Intervista con Cleo Fariselli | Veneri – OGR, Torino

La gravidanza, il parto e la maternità sono i temi al centro del progetto Veneri dell’artista Cleo Fariselli, in mostra nel Duomo di OGR Torino, l’hub dell’innovazione, della cultura e dell’arte contemporanea sito in corso Castelfidardo 22, Torino.
6 Settembre 2022
Cleo Fariselli, Venere, 2022, olio su tavola, 75x52cm – Foto di Silvia Mangosio e Luca Vianello. Courtesy dell’artista e ALMANAC, Torino/Londra.
Cleo Fariselli Installation view, Veneri, OGR Torino – Foto di Silvia Mangosio e Luca Vianello. Courtesy dell’artista e ALMANAC, Torino/Londra.

Intervista di Barbara Ruperti

Dal 2 all’8 settembre 2022 alle OGR di Torino, Cleo Fariselli presenta Veneri, una mostra accompagnata da un public programme di eventi a cura di Almanac, spazio per l’arte contemporanea dedicato a sostenere la ricerca di artisti emergenti e a diffondere i nuovi linguaggi dell’arte contemporanea.
La gravidanza, il parto e la maternità sono i temi al centro del progetto Veneri dell’artista Cleo Fariselli, in mostra nel Duomo di OGR Torino, l’hub dell’innovazione, della cultura e dell’arte contemporanea sito in corso Castelfidardo 22, Torino. Veneri è una nuova serie di dipinti ad olio su tavola che Cleo Fariselli ha iniziato a produrre durante la sua recente maternità. Nel terzo trimestre di gravidanza, ha prodotto una serie di disegni per esplorare e incanalare queste nuove misteriose energie che sentiva fluire e crescere dentro di sé. Sono visioni dove si ritrova parte dell’intensità, del mistero e della delicatezza dell’esperienza della gravidanza. 

ATPdiary ha posto alcune domande all’artista.

Barbara Ruperti: Partiamo dal titolo, Veneri. Come nasce questo progetto, se così si può chiamare, e a quali figure è dedicato?

Cleo Fariselli: Mi è difficile pensare a questa mostra come a un “progetto”, perché i lavori che la compongono sono nati per ragioni molto intime e personali, e solo in un secondo momento mi sono decisa, anche su suggerimento di amici critici e curatori, a condividerli con il pubblico. Si tratta di una serie di dipinti che ritraggono dei soggetti che ho ideato durante l’ultimo trimestre di gravidanza di mia figlia Teti, che ora ha 16 mesi. Si tratta di misteriose entità femminili, concepite per aiutarmi a esplorare e incanalare le energie che sentivo scorrere in me in quel momento così particolare e per darmi forza durante il parto, che ho scelto di condurre a casa, di fronte a loro. Il titolo Veneri si riferisce a questi soggetti.

BR: Quali sono i legami tra le tue Veneri e le figure apotropaiche di epoca preistorica?

CF: Mentre ero incinta non mi sentivo a mio agio nell’immaginario della gravidanza che mi circondava, ho provato così il bisogno di fermarmi e di ascoltarmi, per trovare un modo di vivere questa esperienza che fosse più mio. Ricordo il giorno in cui mi sono seduta alla scrivania, ho impugnato una matita e con gli occhi socchiusi davanti a un foglio ho semplicemente cercato di sintonizzarmi su come mi sentivo e su come sentivo. Ne sono emerse alcune figure piuttosto sgraziate, con grandi ventri, seni protrudenti, piccole teste, mani e piedi pressoché inesistenti. Guardando quei primi schizzi, il parallelo con le figurine preistoriche cosiddette di Veneri è stato lampante. In quel momento ho capito due cose: la prima è che disegnare mi faceva stare bene, e mi aiutava molto a connettermi con quello che stavo vivendo, aumentando la fiducia nel processo e creando una narrazione che fosse mia (il seme da cui poi sono germogliate tutte le figure successive, sempre più colorate e elaborate). 
La seconda è la sensazione che, per quanto ogni gravidanza e ogni nascita siano uniche, le gestanti condividano per quei nove mesi un mondo psicofisico comune, in misterioso contatto con sommerse forze ancestrali. 
Da questa idea è sorta una mia personale speculazione sul fatto che le statuette delle Veneri preistoriche possano essere state un tentativo delle donne di dare una forma al loro sentirsi come gestanti, per lasciarsi trasportare con fiducia dalle trasformazioni del proprio corpo mutato dal processo generativo e, al tempo stesso, per avere degli amuleti che le sostenessero in questo viaggio a tratti spaventoso e al tempo stesso indescrivibilmente potente.

Cleo Fariselli Installation view, Veneri, OGR Torino – Foto di Silvia Mangosio e Luca Vianello. Courtesy dell’artista e ALMANAC, Torino/Londra.
Cleo Fariselli Installation view, Veneri, OGR Torino – Foto di Silvia Mangosio e Luca Vianello. Courtesy dell’artista e ALMANAC, Torino/Londra.

BR: La tua ricerca si confronta spesso con la storia dell’arte, da cui attingi per rielaborare tecniche e immaginari del passato. Il titolo delle opere svelano un chiaro riferimento alla figura ancestrale della Venere. Ma anche la tecnica, il dipinto su tavola, richiama una tipologia artistica precisa: nello specifico l’icona mariana, raffigurante la Madonna, per secoli modello di femminilità e di maternità. Qual è il nesso tra le tue opere e l’immagine sacra?

CF: Queste per me sono immagini sacre, create in un momento sostanziale della mia vita. Non le divulgo con leggerezza, perché toccano corde per me molto profonde. Tuttavia ritengo che condividerle possa essere interessante per far circolare delle energie di grande intensità, e nella speranza che altre persone possano trovarle utili nella loro esperienza di vita.
L’arte si è sempre occupata degli aspetti più sostanziali della vita umana, tuttavia, poiché la concezione moderna dell’arte è emersa da un contesto storico e sociale patriarcale, la narrazione e l’immaginario della nascita raramente sono stati presentati da una prospettiva realmente femminile. Nel processo di presa di coscienza che stiamo attraversando, trovo importante che diverse narrazioni e immaginari sulla maternità emergano.

BR: Performance, scultura e pittura. La tua ricerca artistica si avvale di mezzi espressivi sempre diversi. Qual è il minimo comune denominatore delle tue opere? Vi è una relazione tra il concetto di “matrice” al centro di numerosi dei tuoi progetti più noti, e quello di “mater” a cui hai dedicato le Veneri?

Cleo Fariselli: L’unica volta che ho pensato alla matrice nel senso di “mater” è in relazione alla mia serie di sculture “Gran Papa”. Lì effettivamente ci sono delle risonanze con il processo della maternità, sia nel momento di generazione della forma (una manipolazione molto fisica con l’argilla, in cui il soggetto viene creato attraverso il tatto) sia nel momento di apertura del calco, dove più volte, anche scherzando, mi è venuto da trovare dei paralleli con il parto (l’estrazione è a volte facile, a volte lunga e difficile, e quando la figura finalmente si rivela, mai una volta è stata come me l’aspettavo!). 
Riguardo al minimo comune denominatore delle mie opere: ci sono molti fili conduttori che attraversano il mio lavoro, dal regno del liminale, al potere della visione, al rapporto tra corpo, paesaggio, mimetismo, a quello tra attualità e inconscio, ma se vuoi risalire al bandolo della matassa credo che l’unica cosa che troveresti è un’attitudine dello sguardo e del sentire che mi appartiene.

BR:  Il tema del femminile è centrale nella tua ricerca. Credi che la maternità in quanto fase di transizione cruciale della vita di ogni donna, abbia rappresentato una svolta fondamentale anche nel tuo lavoro di artista?

CF: La maternità è stata un salto evolutivo nella mia vita in generale, e questo ha certamente avuto delle ripercussioni anche nel mio lavoro artistico. Una delle cose che mi ha stupito di più di gravidanza, parto e maternità è stata la loro natura profondamente empowering: una constatazione che si è scontrata con l’intera narrazione sociale che avevo dato per scontata fin dall’infanzia su queste tematiche. La gravidanza, la maternità e il parto sono ancora ammantati di un’aura di passività, come se questi passaggi fossero inseparabili dal sacrificio, dal ritiro e da un generale “mettersi da parte” da parte della donna. È un’idea di debolezza ereditata da una prospettiva profondamente patriarcale. Quando ho sperimentato in prima persona che tutto questo non era vero, o almeno non era una regola, e che c’era tutto un altro lato sostanziale della faccenda che non era stato incluso nella narrazione né divulgato volentieri, mi sono detta che c’era qualcosa di sbagliato nel modo in cui la società rappresenta la maternità.

Cleo Fariselli, Venere, 2022, olio su tavola, 75x52cm – Foto di Silvia Mangosio e Luca Vianello. Courtesy dell’artista e ALMANAC, Torino/Londra.
Cleo Fariselli Installation view, Veneri, OGR Torino – Foto di Silvia Mangosio e Luca Vianello. Courtesy dell’artista e ALMANAC, Torino/Londra.

BR:  Per molte donne in Italia maternità e realizzazione professionale rappresentano prospettive incompatibili. Cosa significa essere madre nel tuo campo professionale? Quali sono le preoccupazioni che separano le artiste donne dai loro colleghi uomini?

Cleo Fariselli:  Come artista, diventare madre non è stata una scelta né immediata né ovvia. Il tabù sulla mutua esclusività tra la condizione di madre e la carriera di artista è purtroppo ancora ben saldo, e se lo status di “madre lavoratrice” ancora incontra delle resistenze nel nostro paese, quello di “madre artista” ne incontra di ulteriori, anche in un ambiente come quello del mondo dell’arte che si auspicherebbe essere aperto ad ogni scelta di vita. Fortunatamente durante la mia gravidanza e post gravidanza mi sono trovata a collaborare con persone meravigliose che mi hanno molto sostenuta, anche nelle mie rinnovate esigenze di neo-madre, e così ho potuto continuare a lavorare, anche cimentandomi in progetti ambiziosi. 

Al di là della necessità fisiologica di rispettare i tempi di gestione psicofisica della gestazione, del puerperio e della maternità (che ovviamente sono molto diversi tra chi ha fisicamente dato alla luce e chi no) le preoccupazioni e gli impedimenti che gravano sulle donne più che sugli uomini (parlando di artisti così come di qualunque altra professione e scelta di vita) sono di matrice squisitamente sociale e culturale. Chiunque abbia figli ha bisogno di una rete di supporto e di ritagliarsi spazi e tempi per sé e per il proprio lavoro. Se gli uomini possono tornare alle proprie occupazioni dopo la paternità è perché ci sono altre persone che si occupano dei loro figli. Ancora troppo spesso si dà per scontato che per gli uomini sia normale e auspicabile (oserei dire dovuto) un ritorno al lavoro e alla “propria vita” mentre per la donna no: dopo i figli tutto dev’essere subordinato alla maternità come unico orizzonte di senso. È una prospettiva assurda che deve cambiare per il bene di tutti, figli compresi.

PUBLIC PROGRAMME

Veneri
5 Settembre, h.18

Letture di Caterina Avataneo, Angelica Bollettinari, Cleo Fariselli, Marta Federici, Gaia Fugazza, Allison Grimaldi Donahue, Davide La Montagna, Alice Visentin.

8 Settembre, h.18
Greta Schödl, Anna Ruocco (Associazione Casa Maternità Prima Luce), Cleo Fariselli, Cecilia Canziani in conversazione.

presso OGR Torino | Duomo, Torino

Cleo Fariselli, Venere, 2022, olio su tavola, 75x52cm – Foto di Silvia Mangosio e Luca Vianello. Courtesy dell’artista e ALMANAC, Torino/Londra.
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