Testo di Alessandra Caldarelli —
Per la seconda volta dopo la collettiva Part 1 ospitata in galleria nel 2017, che aveva come intento proprio quello di presentare giovani artisti e artiste della scena contemporanea romana, Alessandra Bonomo presenta una doppia personale delle due romane Lulù Nuti e Delfina Scarpa a cura di Teodora di Robilant.
Raccontare la personale di Delfina Scarpa e Lulù Nuti è come descrivere un percorso lungo un anno, l’ultimo difficile insieme di dodici mesi che hanno caratterizzato la vita di tutti anche se in modo diverso: un percorso, quello di queste due artiste giovanissime, apparentemente molto diverso l’una dall’altra, che trova però nella simultaneità della visione il proprio punto di incontro, sia da un punto di vista formale che di contenuto.
La reclusione e l’isolamento, che hanno creato inevitabilmente una forma di routine forzata nell’atto del creare – scultoreo per Nuti e pittorico per Scarpa – rivelano percorsi, “geografie e ritratti di paesaggi” come li definisce la curatrice Teodora di Robilant, che raccontano dei non-luoghi sospesi tra lo spazio e il tempo.
Lulù Nuti porta avanti la sua ricerca a partire dalla materia e dalla tecnica del calco della sua serie Calcare il Mondo, cui punto di partenza è la relazione tra il processo di produzione dei materiali da costruzione – nel suo caso il cemento, il gesso, la colla da piastrelle tra gli altri, che si accompagnano all’uso di pigmenti – e il loro impatto sull’ecosistema. Dall’altra parte, Delfina Scarpa dipinge luoghi che somigliano a paesaggi lunari, panorami dal colore iridescente che appartengono agli angoli della memoria dell’artista: come in Ninfa o Sermoneta protagonisti sono quei tracciati già percorsi, passaggi familiari che restano testimoniati sotto alla stratificazione di acrilici, cera, smalti che l’artista getta sulla tela in un atto immediato, spontaneo.
Ecco allora che quelle scene apparentemente prive di un legame con la realtà, si arricchiscono di una dimensione intima, personale, in cui i colori del mondo sono colori nuovi che vengono dalla sfera del ricordo e che trasformano anche le forme che l’occhio riesce a vedere. “Alcune di esse sono al limite della sfera irreale, sembra materializzarsi così la scena di un’alba del cosmo, che si apre come uno spazio e un tempo per la generazione di nuove possibilità”: l’atto creativo è un atto generativo e rigenerativo del reale.
Sempre la memoria segna il fondamento radicale delle sculture di Lulù Nuti che ricordano creature provenienti dai fondali marini, come Sun Sulfur Iron in cui la presenza di pigmento fluorescente rende il gesso e il cemento investiti di un raggio luminoso di vita. “Le opere di Nuti sono parte del progetto cosmologico mirato a calcare il mondo per riprodurlo altrove, cercando di confinarne la forma e conservarne la memoria”: come scrive la curatrice, una traccia del passato resta aggrappata al calco, resta attaccata alla forma.
Restano le tracce di un mondo diverso, cambiato alla fine di un processo di maturazione della materia, come se gli spazi della galleria fossero il teatro di una nuova creazione dopo un’esplosione. Creature uscite da mondi lontani che fluttuano nelle grandi campiture di bianco e di luce.
Galleria Alessandra Bonomo, Via del Gesù 62, Roma
Dal 25 febbraio al 30 aprile 2021