Staging the Residency | Yara Piras

Prima intervista con una degli artisti in residenza all'Archivio Viafarini e VIR - Settembre - Dicembre 2021
7 Novembre 2021
Io, il più lurido di tutti i pronomi, 2021. Courtesy: l’artista

Intervista di Tommaso Pagani —

In occasione di Walk-in Studio 2021 hai presentato l’installazione Io, il più lurido di tutti i pronomi il cui titolo allude all’invettiva di Carlo Emilio Gadda. Partendo dalla constatazione che l’impiego dei pronomi di prima persona postula l’unicità del referente, dell’io, per Gadda quest’uso apre la via all’insorgere dell’egoismo e del narcisismo. Come si traslano queste riflessioni nel tuo lavoro?

Io, il più lurido di tutti i pronomi pone al centro della riflessione l’io. Una riflessione costretta che porta lo spettatore – il pensatore – a sedersi e valutare, meditare, pensare a sé stesso. Ma questa riflessione avviene guardando la proiezione della scrittura di altri; quindi, l’io stesso o si identifica o si annulla. A chiusura la diapositiva che recita le parole di Gadda, parole ironiche, profonde e spiazzanti, che portano lo spettatore a guardarsi e a disconoscersi. Anche se, in fondo, l’opera nasce da un più profondo ed egoistico bisogno di studiare, conoscere e indagare il mio io, senza cercarlo, se non attraverso la creazione di un’opera.

Io, il più lurido di tutti i pronomi, 2021. Courtesy: l’artista

In che modo il confronto con gli artisti in Viafarini, e in generale la natura discorsiva e dialogica della residenza, ha influito su questo progetto, modificandone i presupposti e le istanze iniziali?

L’incontro con gli artisti è stato prezioso in quanto ho potuto constatare nel dialogo reciproco o il semplice scambio di alcuni contenuti progettuali, che le indagini o il nucleo della ricerca si incontravano. Così nell’opera ho integrato, oltre alle riflessioni tratte dalla cognizione del dolore, altre voci o meglio scritte, quelle dei residenti. Ho chiesto a chi volesse partecipare, di scrivere sul mio quaderno degli appunti il semplice pronome “io”. Per tutti lo stesso paradigma. Così il contenuto era lo stesso, ma la forma mutava di pagina in pagina: le diverse calligrafie e personalità si facevano voce del proprio io. In questo modo ho potuto regalare allo spettatore il ritrovarsi oltre che al disconoscersi.

44.86.96, 2017. Courtesy: l’artista

In opposizione all’idea di archivio come deposito polveroso e caotico radicata nell’immaginario comune, Michel Foucault ne parla in termini di “sistemi generali della formazione e trasformazione degli enunciati”.  Che ruolo ha l’archivio nella tua pratica? 

L’archivio, sia come luogo fisico sia come luogo simbolico, ha diversi elementi interessanti da studiare e su cui riflettere. La traccia che contrasta l’effimerità del presente. La serialità e il collezionismo che permettono di sfuggire – temporaneamente – ai vuoti di conoscenza. Il racchiudere in un concetto semplice il più potente organo di controllo e accessibilità al mondo. Nelle prime opere ho attinto al concetto di archivio come fonte materiale, per esempio in 44.86.96 e Crocifissione contemporanea, dove ho usato bobine mediche e lastre a raggi x. Poi ne ho sottolineato il valore politico in Pianto orientale ai funerali di Mao, dove ho sfruttato le riprese storiche della veglia funebre del dittatore cinese per la creazione dell’opera; o in Sbandierare ai quattro venti, dove ho utilizzato le immagini censurate del regime fascista. Queste diverse sfaccettature costituiscono una grande risorsa che inconsciamente o consciamente mi attrae e mi aiuta a veicolare il mio messaggio.

Sbandierare ai quattro venti, 2021. Courtesy: l’artista

Come sottolineato da Cristina Baldacci, l’archeologia dei media, su cui si fonda la stessa archeologia del sapere, si fa carico di “indagare il supporto, i processi e la durata con cui le storie sono registrate”. Nella tua mostra personale Yara Piras: La Prima a Fondazione Pini hai presentato pellicole e diapositive d’archivio, indagandone sia il ruolo, sia l’obsolescenza. Da dove nasce questo tuo interesse e perché ritieni importanti questi materiali per descrivere la contemporaneità?

L’ attenzione per la pellicola nasce con l’interesse per la fotografia, primo mezzo con cui mi sono approcciata alla sperimentazione. Poi è arrivata la proiezione, la macchina da presa, i materiali scultorei e il super 8. Tutti questi materiali sono, come sottolinea Tacita Dean, utilizzati come un medium, come mezzo artistico, più che media. In questi anni la tecnologia digitale corre a una velocità esponenziale, e usare questi mezzi, oltre ad avere valore di testimonianza e memoria, assume un valore critico e politico.

Il Cinema, Una Finestra, 2020. Courtesy: l’artista
Proiezione in difficoltà, 2021. Courtesy: l’artista

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