Testo e intervista di Giuseppe Amedeo Arnesano —
In una di quelle serate piovose, furono in tanti a partecipare e a intervenire pubblicamente non si fecero attendere le osservazioni di Fabio Sargentini, Pio Monti, Enzo Cucchi e il caro Nanni Balestrini, che oggi non c’è più. Eravamo tutti intenti ad ascoltare i racconti di Emilio Mazzoli in occasione del primo appuntamento dei Martedì Critici al Chiostro del Bramante, era l’aprile del 2014 a Roma.
Ancora oggi la sua voce è sempre inconfondibile con lo spirito e il carattere d’altri tempi, a quasi 80 primavere Emilio Mazzoli è uno dei leggendari protagonisti della storia dell’arte contemporanea italiana e internazionale, che ha sempre sostenuto gli artisti sin dall’inizio, creando un vero e proprio rapporto di amicizia e stima reciproca, tra tutte quella vissuta con Mario Schifano.
Nella storica galleria di Modena, fondata nel 1977 e attualmente in via Nazario Sauro, sono passati artisti come Gino De Dominicis, Vincenzo Agnetti, Gilberto Zorio, Enrico Castellani e poi ancora Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luigi Ontani e tutti gli altri della Transavanguardia come Chia, Cucchi, Clemente, Paladino e De Maria. Da sempre affezionato alla carta stampata Emilio Mazzoli ha realizzato tutti i cataloghi delle sue mostre, lasciando una grande eredità documentaristica.
In quegli anni la galleria Mazzoli è stata anche al centro di un intenso fermento critico, letterario e poetico che ha coinvolto le maggiori personalità artistiche della cultura italiana. Nel maggio del 1981 Mazzoli ha ospitato per la prima volta in Italia, e dunque in Europa, la prima mostra personale dell’allora ventenne Jean-Michel Basquiat, evento che avrebbe cambiato per sempre le sorti del giovane artista.
Oggi la galleria modenese ospita la mostra di Gian Marco Montesano intitolata Eroica, mentre nella sede di Berlino è presente la personale di Marie Lelouche con You have a new memory.
Giuseppe Amedeo Arnesano:Come reagirà il sistema dell’arte a questa crisi?
Emilio Mazzoli: Speriamo che sia un bene nella disgrazia, e che nell’arte ritorni tutto nei ranghi come dovrebbe essere, perché prima il sistema era impazzito tutto.
GAA: Perché dice che il sistema era impazzito?
EM: Ma sì, perché nell’mondo dell’arte c’erano troppi personaggi che non hanno a che fare con il mondo dell’arte, ma avevano solo a che fare con la finanza. Non c’era nessuno che metteva una lira e tutti lucravano dall’arte.
GAA: Tutti chi?
EM: Le aste lucrano, le fiere lucrano e non ci mettono una lira, ma diciamo pure che va bene. Ma se all’attore togli il teatro e togli il palcoscenico gli togli praticamente tutto.
GAA: E cosa hanno tolto al mondo dell’arte?
EM: Al mondo dell’arte hanno tolto la galleria, e tutto il sistema dell’arte è impazzito perché oggi il mercato dell’arte è in mano a chi fa l’antiquariato. Non ho nulla nei confronti di nessuno, ma si tratta di gente che fa l’antiquariato del modernariato. Tutti i buoni galleristi e le persone che hanno lavorato bene lo hanno fatto 30, 40 e 50 anni fa, facendo un lavoro straordinario, mentre oggi si lucra soltanto sul lavoro di quella generazione.
GAA: E oggi che succede?
EM: Oggi succede che i galleristi chiudono, le case d’aste che fanno prezzi incredibili e gli artisti validi vengono venduti a una lira. Questo sistema è diventato un grande manicomio.
GAA: Qual è l’augurio che fa?
EM: Speriamo che questa grande disgrazia porti un po’ di senso a questo mondo.
GAA: La galleria attualmente è chiusa, ma qual è ora il rapporto con i suoi collaboratori?
EM: I miei collaboratori voglio trattarli al meglio, continuano a essere retribuiti e se posso dare ancora di più per loro lo farò. Naturalmente tutti quelli che devono ancora pagare le fatture, sono tutti scappati e quello che è più strano è che quelli che non pagano sono i più ricchi.
GAA: In tutta questa storia qual è invece il ruolo dei collezionisti?
EM: I collezionisti sono il grande problema dell’arte contemporanea, una volta i collezionisti erano degli amatori dell’arte, compravano un quadro perché gli piaceva e davano sostegno alla galleria sia culturalmente che economicamente. Oggi il collezionista cerca di prendere i quadri alle gallerie e li mette via, addirittura non li espongono nemmeno in casa, ma li lasciano direttamente nelle casse per poi rivenderli e ricomprarli. Questo è diventato un altro mestiere.
GAA: Negli ultimi anni come sono cambiati i canoni estetici dell’opera d’arte?
EM: Questo è un punto di vista che non mi compete, l’arte va sempre avanti anche con un colpo avanti e un colpo indietro, naturalmente l’arte segna il percorso e indica la strada e vedrà che questo non sarà un problema, sarà un modo per rinnovare le forze e migliorerà sempre. L’arte è il sale del mondo e ha sempre servito in tutti i momenti buoni e meno buoni dell’umanità.
GAA: Come era lavorare con Gino De Dominicis, Tano Festa, Mario Schifano e Alighiero Boetti?
EM: Ho quasi 80 anni e per 50 anni ho lavorato con il meglio della cultura italiana, e ho sempre rischiato ed esposto il lavoro che ho comprato investendo sempre di persona. Oggi le gallerie sono case di affitto, si fitta lo spazio ad artisti competenti, oppure con altri artisti si dividono gli utili. Insomma questo è diventato un altro mestiere, un altro mondo che non voglio contestare, ma non è il mio modo di lavorare. Se l’arte non riprende il suo palcoscenico, il suo teatro cioè la galleria è tutto finito.
GAA: Nel tempo il rapporto con gli artisti è cambiato?
EM: Ma gli artisti sono sempre uguali, sono degli egocentrici della madonna. Gli artisti vanno dove ci sono gli interessi, gli artisti sono stati corrotti dal denaro. Una volta gli artisti erano dei privilegiati e vivevano per conto proprio in modo felice. Oggi l’artista non è più felice, oggi l’artista è sottomesso alla finanza.
GAA: Perché non è più felice?
EM: Perché dipende sempre da qualcuno più bravo di lui, ma più ignorante e molto più cinico e molto più cattivo.
GAA: Oggi molte gallerie e fiere cercano di sfruttare le potenzialità dei social. Lei cosa sa pensa a riguardo?
EM: Io sono sempre favorevole ai metodi innovativi, credo che un’opera d’arte sia tattile e per comprarla bisogna vederla, toccarla, annusarla e giraci intorno, vederla solo come una fotografia secondo me è un vulnus che si fa all’arte.