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Pluriball – Bubblewrap – Polistirolo – Cartone – Poliuretano – Vetro. I materiali utilizzati da Vera Kox sono comuni, conosciuti, vicini. Forse è proprio perché ne abbiamo esperienza che il loro combinarsi, alternando pesi e textures – pur mantenendo una certa estetica quasi precaria da DIY – li trasforma in opere da un’ambigua monumentalità.
La prima personale dell’artista in Italia, curata da Maria Villa a Ribot Gallery (fino al 30 Aprile) può essere forse in questo senso considerata una riflessione sulla scultura in cui le opere sembrano sospese tra uno stato fisico e l’altro. Il titolo della mostra “Fit Frame to Content”, il comando dei programmi di impaginazione (Photoshop / Indesign) e’ qui traslato nel fare fisico della scultura riferendosi sia al rapporto che le opere hanno con lo spazio che le ospita, sia a quello tra contenuto e forma, che in questo caso coincidono nel più dichiarato dei modi con l’utilizzo dei materiali di imballaggio e nel più esteso concetto di packaging.
Se le opere al piano superiore “Infinity Jetztl” (2014) e “Reassuring Inertia” (2014) suggeriscono una struttura in espansione e in movimento accoppiando poliuretano espanso a lastre di vetro; la più recente “Perseverance Series” (2016) e’ più composta e raccolta, come se le sculture fossero effettivamente il “contenitore” delle opere stesse, che a queste forme e superfici coincidono. Particolarmente attraente – come un regalo ancora da scartare, una scatola con scritto fragile, un profumo che scelgo dalla confezione – la serie di otto bassorilievi incastonati di chips colorate di polistirolo.


