In occasione della sua mostra Fronte e retro al MAMbo di Bologna abbiamo posto alcune domande all’artista Italo Zuffi. Visibile fino al maggio 2022, la mostra è a cura di Lorenzo Balbi e Davide Ferri.
Abbiamo chiesto all’artista di raccontarci alcune aspetti del progetto: dal titolo alla scelta della opere, dalla relazioni tra la sua ricerca scultorea a quella performativa, per giungere alle nuove produzioni che l’artista presenterà nella primavera 2022 a Palazzo De’ Toschi, sede delle iniziative dedicate all’arte contemporanea di Banca di Bologna.
Elena Bordignon: Prima di inoltrarci tra i temi della mostra, mi piacerebbe che mi raccontassi perché, come immagine guida della tua mostra a Bologna, hai scelto la performance Ho difeso il tuo onore (2010) che mostra due persone di spalle, mentre guardano il tuo nome appeso al muro. La possiamo pensare come l’incipit della mostra?
IZ: ‘Ho difeso il tuo onore l’altra sera a San Giovanni Valdarno’ era l’inizio di un’email in cui Davide Ferri, uno dei curatori della mia mostra al MAMbo, mi raccontava di come prese le mie difese nel corso di una cena con un gruppo di persone che ironizzavano sulla poca visibilità del mio lavoro. Credo che il suo mettermi a conoscenza di quell’episodio fosse anche una forma di incitamento a mantenere attiva la mia ricerca, allora oggettivamente molto rallentata ma che lui probabilmente sentiva ancora potenzialmente attiva e da proteggere. Con quel suo testo decisi poi di realizzare la performance, presentata ad Arte Fiera nel 2010, dove un attore recitava a memoria, a una persona del pubblico per volta, il contenuto dell’email. Le persone ascoltavano assorte la storia narrata come nella condivisione di una preziosa confidenza, a volte accompagnandosi con qualche esclamazione o anche, chi mi conosceva personalmente, traducendo il proprio silenzio in momenti di empatia. Quindi la scelta di usare quell’immagine, condivisa con i curatori, intende anche testimoniare di un tempo in cui la mia ricerca è stata accompagnata da forme di attenzione, anche episodiche ma sufficienti a far sì che non si arrestasse del tutto.
EB: Il titolo della mostra – Fronte e retro – sintetizza i ‘contrasti e le opposizioni’ che connotano la tua ricerca, fatta, appunto di idiosincrasie, resistenze e contrapposizione. Mi racconti perché hai scelto questo titolo?
IZ: Il titolo indica il modo in cui ho potuto riguardare la mia ricerca, dagli esordi ad oggi, in funzione del progetto espositivo, e su come opere così emotivamente distanti si sarebbero potute accostare tra loro. Un’attività che tocca l’autore in maniera profonda, anche perché inevitabilmente si ripercorre da vicino la propria biografia. L’opera per me possiede e manifesta sempre almeno due aspetti: uno diretto, frontale appunto, come qualcosa che si lascia più agilmente cogliere. E uno che invece rimane meno prendibile, che anche a breve muterà disposizione, che nel tempo si modifica e completa rispetto a come era stato inizialmente compreso.
EB: Oltre vent’anni fa, Chiara Chelotti, in merito alla tua ricerca scriveva a proposito del tuo lavoro: “a) esplora stati di vulnerabilità; b) esprime la prudenza di una persona che si trovi in un ambiente ostile, all’interno del quale adottare lo sguardo come finestra sul mondo, e l’esperienza interiore in funzione di un cambiamento di stato, crollo, o combustione.” Sembra una frase che descrive uno stato psicologico o una prova scientifica, uno studio. Ti riconosci ancora in questa descrizione o in questi decenni la tua ricerca si è spostata altrove?
IZ: Quel testo della Chelotti nel suo insieme (la recensione della mia personale È tutto vero alla Galleria Continua di San Gimignano, nel 1999) rimane una lettura molto precisa e attuale del mio lavoro.Riguardo alle prove scientifiche – la scienza sta percorrendo prospettive anche molto fantasiose e complesse, forse rimane da parte mia un tentativo di dialogo ma, essenzialmente, la parte su cui ancora oggi continuo a lavorare è soprattutto quella che riguarda i “passaggi di stato” (così come li definiva Roberto Daolio), dove cioè mutano i materiali ma non la forma. Si tratta di sculture dove il passaggio è qualcosa di interiore, non una volontà di stravolgere ma appunto un rispettoso mantenimento, come qualcosa che compie un salto volendo però subito tornare all’assetto iniziale.
EB: Negli anni hai esplorato molti ambiti del sapere, uno in particolare, l’architettura, è stata protagonista di alcuni tuoi lavori: Scomposizioni e Osservatori trasportabili. Una selezione di queste opere è esposta nella Sala delle Ciminiere al MAMbo. Dalla loro ideazione ad oggi, come rileggere queste sculture?
IZ: I lavori che hanno guardato all’architettura rappresentano una parte importante della mia produzione, dovrei quindi ricordare anche i Profilati (derivati dalle architetture del Palladio), le Finestre A4, le Repliche, i Manager a passeggio e altri. Sono lavori che hanno cercato un loro modo di interpretare lo spazio e il movimento, in senso rivoltoso o anche coreografico. La loro radice è però comune – l’attrazione per una disciplina fondata su una necessaria prassi progettuale e nella quale avevo anche intravisto la possibilità di evolvermi in un gentleman.
EB: Una parte della tua ricerca mi è abbastanza oscura, quella dedicata al concetto di ‘competizione’, dove esplori “dall’interno” i meccanismi del potere, soprattutto del sistema dell’arte contemporanea. Cosa ti interessa di questo meccanismo, nelle relazioni umane? Trovi che il mondo dell’arte, in particolare, sia più pregno di altri, dei meccanismi legati al potere?
IZ: Ma per me non sono oscuri quei lavori in cui ho affrontato il tema dell’aspettativa o della delusione in riferimento al sistema che legifera sulla produzione artistica. Delineare quanto le tensioni provocate su più livelli dal potere del mercato hanno agito e si sono depositate in me è esporre parte di un vissuto. Non è giudizio ma semplice registrazione di fatti che si sono svolti così, e così. Penso che ciascuno di noi, nella sua personale relazione con il potere, sia consapevole del proprio grado di influenza o sofferenza, a volte è sufficiente dare alle cose il loro giusto nome.
EB: Nella Sala Convegni Banca di Bologna di Palazzo De’ Toschi, in primavera, presenterai tre opere commissionate per l’occasione: una nuova versione de Gli ignari, che consiste in una serie di nature morte in ceramica accompagnate dal suono di un fischio, Abbeveratoio, e Civilizzando – un lavoro che si sviluppa a partire dalla parola. In merito a quest’ultimo, mi racconti in cosa consiste? Cosa ti interessa e come dai concretezza alla tua ricerca attorno alla ‘parola’?
IZ: Civilizzando si compone di una serie di descrizioni di azioni semplici, ‘ambientate’ nel nostro quotidiano, di adattamento al contesto sociale di riferimento. Il tema potrebbe essere quello della progressiva evoluzione della persona verso modelli comportamentali esistenti, quindi l’affidarsi a quelli. La parola (scritta, recitata…) ha nel tempo trovato una presenza regolare nei miei lavori. A partire da B.B., un testo scritto di getto nel 1997, subito dopo un appuntamento infruttuoso con il direttore della Lisson Gallery di Londra, e poi esposto qualche tempo dopo in una mostra sempre a Londra.
Quella rappresentò la prima occasione di scrittura in forma di opera, anche se inizialmente aveva solo un proposito di annotazione privata. Tutti i miei testi successivi si sono orientati tra un intento privato e uno critico consapevolmente rivolto all’esterno.
EB: Un elemento sembra legare, idealmente, la mostra dislocata sulle due sedi del MAMbo e quella che vedremo in primavera a Palazzo De’ Toschi: degli interventi performativi. Basti pensare che la mostra al Museo si aprirà proprio con due video: The Reminder, l’immagine di un corpo che si tende e irrigidisce fino al limite delle sue possibilità, e Perimetro, all’interno del quale un corpo cerca di stabilire la sua relazione con lo spazio generando un senso di attesa e perpetua irrisoluzione. Mi racconti come hai pensato di sviluppare il linguaggio della performance all’interno della mostra? Come si relazioneranno gli interventi performativi in relazione alle sculture?
IZ: È complicato pensare all’uso della performance in questo tempo di contatto trattenuto, così tanti piani prima abituali o scontati sono da rivedere, sostituiti da nuovi rituali. Diversi miei lavori dal vivo prevedono un grado di prossimità nel loro svolgimento che al presente è difficile poter recuperare o rappresentare, se non in un’alterazione di significato.
Ciò detto, nel periodo di apertura della mostra è comunque previsto un calendario di performance, i cui ‘oggetti di scena’ sono già inseriti all’interno del percorso espositivo, allestiti come luoghi in attesa, pronti ad accogliere l’azione quando questa avrà luogo.