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How to dress a whale? Matt Mullican in Pirelli HangarBicocca | Intervista con Roberta Tenconi  

[nemus_slider id=”74070″] — Già dalla scelta del titolo – The Feeling of Things – si evincono quelle che sono le priorità della sua ricerca: “Il titolo della mostra segue in sequenza una serie di precedenti in cui l’accento era sul...

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Già dalla scelta del titolo – The Feeling of Things – si evincono quelle che sono le priorità della sua ricerca: “Il titolo della mostra segue in sequenza una serie di precedenti in cui l’accento era sul significato delle cose (The Meaning of Things) o sull’idea di organizzare il mondo (Organizing the World) mentre qui il focus è proprio la percezione del mondo, ovvero il sentire.” Dalla lunga intervista che segue con la curatrice Roberta Tenconi, comprendiamo le motivazioni, le esigenze e le necessità che danno forza e intensità alla ricerca di Matt Mullican, l’artista statunitense a cui Pirelli HangarBicocca dedicata la più grande retrospettiva mai realizzata sul suo lavoro.
Attivo dagli anni Settanta, Mullican è stato uno dei primi artisti a utilizzare l’ipnosi come pratica performativa nell’arte. In mostra potremo vedere fotografie che documentano le prime performance, così come disegni, dipinti e intere installazioni realizzate sotto ipnosi. Costellato di migliaia di opere, il percorso despositivo è strutturato per immergerci nell’articolata cosmologia dei “cinque mondi” concepita dall’artista: un singolare sistema di rappresentazione della realtà composto da immagini, pittogrammi, icone, codici, segni, simboli e colori.
Visitabile dal 12 aprile al 16 settembre 2018, la mostra si sviluppa nei 5.000 metri quadrati delle Navate di Pirelli HangarBicocca, dimensioni che hanno stimolato l’immaginazione dell’artista: “Una metafora che spesso utilizza Matt a proposito delle Navate è quella della balena e parlando della mostra si è continuamente chiesto ‘How to dress a whale?’.  E la miglior soluzione possibile, è sembrata da subito trattare lo spazio come un unicum” spiega la Tenconi, “Concependo un’unica grande installazione architettonica che funzionasse in modo autonomo ma che al suo interno potesse anche contenere una molteplicità di opere.”

Intervista con Roberta Tenconi —

ATP: La mostra ospitata in Pirelli HangarBicocca sull’opera di Matt Mullican, è tra le più ampie retrospettive mai dedicate all’artista. La mostra copre la sua ricerca dagli anni ’70 fino alle opere più recenti. Idealmente, mi descrivi l’opera che apre l’esposizione e quella che, sempre, simbolicamente, chiude il lungo percorso professionale dell’artista californiano?

Roberta Tenconi: La mostra è a tutti gli effetti la più grande retrospettiva mai fatta sul  lavoro di Matt Mullican. Sono incluse migliaia di opere, molte riviste per la prima volta a decenni della loro creazione. La mostra non segue un ordine cronologico ma piuttosto quello della cosmologia su cui da anni  lavora Mullican: possiamo dire che la mostra si  apre con opere che hanno a che fare con la soggettività, la parte più profonda dell’io e della percezione interiore, per chiudersi con il mondo della materia e degli elementi naturali. Tra questi due poli si compie un viaggio attraverso vari gradi di percezione della realtà, in cui continuamente si vedono ripetersi e tornare gli stessi simboli e le medesime immagini, ossessivamente rielaborate da Matt Mullican  in centinaia e centinaia di declinazioni. In particolare, il primissimo simbolo che apre la mostra è quello di un cerchio bianco con due anelli concentrici neri, sullo sfondo di una bandiera rossa.
Nella cosmologia dell’artista rappresenta il paradiso (Heaven), ovvero la più alta e concettuale esperienza puramente mentale, il nostro inconscio e quello che concerne gli aspetti spirituali dell’esistenza. Quindi possiamo dire che anche simbolicamente la mostra si apre con l’esperienza soggettiva, il mondo delle idee – che davvero è all’origine di tutto il lavoro di Matt Mullican.  Mentre la chiusura ideale, per me è un dipinto eseguito con la tecnica del frottage su cui si legge “No Felling”. È esposto in un angolo della strabiliante quadreria di opere che riveste interamente le pareti  del Cubo, sono oltre mille metri quadrati di superficie interamente coperti da dipinti. No Felling, posto in un angolo,  sembra quasi la firma invisibile dell’artista: la mostra si intitola infatti “The Feeling of Things” e quest’opera sembra quasi un monito per ripercorrere il  percorso a ritroso, in un ciclo continuo di pensieri e di domande sulla nostra percezione.

Matt Mullican Exhibition view, “Matt Mullican: Organizing the World”, Haus der Kunst, Munich, 2011 Courtesy the artist and Mai 36 Galerie, Zurich Photo: Jens Weber, Munich
Matt Mullican Exhibition view, “Matt Mullican: Organizing the World”, Haus der Kunst, Munich, 2011 Courtesy the artist and Mai 36 Galerie, Zurich Photo: Jens Weber, Munich

ATP: La mostra si articola attorno alla complessa cosmologia concepita dall’artista  dei “cinque mondi”. Brevemente, in cosa consiste questa ripartizione in cinque ambienti, caratterizzati da altrettanti colori: verde, giallo, nero, rosso e blu?

RT: La volontà di creare una cosmologia, ovvero di un sistema con cui cerca di spiegare e ordinare la sua esperienza dell’universo, compare nel lavoro di Mullican fin dagli esordi,  all’inizio degli anni Settanta. Ma è solo negli anni Ottanta che prende la forma di quella che lui chiama “i cinque mondi”. Si tratta di un modello del tutto personale in cui Mullican divide la realtà dell’esperienza umana in cinque stati di percezione, ciascuno arbitrariamente associato a un colore. Uno dei modi preferiti da Mullican per spiegare il significato e le caratteristiche di questi cinque livelli è a partire dall’esempio di un mazzo di chiavi.
Nel mondo degli elementi naturali, rappresentato dal colore verde, le chiavi non hanno nessuna funzione, non sono altro che la materia, il metallo di cui sono composte; mentre nell’ambito della vita quotidiana, che corrisponde al colore blu, le chiavi sono lo strumento per aprire la porta di casa o accendere la macchina. Nella sfera delle arti e della scienza, ovvero in cui gli oggetti acquistano un determinato valore che non corrisponde con la loro funzione, associato al colore giallo (come l’oro di una cornice), le chiavi ad esempio appartenute a Elvis Presley sarebbero battute all’asta per migliaia di euro in quanto appunto oggetto di una star.
Segue il livello del linguaggio e dei segni, ovvero della comunicazione, affiliato al colore nero,  in cui seguendo la metafora delle chiavi, sarebbero qui rappresentate su un poster o su una campagna pubblicitaria, quindi come un’immagine o un simbolo; e infine il mondo della pura soggettività e delle idee, suggerito dal colore rosso, in cui il significato del mazzo di chiavi non ha nulla di oggettivo ma si lega esclusivamente all’esperienza personale che si ha di esso – nel caso di Matt, ad esempio, sarebbe l’avversione che prova verso le chiavi, che infatti non porta mai in tasca.

 ATP: Per approfondire la sua ricerca incentrata sulla tensione tra realtà e percezione, Matt Mullican ha utilizzato la pratica dell’ipnosi per esplorare l’inconscio. Come sarà rappresentata o raccontata questa branchia della sua ricerca nella mostra all’HangarBicocca?

RT: Matt ha iniziato a realizzare performance e opere in stato di profonda trance autoindotta fin dall’inizio degli anni Settanta, e dal 1979 anche avvalendosi della collaborazione di un ipnotista. In mostra ci sono fotografie che documentano le prime performance – come ad esempio quella in cui seduto davanti all’immagine di una stampa di Piranesi descriveva il viaggio mentale all’interno dell’immagine stessa (Entering the Picture, 1973) – così come disegni, dipinti e intere installazioni realizzate sotto ipnosi – la più complessa e imponente è sicuramente Learning from That Person (2005), un grande labirinto di stanze fatte di lenzuoli bianchi su cui sono incollati disegni realizzati da “Quella persona”, ovvero l’alter ego dell’artista che a partire dagli anni Novanta emerge come perosnalità durante le sue performance sotto ipnosi.  Poi, ed è un evento piuttosto eccezionale e ormai sempre più raro, il 26 maggio Matt realizzerà all’interno della mostra una nuova performance sotto ipnosi.

ATP: I titolo della mostra “The Feeling of Things”, sembra alludere alla necessità dell’uomo contemporaneo di ‘ri-sintonizzarsi’ con i vari aspetti dell’esistenza: ascoltarne gli umore o un intrinseco sentimento. E’ questo che cela il titolo o quali altri motivazioni possiamo scoprire?

RT: Il titolo della mostra segue in sequenza una serie di precedenti in cui l’accento era sul significato delle cose (The Meaning of Things) o sull’idea di organizzare il mondo (Organizing the World) e qui ora il focus è proprio la percezione del mondo, ovvero il sentire. La sensazione che si prova osservando qualcosa,  l’empatia e il modo in cui il nostro corpo reagisce alla vista di oggetti o situazione è quanto interessa a Matt Mullican. Ovviamente si tratta di qualcosa che non è solo fisico, anzi nel suo lavoro Matt cerca proprio di dimostrare l’esistenza di una vita e di sensazioni oltre la realtà oggettiva, come ad esempio all’interno di un immagine – come nella serie di disegni Stick Figure, in cui sottopone un personaggio di nome Glen,  ridotto ai minimi termini di stilizzazione anatonima, a provare sensazioni come respirare ma anche provare paura o dolore.

Matt Mullican Untitled (History), 2013 (1987) Courtesy the artist and Massimo De Carlo, Milan/London/Hong Kong Photo: Alessandro Zambianchi
Matt Mullican Untitled (History), 2013 (1987) Courtesy the artist and Massimo De Carlo, Milan/London/Hong Kong Photo: Alessandro Zambianchi

 ATP: Sin dai primi anni settanta Mullican si è interessato alla capacità che ha l’immagine di afferrare la nostra coscienza e creare un’esperienza. La sua ricerca sui segni onnipresenti nella realtà, sia manifesti che celati, lo hanno portato a sviluppare una costellazione segnica  che va dalle più banali insegne pubblicitarie alla segnaletica stradale, spaziando però anche in culture extra-occidentali. Come si legge questa eterogeneità semantica nel contesto della mostra? Come si orienterà lo spettatore che magari conosce poco la ricerca dell’artista?

RT: La mostra è una tassonomia di simboli ma l’idea dell’allestimento è anche quella delle scatole cinesi: innanzitutto si incontrano simboli e opere stando fisicamente all’interno di un simbolo stesso – la grande struttura di muri bassi che costituisce il perimetro all’interno del quale sono esposti i lavori ha le caratteristiche e la forma della cosmologia dei “cinque mondi” di Mullican –  e poi gli stessi segni e immagini sono persistentemente reiterate e declinate centinaia e centinaia di volte.
È come compiere un viaggio nell’universo e nel cervello di Matt Mullican,  in cui a un certo punto il linguaggio diventa familiare, si inizia a riconoscerne la grammatica e quindi ad avere dei déjà vu.  Ad esempio, tutte le volte che si vedono tanti piccoli  cerchi accostati, questi rappresentano il mondo degli elementi, mentre il simbolo stilizzato del globo sta a indicare il mondo della vita quotidiana o, se incorniciato in un quadrato, quello dell’arte e della scienza. Poi certamente è di grande aiuto leggere la guida a disposizione di tutti i visitatori e approfondire le opere con i mediatori culturali presenti in mostra.  Un momento molto speciale sarà anche la lecture del 3 maggio, una vera e propria performance in cui Mullican parlerà del  suo lavoro tracciandone i significati e le premesse.

ATP: Ci racconteresti le reazioni dell’artista in merito allo spazio dell’HangarBicocca? Che considerazioni ha fatto in relazione all’allestimento e al percorso espositivo? Quanto le dimensioni dello spazio lo hanno influenzato?

RT: Abbiamo iniziato a lavorare alla mostra nel 2015 e da subito la scala dello spazio è stata al centro delle nostre conversazioni. Una metafora che spesso utilizza Matt a proposito delle Navate di Pirelli HangarBicocca è quella della balena e parlando della mostra si è continuamente chiesto “How to dress a whale?”.  E la miglior soluzione possibile, è sembrata da subito trattare lo spazio come un unicum, concependo un’unica grande installazione architettonica che funzionasse in modo autonomo ma che al suo interno potesse anche contenere una molteplicità di opere. La mostra la si può visitare muovendosi all’interno di questa enorme scultura ma paradossalmente se ne può avere un’esperienza anche solo percorrendone il perimetro esterno (lungo 96 metri e largo 24). Il progetto in Hangar di fatto è l’esplosione in forma colossale dell’idea che sta alla base dell’M.I.T Project (1990), un’opera oggi parte della collezione del MACBA di Barcellona ed esposta a Milano al centro dello spazio, al cui interno si trovano tutti gli elementi caratteristici del lavoro dell’artista, dalle cosmologie in vetro, a tavoli con disegni e immagini , a bandiere, video, generatori, e una selezione elementi naturali come animali impagliati, ossa, collezioni di pietre.

Matt Mullican
The Feeling of Things
A cura di Roberta Tenconi.
Dal 12 aprile al 16 settembre 2018
Pirelli HangarBicocca

Matt Mullican Exhibition view, “12 by 2“, Institut d’Art Contemporain, Villeurbanne/Rhône-Alpes, 2010 Courtesy the artist and Mai 36 Galerie, Zurich Photo: Blaise Adilon, Lyon
Matt Mullican Exhibition view, “12 by 2“, Institut d’Art Contemporain, Villeurbanne/Rhône-Alpes, 2010 Courtesy the artist and Mai 36 Galerie, Zurich Photo: Blaise Adilon, Lyon
Matt Mullican Untitled (Demon & Angel), 2014 Courtesy Mai 36 Galerie, Zurich
Matt Mullican Untitled (Demon & Angel), 2014 Courtesy Mai 36 Galerie, Zurich
Matt Mullican Untitled, 2017 Courtesy Mai 36 Galerie, Zurich
Matt Mullican Untitled, 2017 Courtesy Mai 36 Galerie, Zurich