I (never) explain è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti. “Io non spiego mai nulla”, traduzione letterale dall’inglese, nasce con l’intento di chiedere a una selezione di artisti di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare.
L’esito del materiale raccolto è dei più eterogenei. Aneddoti, tecnicismi, scritti poetici, a volte polemici. Confessioni, svelamenti, coincidenze o scoperte: le narrazioni che gli artisti hanno condiviso con noi ci offrono punti di vista personalissimi e a volte sconosciuti. Un nuovo modo per rileggere e capire delle opere che forse conoscevamo già o che comprendiamo ex novo.
Ci piace pensare a questa raccolta di testi come una chiamata alla profondità, un esercizio d’attenzione e riflessione visiva. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro o serie, dalla sua origine al processo creativo, dall’estetica al concetto.
Ogni focus pone al centro il lavoro dell’artista, che è libero di raccontarsi come meglio crede, coerente con il suo modo di lavorare.
Ω
Alessandro Piangiamore
Il cacciatore di polvere
C’è una situazione per me ideale durante la quale i miei pensieri fluiscono ordinatamente. Accade guidando fuori dalle città, attraversando paesaggi nei quali la vista esclude l’uomo. In quei momenti non parlo con nessuno. Probabilmente, durante molti di questi momenti, mi sono soffermato a guardare i colori diversi della terra.
Certamente, invece, una mattina, in un centro vaccinazioni, guardavo mio figlio mentre provava, in un raggio di sole, a catturare la polvere.
La polvere sfugge, così come sfuggono i venti che, dieci anni fa, ho deciso di collezionare.
È una collezione utopica, interminabile, che ha preso forma con dei ritratti ricavati da piccoli blocchi fatti di terra e acqua esposti al vento, ciascuno a quello di cui porta il nome.
Sono piccole forme fragili che perdono granelli ad ogni spostamento, destinate a rimanere immobili per non sparire.
La scorsa estate, guidando, mi sono fermato più volte per riempire dei sacchi con dei pezzi di quei paesaggi, fatti di terre che spariscono sotto l’erba, si bruciano al sole e si spaccano per riempirsi d’acqua e cambiare colore con la pioggia. Mi sono fermato dai piedi dell’Etna ai Monti Erei, passando per la punta barocca, riempendo il porta bagagli di polvere, senza nessuno scopo preciso.
Un giorno, toccando quelle terre, ho avuto la sensazione chiara di riuscire a riconoscerne la consistenza, quasi la forma.
La vera forma è arrivata recentemente, in occasione di La Chair des choses (Dans la poussière, les abeilles et le pétrole font la lumière) – La carne delle cose (nella povere, api e petrolio fanno luce), una mostra personale ancora in corso al Centre d’art contemporain La Halle des bouchers di Vienne. Ha preso forma senza uno schema logico, sul pavimento, delimitando una larga porzione di spazio dalla quale l’uomo è escluso, fatta eccezione per il suo sguardo che lo pone in una condizione contemplativa.
Il momento in cui l’ho realizzato non ha avuto un precedente: nessuna prova, nessuna premeditazione, in fondo c’è una componente del mio lavoro che è sempre affidata al caso, che è sempre più incisivo di me. Mi sono limitato a stendere un velo di polvere, piatto, e, nel frattempo, mi rendevo conto che tutte le parti erano in accordo, forse perché la terra è sempre in accordo con la terra. Stendendo questo velo, molto lentamente, dal dentro del perimetro, mi sono ritrovato fuori, senza alcuna possibilità di ripensamento.
Non so se lo spettatore condivide la mia stessa sensazione di esclusione mischiata a una forte attrazione tattile, la stessa sensazione di fraintendimento che io percepisco.
Di fatto il suo perimetro preciso e netto e l’emergere, in questo caso, delle colonne dal suo interno, così come la sua consistenza visivamente morbida, contribuiscono ad accentuarne l’ambiguità.
Il cacciatore di polvere mi fa pensare alla mimetica di un cacciatore, altre volte a un tappeto sul quale non ho il coraggio di salire.
Ma in fondo non mi ricorda nulla.
Ha per me ancora qualcosa di misterioso, che mi spinge a guardarlo: una sorta di magnetismo che genera riverenza e frustrazione, perché prima era solo terra e, adesso, non lo posso toccare.
Per caso, mentre scrivevo questo testo, mi sono imbattuto in una poesia di Giuseppe Ungaretti:
Tappeto
Ogni colore si espande e si adagia
negli altri colori
Per essere più solo se lo guardi.
Giuseppe Ungaretti (L’allegria 1914-1919)
I (never) explain è una rubrica a cura di Irene Sofia Comi
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.
Ha collaborato Irene Sofia Comi