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Non si tratta della retrospettiva conclusa alla Tate lo scorso maggio scorso, ma di quella occasione Ca’ Pesaro mette in mostra la luce di Los Angeles e un inedito album di famiglia: gli 82 ritratti e 1 natura morta sbarcano in laguna inaugurando il fortunato progetto curato da Edith Devanay per la Royal Academy of Arts, destinato a migrare a Bilbao prima di tornare a Los Angeles.
La stessa sedia apparentemente piuttosto scomoda, il tempo di posa per ciascun soggetto e la riconoscibile acidità cromatica uniformano gli ottantadue ritratti (e l’unica natura morta) dipinti da Hockney tra il 2013 e il 2016. E come potrebbe non essere un album di famiglia quando i soggetti sono per lo più amici e quando lo scopo della collezione è quello di compiacere l’autore piuttosto che il soggetto dipinto. D’altronde se è tanto il tempo necessario per ciascun lavoro (tre giorni con sedute da cinque ore o più), perché trascorrerlo in silenzio a realizzare un’opera gradevole per qualcun altro.
Le venti ore di posa appianano qualsiasi differenza sociale e il tempo diventa la sfida più dura per catturare l’energia di un muto interlocutore. Come fosse un gioco di ruolo e in un ritmo incalzante, l’effige di Gagosian si alterna a quella della governante Doris Velasco, così come Tashen e Baldessarri a uno dei preziosi collaboratori e assistenti. Da storica modalità di espressione del sé, la ritrattistica lascia il suo carattere autoreferenziale e borghese per raccontare la più grande bellezza dell’essere umano: la diversità.
Che dipenda da una generalizzazione fuori luogo o che comprovi l’irrilevante differenza anagrafica nella forza espressiva, ciò che colpisce è la pari eleganza che tutti i ritratti mostrano; dal più giovane Rufus Hale, figlio dell’artista Tacita Dean e del marito Matthew, ritratto in posa riflessiva e abiti estremamente eleganti; al filantropo e collezionista d’arte Jacob Rothschild, per cui le consuete ore di posa vengono ridotte nel tentativo di assecondare i suoi numerosi impegni.
Non manca l’alone di mistero che giustifica l’interesse che Hockney ha sempre dimostrato per il figurativo: dal primo della serie di ritratti, quello dedicato a Jan Pierre Goncalves de Lima (suo assistente), ripiegato su se stesso e di cui non vediamo il volto; alla posa sostenuta dell’amica Rita Pynoos, la cui ampia gonna rossa sino ai piedi e l’impeccabile camicia bianca dissimulano un volto tirato per la precedente perdita del marito.
Trascorsi di cui siamo informati attraverso piccoli pettegolezzi associati a ciascuna cornice. Ed è solo in questo modo che riconosciamo Barry Humphries, un elegante signore con pantalone rosa, cravatta a pois e giacca con pochette; nessuno immaginerebbe che l’identità ad averlo reso celebre sia quella di Dame Edna Everage, suo alter ego drag. Così come nessuno sarebbe in grado di individuare i fratelli di Hockney o la maggiore Margaret, con la quale ha sempre avuto un forte legame.
Tutti potranno invece individuare la sottile ironia che la natura morta stuzzica nel progetto espositivo: un peperone, dei limoni, qualche banana e un avocado diventano il rimpiazzo di un appuntamento saltato. Ma sono anche il pretesto per nobilitare il genere e concedergli lo spazio che non ha trovato all’interno dei ritratti accanto. Lo scopo è cogliere l’essenza del soggetto: frutta o uomo che sia.
Per ulteriori approfondimenti: Biografia David Hockney – Testo di Gabriella Belli
David Hockney
82 ritratti e 1 natura morta
Ca’ Pesaro — Galleria Internazionale di Arte Moderna, Venezia
24 giugno – 22 Ottobre 2017