Haller non è dunque l’autrice dei libri, ma compone la griglia che gli autori possono riempire, cura lo spazio per i loro esperimenti. L’artista si fa ascoltatrice, redattrice, grafica, testimone. Usa il formato del libro per la sua materialità, per la sua qualità di veicolo di storia e di memoria, per la sua stabilità e mobilità: otto workshop in un anno hanno prodotto trenta libri e migliaia di copie in circolazione.
La reading room installata alla Nomas Foundation invita a immergersi in un universo di memorie intrattabili e di immagini sopravvissute. I libri diventano dispositivi per scoprire i limiti di ciò che può essere veramente immaginato, e dunque visto e sperimentato in termini culturali, del Reale traumatico e non narrabile della guerra.
Sfidando la nostra capacità di richiamare il passato, costringendoci a scrutare l’abisso traumatico che minaccia costantemente il nostro linguaggio, Monica Haller si punta a riattivare il potenziale critico dell’arte come gesto di resistenza, come processo nel quale ogni individuo, esperto o meno, artista o meno, connette se stesso a una comunità e ritrova la capacità di narrare storie e creare immagini.