Reading Room #17 | Francesco Pedraglio

"Libri che per un lasso di tempo imprecisato - fino a che un titolo unico non monopolizzerà la mia attenzione, riportandomi alla più classica monogamia letteraria - occupano diverse poltrone, sedie, comodini, divani e mensole sia di casa che dello studio."
14 Agosto 2018

L’idea è semplice: consiste nello stilare un elenco tanto accurato quanto immaginario delle mie letture d’oggi, Giovedì 19 Luglio 2018. E vista la linearità dell’impresa, lo svolgimento è altrettanto ovvio: una lista di un numero imprecisato di libri che ho iniziato ultimamente, diciamo nell’ultimo mese, e che leggo frammentariamente e indistintamente a seconda dell’ora e dell’umore. Libri che per un lasso di tempo imprecisato – fino a che un titolo unico non monopolizzerà la mia attenzione, riportandomi alla più classica monogamia letteraria – occupano diverse poltrone, sedie, comodini, divani e mensole sia di casa che dello studio.

Inizierei l’elenco in piena notte. Il perché non lo so. Forse perché è estate, e l’estate è la stagione in cui inaspettate crisi d’insonnia mi costringono ad accendere la luce quando dovrei essere nella fase 4 del sonno profondo. O forse perché fa caldo e non ho mai cambiato questo stramaledetto piumone invernale; o perché la festa dei vicini imperversa sulla terrazze comunicante alla mia. Fatto sta che la prima pagina della mia giornata, di questo 19 Luglio, la leggo alle tre di notte. Il libretto se ne sta da giorni lì appoggiato a pochi centimetri dal mio cuscino, come se già se l’aspettasse d’essere chiamato in causa durante una notte simile.

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E in effetti, proprio grazie alla brevità delle storie e l’astrattezza dei personaggi ritratti, devo ammettere che si tratta d’una lettura ideale per un insonne. Detto ciò, è anche vero che sono le tre e venti di notte e devo dormire.

Passano poche ore alla sveglia e alzarsi è duro. La notte non ha certo portato consiglio. Così il secondo punto della mia lista dev’essere dopo colazione. Anzi, dopo il secondo caffe della mattina. Me lo immagino svilupparsi nella sua interezza sulla poltrona color cammello della sala, le tende spalancate su una mattinata soleggiata. Anche in questo caso, il libro è lì ad aspettarmi.

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È un’ossessione recente, questa della traduzione. Ed ecco un libro che potrebbe essere descritto allo stesso tempo come un testo critico, una panoramica storica sull’idea di traduzione, il principio di un possibile romanzo, nonché un’autobiografia della scrittrice stessa. Ma ormai la giornata è più che incominciata e non ho tempo per perdermi in riflessioni… devo uscire. Quindi il prossimo punto me lo immagino in un vagone mezzo vuoto della line 9 della metropolitana di Città del Messico. Trovo persino da sedermi.

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Non riesco nemmeno a finire un capitolo ed ecco la mia fermata. Chiudo il libro e scendo. Così il quarto punto me lo immagino sulla mia sedia preferita dello studio. Magari pure in giardino. Probabilmente durante la pausa pranza o dopo il cafe. In questo caso il libro non è lì ad aspettarmi. Negli ultimi tempi lo lascio sulla mensola sopra la scrivania così che, se la giornata e la temperatura lo permettono, me lo possa portare in giardino per leggere qualche pagina.

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Ma sono già le cinque del pomeriggio e ho combinato ben poco. Meglio concentrarmi un po’ e muovermi immediatamente al punto cinque. Un paio d’ore dopo e sono di nuovo a casa. Mio figlio è a letto e posso rilassarmi. Mi sdraio sul divano e solo a quel punto m’accordo d’essermici siedo sopra, al quinto libro.

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Ancora una vaga riferimento all’arte di tradurre. Inizio a intravedere una linea nelle mie letture.

Quindi cena, un paio di bicchieri vino, magari un film e dritto a letto. Ma non prima del sesto ed ultimo punto. E questo non posso che immaginarmelo sulla sedia Acapulco dove impilo i vestiti prima d’andarmene a dormire e dove cerco di rilassarmi nella speranza d’una notte di sonno profondo.

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La prima edizione dell’Odissea di Omero tradotta da una donna: ma allora una linea c’è davvero.

E quale miglior modo per andarmene a dormire e aspettare che, in poche ore, il ciclo ricominci?

APPENDICE

Negli ultimi dieci anni ho impacchettato più volte i miei libri, per poi spacchettarli in altri appartamenti e altre città. E così, da qualche anno a questa parte, ho preso l’abitudine di trattare con riguardo uno scaffale specifico della libreria in cui ogni volta m’accingo a riordinare i libri. Si tratta dello scaffale centrale, altezza occhio, 1 metro e 60 circa da terra.

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Il fatto è che, ogni volta un amico, un ospite, un famigliare si avvicina alla libreria con curiosità, c’è un’alta probabilità che proprio quello sarà il primo scaffale che incontreranno, quello che provocherà la prima immagine mentale del tipo di libreria che stanno osservando. Per questo mi sforzo di curarne attentamente la selezione.

Nell’ultima versione, qui a Città del Messico, nello scaffale-centrale-altezza-occhio non mancano, tra gli altri, Cosmos di Witold Gombrowicz, Viaggio al termine della notte di Céline, Anversa di Bolaño, Speedboat di Renata Adler, Sogni di Sogni di Tabucchi, Distruggere lei dice di Marguerite Duras, Centuria di Manganelli, Alfabeto di Inger Christensen, The use of speech di Nathalie Sarraute, Sixty Stories di Donald Barthelme, Lunch Poems di Frank O’Hara. Ma anche Magris, César Aira, Juan Rulfo, John Ashbery eccetera, eccetera.

Quindi la prossima volta che, a casa d’amici, conoscenti o famigliari, vi troverete di fronte a una biblioteca personale, consiglio vivamente d’iniziate da quello scaffale… centrale, altezza occhio.

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