Federica Mutti | Materia e parola di un pensiero macrocefalo

Le opere extra fondenti di Federica Mutti abitano gli spazi di Placentia Arte tra innesti-fionda, dita-pettine e riappacificazioni con la specie, fino al 26 novembre.
8 Novembre 2016

English text below

Segue l’intervista con Federica Mutti

ATP Diary: Della tua personale la prima cosa che colpisce è quella che introduce la mostra al pubblico, ovvero il titolo. Cosa significa esattamente?

Federica Mutti: È mia abitudine individuare, per le singole opere quanto per le mostre, un titolo che assuma il ruolo di una dichiarazione d’intenti.
Nel caso della Mostra Macrocefala il titolo introduce un punto cardine dell’intero progetto, ovvero la riflessione metalinguistica su un modo di fare arte estremamente razionale, cerebrale al punto da potersi definire “macrocefalo”. Viene dunque apertamente messo in luce e/o in discussione un genere di pratica che mi appartiene fin dall’inizio della mia ricerca, gettando degli interrogativi anche sul ruolo che spetta al corpo qualora la ragione si imponga come mezzo primario di indagine. La risposta che la Mostra Macrocefala suggerisce è che “il corpo poi avanza sempre”: una risposta mai univoca, né risolutiva.
Il corpo pare un sovrappiù, eppure non smette di muoversi secondo i propri schemi.

ATP: L’esposizione inizia con un libro d’artista e si conclude con l’opera Capetto, come è articolato il percorso interno a questi due poli?

FM: La mia ricerca assume spesso una formalizzazione finale che definirei composita, perché vi concorrono diversi elementi che si stratificano e si compenetrano. Ricerco un senso di linearità plausibile in un percorso che può tuttavia essere frammentario – e frammentato a piacimento.  Anche nel caso della Mostra Macrocefala lo spettatore può fruire i singoli lavori nell’ordine che preferisce, tuttavia si può percepire nella costruzione del progetto espositivo un atteggiamento curatoriale, attraverso cui mi piace intessere tra le opere un dialogo atto a suggerire una possibile lettura organica dell’intero progetto.
La Mostra Macrocefala, non a caso, si apre con Nove poesie macrocefale extra fondenti, un piccolo libro di poesie teoriche che accoglie lo spettatore all’ingresso, fungendo da apparato introduttivo – e nel contempo di decodificazione – rispetto alle opere che seguono.   Le tematiche trattate nelle poesie si ramificano nell’intera mostra, creando interconnessioni tra le diverse opere e moltiplicando la contrapposizione tra mente e corpo di cui sopra in altri binomi possibili: pubblico-privato, interno-esterno, proprio-altrui, originale-riproduzione, ecc.
La chiusura della Mostra Macrocefala è invece studiata come compendio delle riflessioni proposte, con un ruolo complementare e antitetico rispetto alle poesie. Il percorso espositivo si conclude con una micro-scultura di una testa, di reminiscenza classica. Capetto gioca sulla scelta di un linguaggio assimilato – perché parte della nostra tradizione iconografica – creando uno scarto tra l’oggetto mostrato, la sua riproduzione e i rimandi ai precedenti storicizzati. La minuscola testa, esposta su una zolletta di zucchero, è un monumento al capo che cerca di eludere le viscere. Eppure si avvale della riproduzione e del suo potere validante, dell’immagine che è inevitabilmente corpo.

ATP: A proposito di La madre di due figli è due madri che tipo di rapporto hai con il processo creativo? E quale con l’opera che lascia il tuo studio e diventa oggetto di fruizione?

FM: La madre di due figli è due madri si lega a due delle poesie della raccolta presentata. Ne Il vero artista è sempre incinta (?) si riflette sulle aspettative che ricadono sull’artista che sia stato almeno una volta prolifico in modo riconosciuto/riconoscibile, sulla difficoltà da parte dell’artista nel garantire la continuità della sua (ri)produzione e nel prevedere il futuro della “prole” eventuale. In Sulla perdita dell’istinto materno si ammette invece, con estrema umanità, la possibilità di una totale perdita dell’istinto materno, da parte dell’artista, di fronte all’intuizione divenuta opera.
La madre di due figli è due madri è una riflessione ulteriore sul ruolo materno dell’artista rispetto all’opera: la pianta grassa e l’opale, in qualche modo accomunati/imparentati dall’alto contenuto di acqua, necessitano di cure differenti. La pianta ha bisogno di un clima caldo e luminoso, l’opale è messo in pericolo dalla vicinanza reiterata ad una fonte di calore: potrebbe disidratarsi, fino a fratturarsi. Di volta in volta occorre modulare le proprie cure, direzionare la luce per salvare la pianta e godere dell’opalescenza della pietra, o al contrario per preservare l’opale dalla rottura.
Il mio rapporto con il processo creativo è in certo senso sintetizzato in questa operazione: nella fase di gestazione dell’opera il mio ruolo autoriale (genitoriale) si rimodula di continuo nella relazione con la singola opera. È una fase di grande ricerca e cura, nel contenuto e nella forma.
Il momento in cui l’opera lascia lo studio è ugualmente importante e imprescindibile: è il momento in cui si smette di accudire e si diviene a propria volta spettatori. Si affida quel che si è fino ad ora curato alle attenzioni e alla premura altrui, e si può finalmente verificare, alla luce di un certo distacco, se le proprie supposizioni erano state puntuali. 

ATP: Le opere in mostra sono il prodotto di diversi medium, quale di questi esprime meglio quello che vuoi comunicare?

FM: Non credo di potermi identificare come artista con un medium specifico, né di poter individuare un medium privilegiato. Così come i miei contenuti traggono sostentamento – oltre che dall’arte – dalle materie scientifiche, dalla letteratura e dagli ambiti più disparati, considero la tecnica come un mezzo totalmente asservito all’intuizione, destinato ad adattarsi alle sue necessità e peculiarità durante il processo di formalizzazione.
Innegabilmente ci sono però elementi formali ricorrenti nella mia ricerca, tra cui il continuo accostamento di immagine e testo, espediente attraverso il quale è possibile inscenare dinamiche di volta in volta differenti semplicemente ricalibrando il campo d’azione dell’uno e dell’altro. Non c’è limite alcuno in un simile gioco combinatorio.

ATP: La parola, l’oggetto, il concetto e il corpo. Come sono strutturate nel tuo lavoro queste componenti?

FM: Gli elementi citati sono evidentemente onnipresenti nella mia ricerca. Quel che muta nel passaggio da un’opera all’altra non sono dunque gli attori, ma i rapporti di potere che nelle singole occasioni vengono inscenati. Ci sono casi in cui l’oggetto è corpo e concetto, mentre la parola è relegata al titolo, ed altri in cui la parola sostituisce l’oggetto facendosi a sua volta corpo, oltre che concetto. In ogni nuovo progetto cerco di spingere questi quattro elementi ad assumere posture nuove, a rinnovare le proprie relazioni rispetto agli esperimenti precedenti.

Federica Mutti 

MOSTRA MACROCEFALA

Fino al 26 novembre 2016

Placentia Arte

Federica Mutti,   L'inginocchiatoio-pulpito,   2016 Installazione,   legno,   187 x 130 x 213 cm. Courtesy l’artista e Placentia Arte

Federica Mutti, L’inginocchiatoio-pulpito, 2016 Installazione, legno, 187 x 130 x 213 cm. Courtesy l’artista e Placentia Arte

Federica Mutti 

MOSTRA MACROCEFALA

 Facing the macrocephaly of our behaviour, we feel frightened. 

How did we get to a such overflowing?

Let’s linger on the price of the head that came our way. 

How we could afford that? 

PLACENTIA ARTE is delighted to present MOSTRA MACROCEFALA, a solo exhibition by Federica Mutti, in which she continues her investigation between theoretical construction and iconic formalisation. Mostra Macrocefala is an apologia of a strongly cerebral investigation, about making art practically but on the basis of a speculative way. It’s a show that self-condemns itself as for too much obedience to the chief, who self-analyses itself: Nove poesie macrocefale extrafondenti, a collection of in-verse theoretical analysis, delineates the structure of the whole pathway, cherishing its cornerstones and its deepest intersections, the most difficult ones, throughout a form that it is wished for to be bittersweet – “amazingly easy to melt in the mouth”, as said on the back cover.

Mostra Macrocefala follows the artist’s experimentation of a “theoretical exhibition” – almost entirely un-iconic – that took shape in her latest solo Sull’opera temperata (Ars arte+libri, Bergamo, 2016), from which it inherits some fundamental parts: Mano d’artista con il relativo dito-pettine and I corpi degli artisti temperati ci salutano caramente integrate themselves in the setup of the original project, marking some guidelines. If on one hand it is stated the possibility of a brainy research, on the other the exhibition, in its formalisation, will become a tool where the body goes ahead despite the prevailing attempts of the head. Even if it’s assumed the strengthened diatribe among soul and body in the circle of The Creation as the theoretical bowl of belonging, every new speculation, verse analysis and theoretical construction translates itself in iconic forms. It results in a stack of visuals reflections on the way of trading between public and private, thought and image, the exhibitor and the consumer. They are relations which continue to re-portray themselves, shaping from time to time, according to the changeable associations of body and mind.

L’inginocchiatoio-pulpito is the new, ultimate stage: it refers to intimate prayers that become well-known confessions, and vice versa. They are forms of contemporary scene, or absorbed shows of which we have ineluctable memories. We must face the obsessions of almightiness that derive from production and reproduction. The clash has been extended: identification of form is set up against comprehension of image. Mostra Macrocefala uses forms that suggest to doubt: we can understand it or we should just feel pleased by slightly identifying it? Recognisable iconographies lead to familiar feelings toward images we have never met before. A tiny head sculpture traces the end of Mostra Macrocefala. Capetto combines the grounds of the whole exhibition: a “head-solo” of classical reminiscence stands on a sugar cube. It takes the right of eluding depths. But then it takes advantage by reproduction which is documentation, certification and/or presence celebration. And it becomes image, and they become images. In the end the body always moves forward.

Federica Mutti,   Capetto,   2016 Installazione,   micro-scultura in materia plastica,   zolletta di zucchero,   dim. complessive 5 x 1,  2 x 1,  6 cm. Courtesy l’artista e Placentia Arte

Federica Mutti, Capetto, 2016 Installazione, micro-scultura in materia plastica, zolletta di zucchero, dim. complessive 5 x 1, 2 x 1, 6 cm. Courtesy l’artista e Placentia Arte

Federica Mutti,   Mano d'artista e innesti-fionda,   2016 Testi e stampe fotografiche digitali su carta baritata,   17 x 12 cm,   30 x 20 cm. Dim. complessive 32 x 57 cm. Courtesy l’artista e Placentia Arte

Federica Mutti, Mano d’artista e innesti-fionda, 2016 Testi e stampe fotografiche digitali su carta baritata, 17 x 12 cm, 30 x 20 cm. Dim. complessive 32 x 57 cm. Courtesy l’artista e Placentia Arte

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