ATP DIARY

Across the Board: Parts of a Whole Ilaria Gianni racconta…

[nemus_slider id=”53197″] — Cinque Mostre,  l’appuntamento annuale che l’American Academy in Rome dedica ai suoi borsisti e ad altri artisti invitati, vede quest’anno come guest curator, Ilaria Gianni. Orchestrando 36 artisti, studiosi, scrittori e musicisti, la curatrice ha dato vita...

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Cinque Mostre,  l’appuntamento annuale che l’American Academy in Rome dedica ai suoi borsisti e ad altri artisti invitati, vede quest’anno come guest curator, Ilaria Gianni. Orchestrando 36 artisti, studiosi, scrittori e musicisti, la curatrice ha dato vita a  Across the Board: Parts of a Whole, che, come spiega, si presenta come “un percorso itinerante e performativo (..) un gioco senza regole fisse che prende l’idea di frammento come punto di inizio di una narrazione.” Coinvolgendo diversi spazi dell’American Academy, il progetto si snoda tra la facciata, l’atrio, l’ampio scalone e il bar. In quest’ultimo luogo è stato pensato un progetto site-specific intitolato The Picture Club: una mostra nella mostra a cura di Ilaria Gianni, Gianni Politi e Saverio Verini.

I partecipanti sono Mark Boulos, Jinn Bronwen Lee, Christopher Cerrone, Karl Daubmann (in collaborazione con il Rome Sustainable Food Project), Javier Galindo, Helena Hladilova, Emily Jacir (con John Lansdowne e Christopher MacEvitt), John Lansdowne (in collaborazione con James Huemoeller), Senam Okudzeto, Woody Pirtle, Public Fiction (con opere di Math Bass, Leidy Churchman, Cécile B. Evans, Stanya Kahn, Nikita Gale, Andrea Longacre-White, Anna Sew Hoy), Bryony Roberts, Alexander Robinson (in collaborazione con Anthony Baus), David Schutter, Maaike Schoorel, Namsal Siedlecki, Mali Annika Skotheim (con la partecipazione di Lysley Tenorio, Javier Galindo, Karl Daubman, Jenny Krieger, Michelle Di Marzo, John Lansdowne), Nina C. Young (in collaborazione con Miro Magloire, Elizabeth Brown Hudec, Daniela Giannuzzi, Simone Ghera).

 Segue l’intervista con la curatrice. 

ATP: Il progetto che hai curato per American Academy in Rome, Across the Board: Parts of a Whole, è complesso per molti punti di vista: il numero di artisti, l’eterogeneità delle ricerca e, non ultimi il fatto che non hai trattato solo artisti (in senso stretto), ma anche ricercatori, compositori, musicisti, scrittori ecc. Mi racconti come è nata l’idea della mostra?

Ilaria Gianni:  Across the Board: Parts of a Whole è un percorso itinerante e performativo articolato in più parti e che intreccia discipline diverse: un gioco senza regole fisse che prende l’idea di frammento come punto di inizio di una narrazione, piuttosto che come sua conclusione. La mostra intende restituire la molteplicità e la vitalità dei linguaggi artistici che caratterizzano l’American Academy in Rome: una comunità formata da artisti, studiosi, ricercatori, compositori, musicisti, architetti e scrittori che, insieme ad altri autori “esterni” all’Accademia, animerà con le proprie opere tutti gli spazi dell’istituzione. Il percorso espositivo toccherà sia gli ambienti interni che l’esterno dell’Accademia, tessendo un racconto interattivo e multimediale che riflette sui concetti di marginalità, autenticità, linguaggio, frammentazione, traduzione e trasformazione: un sistema complesso in grado di rivelare le diversi componenti di un immaginario condiviso dagli artisti, attivando una narrazione sull’idea di memoria e indagando al tempo stesso la possibilità di affrontare il passato come fonte di ispirazione per nuovi approdi.

Across the Board: Parts of a Whole delinea un viaggio durante il quale lo spettatore-giocatore incontra scenari nei quali osservare, imparare e interagire con le opere. L’itinerario abbraccia il “caos” presente in uno studio, proponendo letture divergenti delle voci che costituiscono lo sfaccettato universo culturale. Le singole parti della mostra vanno così a comporre passo dopo passo un sistema complesso e multiforme che interroga il potenziale dell’astrazione e il suo impatto sulla realtà. Il percorso espositivo richiede la partecipazione attiva dello spettatore; solo muovendosi, letteralmente, “across the board” – attraverso i confini – e interagendo con le opere, sarà possibile dare un senso ai singoli frammenti come parte di una totalità più ampia e complessa.  

ATP: Hai messo a fuoco il concetto di ‘astrazione’ per delineare una traccia tra i vari interventi. Come hai coniugato questo concetto?

IG: Ho accolto l’invito di Peter Benson Miller con grande curiosità, intendendolo subito come sfida. Sono arrivata all’ American Academy in Rome con l’intenzione di non imporre una mia idea curatoriale predefinita in cui incasellare i fellows e gli scholars, piuttosto mi sono posta in una modalità di ascolto. Sono entrata negli studi di tutti coloro che hanno dimostrato interesse verso Cinque Mostre, ho passato tanto tempo con le loro (diverse) ricerche e ho prestato attenzione ai termini ricorrenti nelle conversazioni. Sarà perché si trovano a Roma e sono influenzati dal suo passato e dalla sua monumentalità classica, ma le parole che sono stata adoperate più volte da tutti coloro con cui mi sono confrontata sono state: frammento, rovina, traduzione, trasformazione, astrazione. Ogni artista o studioso ne dava un’accezione differente, eppure l’idea di frammento come spazio di potenziale azione generatrice è ritornata nelle ricerche dei compositori come in quelle degli architetti, nelle discussioni con gli storici dell’arte e gli archeologi come nelle opere degli artisti visivi. Tutte le opere e ricerche in mostra partono da una specifica storia, immagine, materiale, astratti dal proprio contesto, tradotti e riformulati in nuova visione e percezione.

Helena Hladilova,   Cinque Mostre,   Across the Board: Parts of a Whole - American Academy in Rome,   2016 - Installation view
Helena Hladilova, Cinque Mostre, Across the Board: Parts of a Whole – American Academy in Rome, 2016 – Installation view

ATP: Altro concetto enucleato è quello di ‘caos’. Per chiarirlo, mi fai degli esempi citandomi delle opere in mostra?

IG: La mostra è divisa in varie stazioni, corrispondenti a diversi spazi dell’accademia in cui sono state spesso messe in relazione più opere a formare spezzoni di dialoghi (parts) che vanno a comporre un discorso (whole). Allo spettatore è richiesto di varcare questi luoghi fisici e concettuali e rapportarsi con i lavori. L’ultima stazione, posizionata del criptoportico dell’accademia, è una sorta di Studio/studio, in cui sono stati riunite molte delle ricerche più teoriche che in occasione di Cinque Mostre – Across the Board: Parts of a Whole hanno trovato un ordine e – spesso per la prima volta – una formalizzazione. Illustrating the Past: Archaeological Illustration in the 21st Century, 2016, dell’illustratrice archeologica Mali Annika Skotheim, è un’indagine sulla teoria del disegno archeologico nell’epoca del virtuosismo tecnologico. È stato chiesto ad una serie di studiosi, artisti e scrittori di illustrare lo stesso oggetto, una coppa in terracotta proveniente dalla collezione dell’American Academy Archaeological Study, e di riflettere sul rapporto tra frammentazione e ricostruzione. Ciascuna rappresentazione non riproduce l’oggetto nella sua interezza ma ne rivela aspetti diversi e queste illustrazioni, palesano le scelte degli studiosi riguardo ciò che credono sia importante preservare e comunicare. Anche il pubblico è interpellato e invitato a prendere parte in questa esplorazione.

Karl Daubmann, architetto e designer (in collaborazione con il Rome Sustainable Food Project), propone Bitten by Borromini, 2016, una serie di stampini per pasta fresca tratti dalle forme concave e convesse di tre cupole di Borromini dalle geometrie e dai rituali complessi (Santa Maria dei Sette Dolori, San Carlo alle Quattro Fontane, Sant’Ivo alla Sapienza): una traduzione delle regole barocche in forme di pasta. Nella prefazione al suo Borromini (1979), Anthony Blunt scrive: “una volta che Borromini ti ha addentato, non ti lascia più andare”. Karl ci da l’opportunità di addentarlo di rimando!

Lo storico dell’arte medievalista John Lansdowne in collaborazione con l’architetto James F. Huemoeller, riflette sull’dea di autorialità e autenticità in Not Made by [Human] Hands, 2016. Il progetto parte dalla leggenda della Veronica o vera icona – una “vera immagine” del volto di Cristo impressa su un panno e principale oggetto di culto venerato a Roma tra il tardo-Medioevo e la prima modernità. La Veronica è un acheiropoieton – una stampa miracolosa “non creata da mani [umane]”. Se la somiglianza di un ritratto può essere verificata grazie all’autore, nel caso della Veronica è stata l’assenza di un artefice umano a rendere l’immagine “vera”. In questo caso la Veronica viene realizzata in 3D e viene mostrato il procedimento con cui è riprodotta, inserendo così il progetto nel più ampio discorso sulla verità nella rappresentazione e invitando lo spettatore a riflettere sui mutevoli criteri di autenticità nell’arte.

ATP: Le opere sono state pensate per i tanti e vari spazi dell’edificio dell’ American Academy in Roma. Quali criteri hai seguito per la suddivisione delle opere nei vari luoghi dell’edificio, anche in relazione alle caratteristiche architettoniche?

 IG: La prima stazione/posizione corrisponde alla facciata dell’edificio e non poteva che essere il luogo ideale per il progetto curatoriale di Public Fiction sotto forma di bandiere create da Math Bass, Leidy Churchman, Cécile B. Evans, Stanya Kahn, Nikita gale, Andrea Longacre-White, Anna Sew Hoy. The Middle Future, sulla facciata, coinvolge lo spettatore, mettendo in discussione le leggi che governano i significati convenzionali, liberando i codici del linguaggio, dei segni e dei significanti in tutte le loro molteplici variazioni. La seconda stazione/posizione è l’atrio con il sua singolare pavimentazione che ha ispirato il lavoro Primo Piano, 2016, dell’architetto Bryony Roberts. Il progetto analizza ed espande le decorazione del pavimento, creando un’oscillazione visiva tra il motivo esistente e i riferimenti alla precedente tradizione cosmatesca e barocca. Il disegno di Primo Piano – creato ritagliando forme da un vinile adesivo – mette in discussione la leggibilità della composizione originale, che si dissolve ai piedi della scala. La terza stazione/posizione è quella del bar, di cui parlerò in seguito, la quarta è corrispondente alla galleria dove sono collocate le opere degli artisti visivi Namsal Siedlecki, Senam Okudzeto, Helena Hladilová, Maaike Schoorel, Mark Boulos, David Schutter, Jinn Bronwen Lee. La galleria è stata trasformata in una palestra per esercizi di linguaggio e stile che mettono in discussione l’idea di rappresentazione. Si prosegue per lo scalone che ha come motivo lo scorrere dell’acqua partendo dalla fontanella esistente sulla cima delle scale e dalla serie di anfore antiche nel cortile interno che hanno ispirato le opere del designer Woody Pirtle e la composizione sonora del musicista Christopher Cerrone. Per concludere si arriva al criptoportico, trasformato in un vero studio per la traduzione di fonti, riferimenti e informazioni che vede protagonisti le ricerche dell’architetto Alexander Robinson, dell’archeologa Mali Annika Skotheim, dell’architetto Karl Daubmann, dello storico dell’arte John Lansdowne e dell’architetto Javier Galindo.

ATP: Per questo grande progetto hai collaborato anche con degli artisti. Mi racconti brevemente ‘la mostra nella mostra’ che avete concepito per il bar dell’American Academy in Rome?

IG: Il bar dell’American Academy è lo scenario di The Picture Club un progetto site-specific, una mostra nella mostra, concepita insieme a Gianni Politi e Saverio Verini. Artisti, autori, designer, illustratori, grafici, stilisti, sono stati chiamati a investigare la natura della rappresentazione, demolendone le convenzioni per creare una visione personale del ritratto come forma soggettiva di espressione. Le opere nuove sono relazionate alla galleria di ritratti storici già presente nel caffè, che riunisce figure che hanno contribuito alla vita culturale dell’American Academy. The Picture Club è concepita come una sorta di “occupazione pacifica” che enfatizza la natura del bar quale luogo privilegiato di incontro tra idee e linguaggi diversi, spazio aperto a conversazioni sorprendenti, conflitti e scambi. Ci siamo molto divertiti a lavorare a questo progetto e siamo stati sorpresi dell’entusiasmo con il quale hanno tutti accolto la proposta. Ogni singolo contributo ci ha stupito: dal taccuino di disegni condiviso da Ester Coen e Nunzio ai racconti di Francesco Pacifico, Antonella Lattanzi, Chiara Barzini, dall’autoritratto di Giuseppe Gallo alla tela di Orazio Battaglia. Non potendo descrivere tutti i lavori – nonostante ognuno meriterebbe un testo critico approfondito – mi limito a riportare la lista completa dei partecipanti: Micol Assaël, Chiara Barzini, Orazio Battaglia, Elena Bellantoni, Pim Blokker, Massimiliano Bomba, Carola Bonfili, Lupo Borgonovo, Joanna Burke, Francesco Ciavaglioli, Sonia Cucculelli, Tomaso De Luca, Gabriele De Santis con Lorenzo Pace e Andrea Polichetti, Fabio Donalisio, Riccardo Falcinelli, Giuseppe Gallo, Helena Hladilová , Emily Jacir, Antonella Lattanzi, Emiliano Maggi, Luigi Ontani, Francesco Pacifico, Woody Pirtle, Gianni Politi, Fabio Quaranta, Lisa Rampilli, Alexander Robinson, Andrea Romano, David Schutter, Namsal Siedlecki, Tommaso Sponzilli e Emma Verdet. Il bar è dunque oggi popolato da nuovi figure, volti e voci – come è giusto che sia.

Cinque Mostre,   Across the Board: Parts of a Whole - American Academy in Rome,   2016 - Installation view
Cinque Mostre, Across the Board: Parts of a Whole – American Academy in Rome, 2016 – Installation view
Bryony Roberts,   Primo Piano,   2016,   site-specific installation,   adhesive vinyl on existing stone floor,   dimensions variable (rendering). Courtesy the artist
Bryony Roberts, Primo Piano, 2016, site-specific installation, adhesive vinyl on existing stone floor, dimensions variable (rendering). Courtesy the artist
Cinque Mostre,   Across the Board: Parts of a Whole - American Academy in Rome,   2016 - Installation view
Cinque Mostre, Across the Board: Parts of a Whole – American Academy in Rome, 2016 – Installation view