
Davide Sgambaro, Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno Installazione dimensioni variabili 2016
Il lavoro di Davide Sgambaro è un sogno romantico inabissato, è il residuo dei frammenti di un baule del tesoro nel fondo dell’oceano. I frammenti sono irrecuperabili ma i loro spiragli di luce ben visibili. Si tuffa il sub per andare a ripescarli ma quel che resta è un accesso limitato, sia per lui che per l’artista.
Per questo è corroso, per questo è ruggine.
“È quel muro che mi è stato spinto accanto. Talvolta penso che al di là non ci sia nulla, ma pazienza.” Achab – Moby Dick, Herman Melville
È la letteratura e il modo in cui le diverse culture hanno tentato di descrivere l’essere umano quale autore e attore della propria esistenza. Se inizialmente era nel romanzo di formazione il racconto della mia storia, nel prestito narrativo, in seguito il personaggio principale del mio fare arte è rientrato nella mia storia.
Si esplorano ogni abitudini, ossessioni e fobie umane.
Tuttavia, la dipendenza, l’apatia, le paure, o diverse forme di psicosi compulsive, sono intese come materia vivente poiché emergono dall’urgenza comunicativa di ricordi incontrollati.
Sebbene i materiali impiegati appaiano grezzi e non rifiniti essi rispecchiano la graduale costruzione del nostro sé analizzata nella precisa fase del suo prendere forma.
Annotazioni personali, spleen estemporanei o fotografie raccolte senza un particolare ordine possono costituire un lavoro già compiuto.
Il processo creativo rappresenta, infine, un ponte tra il dentro e fuori; un movimento che riflette le proprietà dei materiali selezionati in risposta all’ambiente nei quali sono inseriti e alla pressione alla quale essi sono sottoposti.
Una volta installati sono affidati allo scorrere del tempo e alla loro graduale auto-distruzione.
L’arte si è sempre mostrata come confidente e allo stesso tempo narrazione. È come sussurrare raccontando attraverso una fessura, mimare osservati da uno spioncino, quindi mai troppo chiari e mai a figura intera.
Probabilmente è pura generosità.
C’è un’ossessione che non riesco a controllare, sta nel rapporto tra il passare del tempo e l’eliminare, il ripulire e l’omettere.
Scarti che cambiano forma, pulire, ruotare o semplicemente riposizionare. Ricostruire in continuazione su ciò che è già avvenuto. Nomadismo, precarietà e deperimento. Un continuo reinventare se stessi.
Le proprietà dei materiali, la corrosione, il mutare come ritratto delle vicende vissute.
Archivio immagini, suoni, materiali e scritti in buste di plastica, progetto dopo progetto, come una sorta di metodo di studio. Da quando ho attuato questa metodologia ho iniziato a preoccuparmi molto dell’umidità.
A volte mi piace fermarmi a fare nulla o a rivedere ossessioni messe da parte. Perdo la voglia di uscire di casa e mi rimetto a leggere interi capitoli di libri che han segnato la mia ricerca durante gli studi. Riorganizzo così le idee a discapito del tempo.
La vera ricerca avviene sempre altrove, nello studio si accumulano materiali, si costruiscono strutture. Prevalentemente c’è polvere e ruggine.
Il primo e unico sogno: niente arrivederci.
Davide Sgambaro, Cittadella (PD) 1989, vive e lavora a Torino.
Tra le esperienze più rilevanti: Residenza Bevilacqua La Masa, Venezia (2015); Spinola Banna per l’Arte, Poirino (TO) (2015 – visiting professor Lara Favaretto); La Non-Maison Foundation, Aix-en-Provence (FR) (2016). Vincitore del Premio “Ecole des regards” (Marseille-Aix-en-Provence), 2015; Premio Francesco Fabbri per l’Arte, Menzione Speciale della Giuria (2016) sezione scultura-installazione; Premio Combat Prize (2017) sezione scultura-installazione; Premio produzione Stonefly Art Prize (2018).Tra le mostre personali e collettive “Le projet de l’étoile” / La Non-Maison Foundation / personal exhibition curated by Sacha Guedj-Cohen / Aix-en-Provence / FR; Selected Artist by International Curatorial Course / “A Symphony of Hunger Digesting Fluxus in Four Movements” group exhibition / A+A Gallery / Venice; Sonefly Art Prize, mostra collettiva dei finalisti, CAREOF Fabbrica del Vapore, Milano (2018).
A cura di Lisa Andreani