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C’è una cosa che mi piace dell’Arte: quando riesce a farti ricordare qualcosa di te stesso che pensavi di aver dimenticato. Ancora di più amo un artista, o la sua opera, quando ci avvicina e mette in relazione con quello che ci circonda, quando spesso ce ne dimentichiamo. E’ così che ci ricordiamo di un fatto che si è magari ripetuto per anni; un evento casuale, un odore abbinato a un colore o un gesto, un suono che nel ricordo hanno un significato e che scopriamo poi averne tanti altri. A volte il ricordo nasce semplicemente da un’associazione di idee che da un punto, e senza seguire per forza una retta, ti porta a un altro punto, lontano, perso.
Un punto prezioso, intimo, decisivo, ma dimenticato nel tempo, sotto a strati di estetica ricorrenti, dialoghi ridondanti, riflessioni opache, pigrizia.
C’è una trasformazione in questo riaffiorare, un nuovo significato che si aggiunge al precedente. E’ come un respiro, quando si nuota e si cerca un ritmo, il proprio ritmo, che si impara ad ascoltare e ad applicare solo con tanta pratica, esercizio, disciplina.
The Lesson, la mostra di Georgina Starr a Pinksummer Goes to Rome è uno di quei punti di cui parlo. E’ un ricordo collettivo, che unisce le persone sotto un gesto materiale e quasi scientifico, la creazione di una bolla partendo da una materia elastica, lasciandole libere di ricordare se stesse e di relazionarsi ad un messaggio: quello dell’artista. E’ anche un ricordo intimo e personale, che assume significati individuali, fondendosi con un ambiente surreale – di soli due colori – in cui la condivisione del pensiero avviene anche senza la parola. Siamo parte di un tutto che ci avvolge, mentre il lavoro manifesta un’idea. La parola che sembra mancare si materializza in forme temporanee: le bolle sono in dialogo tra loro e con noi, con quella parte dimenticata, con quella ancora bambina, con quella che scopriamo li.
Testo di Alice Pedroletti
La galleria diventa spazio protetto, morbido agli occhi, in cui entrare è il gesto delicato che ci fa guardare le cose senza fretta, come rallentati da una riflessione più ampia, che coinvolge anche il corpo, soprattutto il corpo. E’ un lavoro politico quello che viviamo, nel senso più alto dell’esperienza politica femminile e che possiamo oggi provare, non ri-provare. Non c’è retorica, piuttosto poesia. Una poesia forte, in cui il femminile è deciso, senza essere violento. C’è ironia, c’è gioco, c’è leggerezza. La stessa delle bolle che si ripetono una dopo l’altra, nel tentativo di raccontarci un respiro, una nascita, un esercizio. E’ un mondo sospeso quello della Starr: in un tempo impreciso, che dai video si espande ai disegni e che assume una forma conosciuta – ma sconosciuta – nelle “sculture”, che ribalta la percezione delle scenografie nella galleria stessa, fino al suono, che richiude il cerchio della sospensione e che suggerisce un mondo parallelo, magico.
Cosa è reale? C’è una ripetizione che incanta, incuriosisce.
E’ un mondo di donne, di generazioni, di bellezza, di conoscenza.
E’ sempre difficile usare la parola “bella” quando si parla di una donna e lo è anche quando si parla di Arte. Quando le due cose coincidono è ancora più complicato. Come è complicato parlare oggi di femminismo. Georgina Starr lo fa. Confondendo l’estetica, coinvolgendoci liberamente senza conoscere il nostro pensiero a proposito, costruendo una narrazione che tocca la scienza attraverso la poesia dei colori. E’ così che definizioni prettamente tecniche assumono un significato quasi romantico perchè alleggerite del loro essere tipicamente maschili, grazie alla sua voce che ce le racconta una dopo l’altra. “Volevo fossero in italiano e volevo fosse la mia voce” mi ha detto. Un’opera che richiede esercizio, dentro a un’opera che racconta di un esercizio, dentro ad una stanza che diventa anche scenografia, in uno spazio temporaneo di una città che ha vissuto tutti i tempi del mondo.
Come in una matrioska, una bambola scatola che si apre con la figura “madre” e si chiude con la figura “seme” portando dentro di se diverse emozioni e conciliando i contrasti del dentro e del fuori, aprendosi e chiudendosi, ogni volta rompendosi e ricreandosi, moltiplicandosi come in una eterna rinascita.