracotta a tornio Foto di Neroshootings
Diego Cibelli, Serenissima, 2018 Real Fabbrica di Capodimonte (Napoli) Colonne e basi in terracotta a tornio Foto di Neroshootings
Diego Cibelli, Serenissima, 2018 Real Fabbrica di Capodimonte (Napoli) Colonne e basi in terracotta a tornio Foto di Neroshootings

I was a nervous heat è il progetto scultoreo di Bonzanigo che riflette sul rapporto tra lo spazio vuoto all’interno delle architetture sacre e l’anatomia umana attraverso sezioni in porcellana di una colonna vertebrale. Definita dall’artista “collegamento tra la terra e la mente”, la spina dorsale è l’architettura che sostiene il corpo e l’involucro che protegge il midollo spinale. Queste cavità delineano spazi sacri da cui prende forma e si modella la vita dell’uomo.
Infine, nascoste tra le boiserie dell’Albergo Diurno si trovano i due interventi di Caterina Morigi, Ex voto e il progetto fotografico Lux et Lucus, sviluppati a partire dai violenti danni della tromba d’aria che si è abbattuta quest’anno su Napoli. Attraverso gli ex voto, che nell’antichità simboleggiavano il rapporto tra corpo e spiritualità, l’artista dà forma alla forza della natura lavorando frammenti di legno, insetti e polvere organica. Lux et Lucus, invece, è una raccolte di fotografie di piccolo formato che ritrae gli effetti dell’evento naturale, da osservare individualmente come se stessimo sfogliando un album fotografico. MINE trasforma l’Albergo Diurno Venezia in una miniera in cui si depositano i frammenti che ritraggono l’uomo in tutte le sue sfaccettature. Accolti in quello che negli anni ’20 è stato un vero e proprio tempio dedicato alla cura dell’uomo, queste tracce ripercorrono il valore simbolico e culturale delle sue attività, dalla tradizione millenaria dell’artigianato fino alla produzione moderna in cui l’individuo ricopre sempre una posizione di primo piano, fino ad arrivare al corpo, base di tutte le esperienze e terreno in cui intraprendere anche le più ardite e folli sperimentazioni.

Oli Bonzanigo I was a nervous heat, 2018 33 vertebre (26 pezzi) e 2 crani Porcellana di Capodimonte (Napoli) Foto di Neroshootings
Oli Bonzanigo I was a nervous heat, 2018 33 vertebre (26 pezzi) e 2 crani Porcellana di Capodimonte (Napoli) Foto di Neroshootings
Oli Bonzanigo I was a nervous heat, 2018 33 vertebre (26 pezzi) e 2 crani Porcellana di Capodimonte (Napoli) Foto di Neroshootings
Oli Bonzanigo I was a nervous heat, 2018 33 vertebre (26 pezzi) e 2 crani Porcellana di Capodimonte (Napoli) Foto di Neroshootings
Caterina Morigi, Lux et Lucus, 2018 Real Bosco di Capodimonte (Napoli) Fotografia digitale, legno d’albero spezzato dalla tempesta Foto di Neroshootings
Caterina Morigi, Lux et Lucus, 2018 Real Bosco di Capodimonte (Napoli) Fotografia digitale, legno d’albero spezzato dalla tempesta Foto di Neroshootings
Caterina Morigi, Lux et Lucus, 2018 Real Bosco di Capodimonte (Napoli) Fotografia digitale, legno d’albero spezzato dalla tempesta Foto di Neroshootings
Caterina Morigi, Lux et Lucus, 2018 Real Bosco di Capodimonte (Napoli) Fotografia digitale, legno d’albero spezzato dalla tempesta Foto di Neroshootings