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In occasione della conferenza “The banished book and the library” tenutasi presso NABA – Nuova Accademia di Belle Arti, Martina Matteucci ha intervistato Shubigi Rao (1975, Mumbai, India) sulla propria ricerca e sui temi dell’archivio e dell’accumulazione e distruzione dei saperi. Indiana ma di base a Singapore, l’artista è cresciuta tra i rari e vecchi libri della collezione dei suoi genitori per poi trasferirsi nella giungla più selvaggia.
La storia della scienza, della letteratura e delle biblioteche l’hanno accompagnata fin da bambina e sono diventati i punti focali della sua pratica artistica.
Martina Matteucci: Il 3 Ottobre ad AlbumArte a Roma ha inaugurato “About Books”, la tua mostra personale insieme a Jaro Varga. Per questa occasione presenti “Written in the Margins”, opera vincitrice del Premio della Giuria del Signature Art Prize 2018, in cui affronti i temi della censura, dell’oppressione e del linguaggio. Me ne puoi parlare?
Shubigi Rao: “Written in the Margins” è l’installazione della prima parte di un decennale progetto di ricerca in progress iniziato nel 2014. Ogni due anni scrivo un libro e il primo è uscito nel 2016 e si chiama “Pulp: A Short Biography of the Banished Book, Vol I of V”. Nella mostra ho raccolto il materiale di ricerca e ho esposto anche alcune parti di un un film che sto realizzando. In passato quando ho presentato questo lavoro, i filmati apparivano su monitor separati in modo che lo spettatore potesse scegliere cosa guardare e in che ordine. Per “About Books” invece ho pensato di creare un unico breve video e ho usato una melodia composta da un amico il quale utilizza strumenti musicali desueti. All’interno del film la questione della sparizione è quindi molto forte. Nonostante io affronti il tema del libro e lo stesso sia centrale in questa mostra, nel video volutamente non è possibile leggere niente. Tuttavia ho esposto un disegno di grandi dimensioni dove è raffigurata la forma di un albero e si configura come una guida all’intero progetto. È importante per me che lo spettatore si perda un po’ nel lavoro. Ovviamente è una scommessa, a volte non funziona.
MM: A cosa si riferisce il titolo, “Written in the margins”?
SR: Si riferisce a due cose. Prima di tutto alla storia dei libri e della scrittura, in particolare in Europa. Nei monasteri infatti tutti i giovani monaci dovevano copiare in modo fedele i manoscritti, ma nei margini potevano fare tutto ciò che volevano poiché quella porzione di pagina era considerata profana. Per esempio una volta ho trovato una scritta di un monaco esausto dal lavoro sul margine di una pagina che diceva: “Cristo, ho bisogno del mio vino. Sono così stanco!”. Il secondo aspetto è più serio e triste. In una biblioteca dovremmo vedere la ricchezza degli scritti dell’umanità, ma in realtà corrisponde alla ricchezza degli scritti maschili. Le donne, ma anche le persone di colore, sono state tagliate fuori dalla storia. Tutte le biblioteche e i libri sono scritti da persone che hanno colonizzato, dagli uomini. Le note che ho scritto ai margini del mio libro si riferiscono a coloro che non esistono nelle biblioteche, le cui storie sono svanite, che non sono mai esistite, che sono assenti. Questi appunti a margine per me rappresentano un promemoria: lo scrittore non è un’autorità e quindi si può mettere in discussione ciò che si legge in un libro.
MM: Il secondo libro invece è uscito in Agosto. Di che cosa parla?
SR: É molto diverso dall’altro. Il primo libro è come una gigantesca introduzione ai numerosi problemi che il progetto tenta di affrontare. Il secondo libro si chiama “Pulp II: A Visual Bibliography of the Banished Book, Vol II of V” ed è diviso in tre parti: la prima è una sorta di bibliografia dei vari testi e libri che sono stati importanti nella mia ricerca. La seconda parte invece è una raccolta di tutte le storie di quelle persone che ho filmato e registrato fino ad ora e che hanno vissuto atti di distruzione e censura. Questo materiale per me è molto importante perchè sono testimonianze senza filtri o restrizioni di formato e per questo costituiscono la mia bibliografia e sono la mia fonte primaria di ricerca. Nella terza parte invece ho cercato di creare un lessico di simboli e una sorta di indice riguardo le connessioni e i fallimenti nella trasmissione della lingua. Infatti il linguaggio è estremamente imperfetto e costituisce una forma di comunicazione non sempre efficace. Ed è proprio l’arte che spesso cerca di colmare questa lacuna.
MM: Le nuove tecnologie hanno cambiato i sistemi di archiviazione della memoria e delle conoscenze, e siamo passati dalla raccolta di documenti materiali a file digitali. La comunicazione per via telematica e la rapidità con cui cambiano continuamente i supporti per l’archiviazione e la lettura dei dati sembra mettere in pericolo la nostra memoria. Pensi possa esserci il rischio che in un futuro prossimo la storia non potrà essere raccontata a causa della scomparsa delle fonti?
SR: Sì, sicuramente. Penso stiamo già correndo questo rischio. Per digitalizzare un libro bisogna tagliarne il dorso in modo che ogni pagina venga separata e inserita singolarmente nello scanner. Questa operazione comporta la distruzione del libro stesso. Anche il file digitale non è sicuro perchè può danneggiarsi o essere cancellato. Inoltre quando le persone salvano i propri documenti nel cloud pensano che tutto stia fluttuando nell’aria, ma non è così. Si trova su un server fisico da qualche parte nel mondo. Quindi alla fine tutti i supporti che utilizziamo per memorizzare dati sono fisici e di conseguenza destinati a fallire. Io credo in definitiva che non si possa pensare di dipendere da nessun materiale di archiviazione perché nulla è per sempre.
MM:I tuoi campi di interesse sono molteplici come i supporti che utilizzi nelle tue installazioni. Qual è il tuo percorso formativo?
SR: Il mio percorso educativo è davvero pazzesco. Penso che la mia formazione principale derivi dalla biblioteca della mia infanzia. I miei genitori erano soliti salvare i libri che la gente voleva buttare o distruggere e lentamente hanno costruito una biblioteca davvero affascinante. Conteneva una vasta gamma di testi diversi su qualsiasi argomento e io sono cresciuta in mezzo a questo sapere. Abbiamo perso quella biblioteca, è stata distrutta. Con il tempo mi sono resa conto sempre più di quanto sia stata grande quella perdita per me, poiché quel luogo mi ha permesso di crescere e ancora oggi mi sento connessa all’intera umanità grazie ai libri che ho letto. Potevo sentire la voce delle altre persone. Sicuramente questa è stata una cosa che mi ha formata. Per questo anche i miei interessi sono così diversi. Un’altra cosa che mi ha formata è stato il fatto di crescere nella giungla: i miei genitori hanno lasciato la città e siamo cresciuti selvaggi in una foresta. Abbiamo imparato a difenderci ascoltando ciò che succedeva intorno a noi e rispettando gli animali. Questo tipo di educazione è difficile da quantificare, ma mi ha influenzata come artista perché ho capito quanto poco ascoltiamo il mondo. É come se ora, con il progetto di “Pulp”, volessi ascoltare qualcosa per dieci anni.
MM: Per un periodo di tempo hai operato sotto il falso nome dello scienziato S. Raoul. Cosa ha rappresentato per te?
SR: Lui è il mio pass d’accesso a tutto. Nella vita ho trovato molta difficoltà a essere presa sul serio come donna e come ragazza. Senza di lui nessuno mi avrebbe ascoltata. Solo nel ruolo di protetta di questo brillante uomo, che naturalmente non esiste, la gente è disposta a condividere informazioni, a darmi accesso a biblioteche o a materiale scientifico speciale. Ci sono state volte in cui mi sono presentata come autrice secondaria poiché Raoul era considerato quello principale. Il progetto decennale di S. Raoul è stato utile perché mi ha permesso di fare ciò che mi piaceva. Ho creato una biografia falsa e ho scritto falsi libri d’arte sotto il suo nome. Sono stata anche accusata di plagiarlo perché non riuscivano a credere che fossi io l’autrice di quel lavoro.
MM: Assurdo.
SR: Sì, lo è. Recentemente però mi hanno invitata a partecipare ad una conferenza sulle neuroscienze come me stessa. Quindi ora ho due lavori per questa organizzazione chiamata OHBM (Organizzazione per la Mappatura del Cervello Umano) che raccoglie circa tremila neuroscienziati del mondo ed è fantastico poterne far parte. Ho scritto libri sotto falso nome ed è una cosa che le donne hanno fatto anche nel corso della storia. Abbiamo usato questi meccanismi perché siamo davvero stanche del primo istinto della maggior parte delle persone di scartare qualcosa solo perché lo ha fatto una donna.
MM: In un’intervista dichiari che tutto il tuo lavoro riesce dalla rabbia ma spesso viene interpretato come umorismo. Pensi che l’arte possa diventare uno strumento per la denuncia sociale?
SR: Sì, lo è stato nel passato. Non possiamo però pensare di vincere una battaglia contro i totalitarismi usando l’arte. Ma si può rendere la vita molto difficile ad alcuni. Basta impedirgli di usare ridicoli giochi di potere e tutte le leggi che provocano oppressione. Credo nella disobbedienza civile. Credo nella capacità delle persone di mobilitarsi in modo non violento e creare gesti attraverso i quali articolare il pensiero artistico. L’arte è spesso considerata pericolosa e, sebbene non si possa dire che l’arte abbia detronizzato un dittatore, essi temono ancora l’arte e gli artisti, gli scrittori e i libri. Hanno paura di qualcosa che facciamo. Sono molto interessata a conoscere la maggior parte dei libri che sono stati vietati, censurati o che non sono stati letti perchè i libri non letti causano più paura: è la paura dell’ignoto.
Banned books and memories. Interview with Shubigi Rao
At the “The banished book and the library” conference held at NABA – New Academy of Fine Arts, Martina Matteucci interviewed Shubigi Rao (1975, Mumbai, India) on her research and on the themes of archives and accumulation and destruction of knowledge. Indian but based in Singapore, the artist grew up among the rare and old books from her parents’ collection and then moved to the wildest jungle. The history of science, literature and libraries have accompanied her since childhood and have become the focal points of her artistic practice.
MM: October 3rd is the inauguration date of “About books”, your personal exhibition together with Jaro Varga at the art centre AlbumArte in Rome. For this occasion you present “Written in the margins”, winner of the Jury Prize of the Signature Art Prize 2018, where you talk about censorship, oppression and even language. Can you talk about it?
SR: “Written in the margins” is the first part of my ten years project started in 2014. Every two years I wrote one volume and the first one from the five book series is called “Pulp: a short biography of the banished book” released in 2016. In the exhibition I collected the research material and I also exposed some parts of a film I’m making. Usually when I’ve shown “Written in the margins”, the film clips were shown on separate monitors with separate buttons so that the viewers can browse film clips and watch in the order they want to watch. But for “About books” I thought it was a good challenge to edit it into a short. I already had a music composed by a friend of mine who used musical instruments that no one uses anymore. So there is a whole element of disappearances in the film. Only when you finish watching the film you realize that every film clip, every sequence in the short film you couldn’t actually read anything. The only thing you can read is a large drawing that I’ve displayed there and it’s in the shape of a tree that it is like a guide map to the whole project. It’s important the viewer gets a little lost in the work which is luckily happening. It’s a gamble of course, sometimes it doesn’t work.
MM: What is the title, “Written in the margins”?
SR: The title refers to two things. First of all for the history of books and book writing especially in Europe. So in the monasteries all the young monks had to copy all the manuscripts but on the margins they could do whatever they wanted because that portion of the page was profane.
We have found like an exhausted young monk who wrote “Christ, I need my wine. I’m so tired!”. and you can do this because margins are profane, that is opposite of sacred. The second aspect is more serious, and sad though. In a library we should see a wealth of human writings but it’s actually not. It’s the wealth of male writing. Women, but also people of color, have been written out of history. All libraries and books are written by people who colonized, by the men. So the margins in my book refer to people who do not exist in libraries, whose stories are vanished, who never existed, who were absent. These notes for me are a reminder: the writer is not some authority and you can question what you read in a book.
MM: The second book instead came out in August 2018. What is this book about?
SR: The second book is quite different to the first. The first book is like a giant introduction to the many issues that the project was attempting to adress. The second book is call “Pulp II: A Visual Bibliography of the Banished Book, Vol II of V” and is divided in three parts: one part is actually bibliography of texts, so kind of literature review of all the various texts and books that were important in my research. The second part instead is a collection of all the stories that I’ve been filming, people who have lived through acts of destruction and censorship. This material is very important for me because they are testimonies without filters or format restrictions and for this they constitute my bibliography and are my primary source of research. In the third section i create a lexicon of symbols and a kind of indexical. That points to different issues and connections and failures in language transmission because language is so imperfect. Art try to fill this gap.
MM: New technologies have changed memory and knowledge storage systems and we have moved from the collection of material documents to digital files. Telematic communication and the speed with which the media for data storage and reading are constantly changing seems to endanger our historical memory. Do you think there is a risk that in the near future history can not be told due to the disappearance of the sources?
SR: Yes, definitely. I think we are running that risk already. To digitize a book you have to cut the spine of the book so that each page will be separated and you were feed the pages separately into the scanner. This way to digitize a text involves the destruction of the book itself. Even the digital file is not safe because it can be damaged or deleted. When people digitalize in the cloud, they think that is all floating around in the air: it’s not. It’s on a physical server somewhere. So eventually all the data is stored on a physical medium and all physical mediums eventually fail. My argument is always that you cannot depend on any single storage material because nothing is forever.
MM: Your fields of interest are as varied as the supports that you use in your installations. What is your training path?
SR: My training is crazy. I think my main training is my childhood library. My parents used to save books that people wanted to throw or destroy and and slowly they built up a really lovely library. There was a range of different books on any subject and I grow up reading all these books. We lost that library, it was destroyed. As I grew older I realized that I felt that loss more and more. This library shaped me and I feel still connected to the whole humanity through the books I read. I could hear the voice of the other people. So this was one of the things that shaped me. Because of it i’m interested in everything, so I could create no separation. And that’s why my interests are various. Also growing up in a jungle shaped me: my parents left the city and we grow up wild in a forest. And we learnt how to stay safe by listening to what was happening around us and respecting animals. So that kind of education is hard to quantify. But influence me as an artist because I realized that so much we are blind to and in defect too, we do not listen to the world. In the Pulp project I want to listen to something for ten years.
MM: For a period of time you operated under the false name of the scientist S. Raoul. What did he represent for you?
SR: He is my all access pass to everything. I found it very difficult as a women and as a young girl especially to be taken seriously. Nobody would take what I think seriously. I couldn’t get access to by myself but as a kind of protégée of this brilliant man, who by the way of course doesn’t exist, people will be so willing share information, to give me access to special libraries or scientific material. There were times that I presented myself as the secondary author as Raoul is the primary author. S. Raoul ten years project was useful because I could do what I liked. I did a fake biography, I wrote fake art history books under his name. I was accused of plagiarize him because people couldn’t believe that I did that work.
MM: It’s absurd.
SR: Yes, it is. But there is also a neuroscientific work which was coincidently invited to be shown in neuroscience conference as myself. So now I’ve got two works for this call OHBM (organization for human brain mapping) it’s a collection of about three thousand of the world’s neuroscientists and it’s amazing. I’ve written books under false names and I think it’s something that women have done throughout history as well. We used these mechanisms because we are just really tired of the first instinct to most people to dismiss something because a woman did it.
MM: In an interview you say that all your work comes from anger but it always comes out as humour. Do you think art can be a medium of social denunciation?
SR: Yes, it has been in the past. It’s not like we can win a battle against totalitarians by using art. But you can make life so difficult for them. Just make it difficult for them to push through all the ridiculous power games and all the laws that oppress. I do believe in civil disobedience. I believe in the ability of people to mobilize non violently to create a gesture of art thinking. Art is often considered dangerous and though no art can be said to have dethroned a dictator, they still fear art and artists, writers and books. They fear something that we do. I’m interested to know most of the books that have been banned or books that have been censored are books that haven’t been read. Unread books cause the more fear because is the fear of unknown.