Ha inaugurato con Eliminare la carne la mostra di David Casini, La Portineria: un nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea stanziato, come suggerisce il suo appellativo, nella portineria di un palazzo che, racconta il curatore e fondatore dello spazio Matteo Innocenti, è “uno degli edifici più belli e iconici dell’architetto Oreste Poli”.
Nell’intervista che segue, Innocenti ci racconta come è nato il progetto e le sue ambizioni: approfondire alcune ricerche/tendenze dell’arte contemporanea in modo preferenziale ma non esclusivo, di artisti di media carriera, per diffonderle prima di tutto nella zona che ospita il progetto. Un luogo attivo, dunque, dove fare sperimentazione, dar vita a un fitto dialogo tra artisti, curatore e residente (magari poco avvezzi all’arte).
La prima mostra del ciclo, Eliminare la carne di David Casini, ha inaugura il 20 febbraio, ovvero “giovedì grasso”. Il titolo della mostra, come ci racconta Innocenti, si riferisce in modo giocoso all’etimo del Carnevale (dal latino “carnem levare”), che a sua volta derivava dagli ultimi banchetti prima del digiuno di Quaresima; le feste carnevalesche realizzavano un rovesciamento, seppur temporaneo, delle regole e dei ruoli sociali, consentendo azioni proibitive, quando non scandalose.
Questo primo appuntamento apre al ciclo A Solo, “quattro mostre personali”, spiega il curatore, “in cui chiedo all’artista di concentrarsi su una serie di opere, della fase più recente della propria ricerca. Non ci sono temi o condizioni predeterminate, il significato sta in altro: concentrarsi sull’artista e su ciò che lo interessa nel presente, approfondire, sostenere.”
Elena Bordignon: Inaugura La Portineria, un nuovo spazio progettuale dedicato all’arte. Già dal nome rivela la sua passata destinazione d’uso. Mi racconti come è nato questo progetto? Come lo hai trovato?
Matteo Innocenti: Da tempo valutavo che sarebbe stato molto stimolante avviare un progetto indipendente e continuativo nella città in cui sono nato e vivo. Mi sembra che Firenze, pur incrementando la proposta culturale complessiva, negli ultimi anni abbia perso vari spazi non istituzionali, che erano caratterizzati dalla ricerca e dalla sperimentazione; ciò non intende essere una critica alle attività di musei o altri enti, peraltro qui ora molto attivi anche nel contemporaneo, semmai un’affermazione a riguardo della necessità di “dimensioni” alternative, certo più piccole, ma in grado di creare condizioni, per gli artisti, di completa libertà. La “scoperta” del luogo è stata in parte casuale. Alcuni mesi fa visitavo il palazzo in cui ci troviamo, poiché amico del gruppo proprietario: si tratta di uno degli edifici più belli e iconici dell’architetto Oreste Poli; venne costruito in cemento a vista negli anni Settanta, con un’originale scansione dei volumi, e divenne presto un punto di riferimento visivo nel quartiere cittadino, Campo di Marte. Il giorno della visita, entrando, notai una stanza ancora non interessata dai lavori di ristrutturazione (il palazzo infatti ha ospitato per un paio di decenni delle emittenti televisive e ora è stato recuperato a uso abitativo). Considerando la metratura contenuta e il doppio affaccio delle vetrate, una verso il corridoio dello stabile e l’altra verso la strada, ebbi l’idea che sarebbe potuto diventare uno spazio per l’arte contemporanea. L’ho proposto, e la proprietà, il Gruppo Poli, ha accettato con entusiasmo, sostenendo il progetto. Per la verità in quella prima fase non sapevo ancora la storia dello spazio stesso; è stato in seguito, intervistando l’architetto, che ho scoperto trattarsi di una precedente portineria, attiva per oltre quaranta anni. Da lì, la scelta del nome, nonché di intervenire con lavori di sistemazione minimi, nel rispetto dello stile esistente.
EB: Quali sono le sue caratteristiche e particolarità? Quale direzione progettuale intendi dargli?
MI: Oltre la storia e la qualità architettonica, come accennavo, lo spazio è caratterizzato da due vetrate: il fatto che entrambe mettano in comunicazione l’ambiente interno con le persone – da una parte il corridoio con il passaggio dei residenti per salire agli appartamenti, dall’altra il marciapiede con i suoi flussi quotidiani – mi ha suggerito anche l’impostazione progettuale. La Portineria intende approfondire alcune ricerche/tendenze dell’arte contemporanea – in modo preferenziale ma non esclusivo, in questa prima fase, di artisti di media carriera – nonché divulgarle in considerazione dell’area in cui ci troviamo: un quartiere cittadino residenziale, vivace ma quasi privo di altri luoghi dedicati alla cultura contemporanea. La Portineria cambierà il formato espositivo ogni anno (ovvero il ciclo di mostre), pur mantenendo una coerenza generale. Infine, ci tengo a segnalare che nello spazio adiacente, praticamente gemello per le caratteristiche architettoniche, a partire da aprile inizierà la propria programmazione Satellite: spazio progettuale, itinerante, ideato da Francesco Ozzola, direttore della galleria Suburbia di Granada.
EB: Che relazioni intendi costruire dialogando con il quartiere e la città?
MI: Il punto di partenza è una riflessione generale sull’arte contemporanea e il suo sistema. Se escludiamo la fascinazione per alcuni artisti divenuti delle star, di massima la società è distante dalle ricerche presenti. Il che, per una serie di effetti conseguenti, inficia anche la considerazione della figura e del ruolo dell’artista. Di chi sono le responsabilità? È oltremodo complesso rispondere e in fondo non così importante, in parte sappiamo che la complessità non attira grandi numeri, in parte perché un certo elitarismo è stato e viene coltivato dal sistema stesso, anche per ragioni di mercato e speculazione. Ad ogni modo, credo che nell’attualità sia importante andare oltre l’impasse: poiché si tratta di un processo lungo e difficile, quello che si può fare è iniziare a contribuirvi individualmente.
La Portineria si apre al dialogo con i residenti, lo ricerca; questo può comportare anche delle complicazioni o delle incomprensioni ma non importa, a mio avviso uno spazio autoreferenziale, oggi, sarebbe persino ridicolo.
Concludo con un paio di esempi inerenti: in occasione di ogni mostra stampiamo un booklet con un confronto tra curatore e artista sulle opere in mostra, e lo mettiamo gratuitamente a disposizione in un box trasparente all’esterno, in questo modo chi passa ed è incuriosito, anche se lo spazio è chiuso (ma resta sempre visibile), può farsi un’idea; oppure stiamo per avviare una collaborazione con il Comune per invitare gli studenti liceali a una preview delle mostre, durante cui potranno fare domande direttamente agli artisti.
EB: La programmazione inizia con la mostra di David Casini. Il progetto da avvio al ciclo A Solo. Quali finalità ha questo programma? Me lo racconti?
MI: A Solo è un ciclo di quattro mostre personali in cui chiedo all’artista di concentrarsi su una serie di opere, della fase più recente della propria ricerca.
Non ci sono temi o condizioni predeterminate, il significato sta in altro: concentrarsi sull’artista e su ciò che lo interessa nel presente, approfondire, sostenere. A ciò si aggiunge l’aspetto divulgativo di cui sopra.
EB: Mi introduci il progetto che presenta Casini, Eliminare la carne?
MI: Sì, la prima mostra del ciclo A Solo è Eliminare la carne di David Casini, un progetto costruito intorno all’idea di travestimento.
In considerazione anche del giorno di inaugurazione, che era Giovedì grasso, il titolo si riferisce in modo giocoso all’etimo del Carnevale (dal latino “carnem levare”), che a sua volta deriva dagli ultimi banchetti prima del digiuno di Quaresima; le feste carnevalesche – che ebbero origine da celebrazioni antiche come le dionisiache greche e le saturnali romane – realizzavano un rovesciamento, seppur temporaneo, delle regole e dei ruoli sociali, consentendo azioni altrimenti interdette.
La recente serie di opere di David, con analoga libertà, si pone in rapporto di (re)interpretazione con la storia dell’arte; nel caso specifico attraverso “citazioni” da grandi autori quali Medardo Rosso, Paul Klee e Pablo Picasso; riporto un estratto dal dialogo con l’artista: «Confrontarmi con la storia dell’arte e con i maestri del passato per me rappresenta un laboratorio di sperimentazione, un’esigenza naturale che mi appartiene da sempre. È anche, e soprattutto, una dichiarazione d’amore: la storia dell’arte mi nutre e m’ispira, me ne impossesso rielaborandola, a volte esplicitamente altre in maniera più dissimulata.»
Alcuni elementi figurativi delle opere dei tre maestri, estratti da riproduzioni in cataloghi, sono divenuti punto d’inizio per un processo di appropriazione, traduzione e camouflage, al cui termine è stato creato qualcosa di nuovo (delle maschere, una pochette, un quadro); la storia dell’arte insomma considerata come materia viva, un immaginario collettivo in constante divenire.
Lo stesso spazio espositivo è stato “trasfigurato” a somiglianza di una stanza domestica, al cui interno un particolare elemento architettonico, una parte posticcia in legno con al centro un camino, ha assunto la funzione di passaggio: dalla dimensione reale a quella dell’immaginazione.
DAVID CASINI
ELIMINARE LA CARNE
20 febbraio – 13 aprile 2020
a cura di Matteo Innocenti
Viale Eleonora Duse 30, Firenze