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Semplicemente Scatti. Questo il titolo della rassegna fotografica ospitata nel nuovo spazio Marsèll Paradise: un luogo dal programma eterogeneo e imprevedibile. La rassegna Scatti è un progetto a lungo termine che ospiterà 20 fotografi – italiani e stranieri – che lavorano e si relazionano con il territorio milanese. A selezionare i talenti, il team di Marsèll Paradise Milano, esperti di fotografia – Gloria Maria Cappelletti, Marco Cendron e Riccardo Conti – e una call pubblica.
Lo scorso dicembre, ad aprire il programma Alan Maglio (Milano, 1979), fotografo e regista, che ha propone per questo appuntamento una rivisitazione di Milano Centrale, suo docu-film del 2007 sulla stazione di Milano crocevia di vite, storie, luci ed ombre.
Seguono alcune domande al fotografo —
ATP: Quali sono le tue fonti d’ispirazione?
Alan Maglio: Ascolto molto la musica in vinile, mi piace mettere sul piatto specialmente grandi classici come Gil Evans, Miles Davis o Sun Ra… Sono da sempre un amante del jazz ma anche del rock/metal più oscuro, sono capace di uscire di casa solo per girare in macchina senza una meta per il piacere di tenere i Black Sabbath a palla e il finestrino giù. Mi attrae l’onirico e il surreale. Poi gioco a scacchi, guardo la gente nei bar, cerco di viaggiare appena possibile. L’arte della “composizione” si ritrova in tante discipline, che siano legate alle immagini, ai suoni o altro non è così importante.
ATP: Come racconteresti la tua ricerca fotografica?
AM: Succede che a volte mi immergo nelle situazioni, nelle storie delle persone o dei luoghi, comincio ad assorbire e raccontare, restituendo gli stimoli attraverso la creazione immagini. E’ un’esperienza di parziale svuotamento e osservazione partecipata, se vogliamo dirla in termini cari all’antropologia. L’argomento può variare tanto quanto il mezzo. Ho raccontato attraversamenti in Giappone, Turchia, ma anche le comunità africane di Milano, le botteghe dei barbieri migrati dal Sud verso il Nord-Italia negli anni ’50. Identità e spostamento sono due tematiche che ritornano, spesso mi ritrovo a dare un sapore notturno alle fotografie. Ho lavorato utilizzando camere di ogni tipo, analogiche e digitali, anche se negli ultimi anni la Rollei 6×6 resta il mio primo pensiero quando devo scegliere come esprimere.
ATP: Sei più interessato a catturare l’istante o la durata intrinseca all’immagine?
AM: Sono interessato all’empatia. Alle connessioni che si possono ritrovare tra contesti differenti. Mi piace l’idea di addormentarmi nella speranza di avere sogni notturni. Mi piace da matti il cinema, ma anche se ho fatto due film continuo a preferire la fotografia. Perchè è imparentata con il frammentario, con l’archeologia, con il ritrovamento e l’indagine. Mi entusiasmo nell’incontrare di persona quelli che considero i miei maestri di percorso, come mi è capitato con Alberto Garcia-Alix, Abbas Kiarostami, Werner Herzog o Mulatu Astatke: nomi che fanno parte di una specie di carovana in spedizione pionieristica che ha tracciato la bozza dei sentieri verso i quali andare in futuro, gente che in molti casi ancora oggi comunque non ha smesso di cercare.
ATP: Quando lavori per un progetto espositivo, solitamente cosa segui per scegliere le immagini? Qual’è il filo conduttore?
AM: Mi ripeterò, scelgo le intuizioni di pancia e assecondo le sensazioni, cercando di mantenere un equilibrio tra ciò che mi piace con ciò che funziona nella struttura. L’allenamento è una questione fondamentale. La capacità di vedere o di mettere insieme elementi non è frutto del caso ma deriva dall’amore per la materia. Se restiamo allenati diamo delle chances in più alla nostra capacità di intuire passaggi interessanti e originali. Poi da qualche tempo sto imparando a chiedere aiuto agli altri, è stato fondamentale il contributo dato dal montatore nei film che ho realizzato. Quando collabori con qualcuno con cui riesci a creare uno stato di fiducia e reciprocità, anche solo per un periodo di lavoro insieme, riesci a vedere il tuo stesso lavoro sotto una nuova luce, e non ti concentri su quanto sia meno “tuo” ma su quanto possa essere più bello.
ATP: In merito all’appuntamento da Marsèll Paradise, SCATTI, cosa racconti con la tue sequenza di immagini?
AM: Ho portato nella mostra a Marsèll Paradise una serie scattata circa dieci anni, mentre realizzavo il mio primo film “Milano Centrale – Stories from the Train Station”. Si tratta di una collezione di storie, ritratti e scene di vita delle comunità africane che vivevano nei dintorni della stazione milanese. Persone che sceglievano la piazza per ritrovarsi, per condurre i propri affari personali o famigliari. Durante le riprese del film a volte chiedevo alla gente di posare per qualche ritratto, altre volte qualcuno mi chiamava per farsi una foto con amici e parenti di passaggio. E’ successo tutto in modo spontaneo è naturale, pur in un contesto che mi rendo conto essere abbastanza borderline. D’altronde quando ci nasce sotto una certa stella ci si riconosce. Sono stato felicissimo di riprendere in mano questo lavoro e di affinare la selezione degli scatti per farne una mostra dopo 10 anni. L’esperienza di collaborazione con Marsèll Paradise è stata entusiasmante, mi sono divertito molto.
ATP: Progetti futuri?
AM: Verso la fine del 2015 ho noleggiato un auto a Madrid e guidando sono arrivato fino a Lisbona, attraversando l’Extremadura, una regione della penisola iberica molto legata all’agricoltura e davvero poco densa di centri urbani. In una settantina di rulli ho raccontato l’andare della strada, le due grandi capitali europee come partenza e arrivo, il susseguirsi dei paesini e campagne nel mezzo. Una composizione di pieni e vuoti. Vorrei fare un libro con il materiale che ho raccolto, ci sto lavorando.