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ArtVerona | Tre artisti per Free Stage presentati da Adrian Paci

Tra le innumerevoli iniziative di questa edizione di ArtVerona ( 12 al 15 Ottobre 2018), ce ne una particolarmente ‘curiosa’, come giustamente suggerisce l’artista che ne anima le intenzioni: Adrian Paci. Parliamo di Free Stage, una sorta di ‘vetrina’ che ospita...

Alessandro Laita e Chiaralice Rizzi
Alessandro Laita e Chiaralice Rizzi –  Courtesy MACK

Tra le innumerevoli iniziative di questa edizione di ArtVerona ( 12 al 15 Ottobre 2018), ce ne una particolarmente ‘curiosa’, come giustamente suggerisce l’artista che ne anima le intenzioni: Adrian Paci. Parliamo di Free Stage, una sorta di ‘vetrina’ che ospita la ricerca di tre giovani artisti non ancora rappresentati da una galleria e presentati, per questa generosa occasione, dall’artista Adrian Paci. I tre talenti sono Leonardo Pellicanò (1994) e il duo composto da Chiaralice Rizzi (1982) e Alessandro Laita (1979).

Abbiamo posto alcune domande ad Adrian Paci su questa sezione. Emerge, dalle sue risposte, la necessità di porsi davanti alle opere degli artisti con una diversa attitudine, più profonda e meno distratta.

Seguono anche alcune domande di Elena Bordignon  e Valeria Marchi agli artisti.

Elena Bordignon: Free Stage è un nuovo progetto presentato da ArtVerona dedicato ai giovani artisti che non hanno ancora una galleria. Ritieni che considerare una fiera come una ‘vetrina’ per far esordire degli artisti nel mercato sia sempre positivo? E’ un luogo adatto per comprendere appieno la ricerca di un artista?

Adrian Paci: No la fiera non è un luogo adatto per comprendere appieno, ma è un luogo per alimentare una curiosità. Non stiamo parlando di artisti giovani che esordiscono nella scena dell’arte attraverso la fiera, ma di artisti che hanno già fatto e stanno facendo un lavoro serio di ricerca e hanno articolato il loro discorso in altri contesti. Semplicemente non hanno una galleria che li rappresenta .

EB: Hai motivato la scelta dei tre artisti invitati a Free Stage in quanto accomunati dalla condivisione dell’idea che “l’arte è un modo per operare uno slittamento del senso e, al tempo stesso, un re-enactment.” Quale significato dai al termine ‘rievocazione’ in questo progetto?

AP: Credo che sia importante uscire dall’idea che l’artista semplicemente svuota se stesso per riempire l’opera. Non credo nel rapporto a due tra l’artista e il suo lavoro ma in un flusso aperto dove l’opera non è altro che la traccia di un rapporto che l’artista ha con qualcosa che li sta di fronte o attorno, con qualcosa di estraneo e di enigmatico che non richiede di essere affermata ma di essere interrogata.
Rievocare in questo senso vuol dire rileggere, riposizionare per capire le potenzialità nascoste di qualcosa che sembrava già conosciuta e apparteneva al passato, ma che ci appare all’improvviso con un’intensità diversa ed esige di essere rimessa in discussione.

EB: Quali caratteristiche ti hanno convinto nello scegliere la loro opera? Mi racconti cosa vedremo in fiera di Leonardo Pellicanò (1994) e del duo composto da Chiaralice Rizzi (1982) e Alessandro Laita (1979). 

AP: Sono artisti diversi, con poetiche e linguaggi diversi ma operano tutti uno spostamento attraverso il loro gesto. Chiaralice e Alessandro presentano un progetto quasi performativo. Ci sono una scatola di fotografie su un tavolo di legno, uno schermo e una sedia. Le fotografie in questione sono materiali recalcitranti, frammentari.
A turni alterni, i due artisti seduti al tavolo prenderanno le foto originali dalla scatola dispiegando la storia di quelle immagini silenziose che riflettendosi sullo schermo si offriranno a chi vorrà fermarsi a guardare. Ad ogni turno una nuova composizione concorrerà a cambiare la percezione di come guardiamo le immagini. La narrazione così può succedere esclusivamente nella mente dello spettatore, confidando nelle sue potenzialità associative, anche se tutto parte dalla potenzialità che le immagini stesse offrono. E’ un lavoro che esiste nel momento, come un pensiero materializzato: emergono infatti le interconnessioni tra le immagini ma anche tra chi le ha scattate e ritrovate, tra chi ora guarda e partecipa del loro tempo, attribuendo significato a ciò che era destinato a rimanere inosservato. Questo è un lavoro che parla anche di come il mezzo fotografico possa essere continuamente re-immaginato in modo dinamico.

Pellicanò invece opera attraverso il linguaggio pittorico. I suoi lavori sono frutto di una pratica elaborata da anni di rapporto intimo con la pittura. La memoria di uno sguardo colto si mescola nel lavoro di Leonardo con la freschezza del segno e le strutture pittoriche si aprono a situazioni imprevedibili e presenze inattese. L’artista riprende elementi iconografici del passato e spostandoli li posiziona in un nuovo contesto all’interno dello spazio pittorico. C’è inoltre una forte presenza dell’elemento animale e della natura come memoria ancestrale.
Tramite l’autoritratto, si traccia un percorso che parte dal personale e arriva all’archetipico, in quanto il soggetto è presente ma allo stesso tempo si eclissa, si fa assente nel paesaggio. Stabilendo connessioni vitali con queste antiche memorie, l’artista prova a rievocarle, rimuovendole dalla loro aura nostalgica. In ogni dipinto il soggetto ha compiuto una metamorfosi o uno spostamento.

Leonardo Pellicanò, Recieving your gift, 2018
Leonardo Pellicanò, Recieving your gift, 2018

Risponde Leonardo Pellicanò —

Valeria Marchi: Free Stage è il format di ArtVerona a cura di un artista internazionale, che quest’anno è Adrian Paci, che propone artisti non ancora rappresentati da una galleria. Ci anticipi qualcosa sull’opera che presenterai in fiera?

Leonardo Pellicanò: In fiera presenterò una serie di dipinti a cui ho lavorato recentemente. Lo spazio sarà costellato da  tante pitture di piccole e medie dimensioni, configurate attorno ad una tela grande. I poli principali attorno ai quali gira la mia produzione attuale sono: la notte, l’animale, l’orizzonte e l’autoritratto. Mi interessa infondere ogni tela di un’intensa attenzione oggettuale. Desidero trasformarle in oggetti ritualistici, che contengono in loro un’idea di sacralità.
Ottengo questo risultato lavorando con materiali grezzi, come le tele non preparate, che assorbono e mangiano il colore, restituendo la sensazione di un immagine sprofondata sotto la superficie. Mi interessa anche l’utilizzo di spray e polveri metalliche, per la rifrazione della luce che producono, aprendosi allo spazio circostante.
Vorrei che i dipinti piccoli, tutti caratterizzati da una figura centrale: un’icona (spesso tra l’umano e l’animale), si relazionino a quello grande; come se le presenze delle tele piccole provenissero da un ampio scenario silenzioso. E’ molto importante per me lavorare ad un corpo d’insieme, creare tra le opere una continuità, tramite narrazioni e atmosfere che scorrono dall’una all’altra.
Penso che la serialità e la ripetizione possano intensificare il mistero di un soggetto, a seconda di cosa scegli di nascondere e cosa scegli di rivelare. 

VM: Il tuo lavoro, che spesso affonda sull’iconografia del passato e sulla costruzione di uno “spazio naturale “non intaccato dalla civiltà”, usa il medium pittorico lavorando a strati che sembrano cieli, terre e mari inquieti. Mi interessa la tua relazione con questi materiali e immaginari di partenza che poi rielabori. Ce la racconti?

LP: La pittura per me è un atto silenzioso, perciò anche l’immaginario a cui mi avvicino è silenzioso. Mi piace immaginare luoghi vuoti, paesaggi immensi, avvenimenti senza una definizione temporale. E’ come se rivivessi tramite la pittura un mito cosmogonico, permeato da un dubbio esistenziale.
Prima di arrivare a questa accezione mitologica, avviene un accumulo di incontri casuali e significativi con immagini che lasciano in me una traccia, elaborate per generare nuove possibili simbologie.
Trovo necessario evitare il bombardamento di immagini quando sono nello studio, per farmi guidare da immagini interne, infatti mi trovo sempre solo con uno specchio, con i pigmenti, e con il supporto davanti a me. Ogni figura che vado a definire, raggiunge il compimento quando arriva ad un punto di perdita, il suo senso comune viene abbandonato, lasciando spazio ad una meditazione più profonda. Ad esempio nel dipinto ‘Receiving your gift’ (2018), ho deposto la mia identità, trasformando il mio volto in una maschera, che si fonde con la notte e si rispecchia nel mare.

Ritratto Leonardo Pellicanò
Ritratto Leonardo Pellicanò

Rispondono Chiaralice Rizzi e Alessandro Laita — 

VM:  Free Stage è il format di ArtVerona a cura di un artista internazionale, che quest’anno è Adrian Paci, che propone artisti non ancora rappresentati da una galleria. Ci anticipate qualcosa sul- l’opera che presenterete in fiera?

CR / AL: Il lavoro che presentiamo in fiera si intitola Vanished as Affection Flies, un’installazione che com- prende performance, video e fotografia e che ruota attorno al potere evocativo di un flusso di immagini libere dal vincolo della narrazione.
Come guardiamo le immagini? Quando abbiamo un’immagine, dove possiamo collocarla?
Il lavoro procede da queste domande e riflette su come il mezzo fotografico possa essere conti- nuamente re-immaginato, ragionando sulla complessità dell’atto del guardare.

VM: Free Stage racconta un’arte che opera uno slittamento del senso, una relazione con un altro da sè, un renactment del passato e della memoria. Il vostro lavoro si concentra su questi poli di inte- resse: il paesaggio, la storia, la memoria e la sua rappresentazione. Cosa c’è di universale in que- sti temi e cosa di personale e privato? E come ci lavorate nella pratica artistica?

CR / AL: Lavorare insieme per noi significa esercitare un dialogo attorno alle relazioni esistenti tra i poli di interesse che hai citato, perché mantengono il mondo disponibile e sempre sconosciuto.
Ci interessa cogliere la distanza che ci separa dalle cose, riconoscerne il valore e sperare di vede- re qualcosa che possa andare oltre la nostra immediata percezione. In quella distanza andiamo a cercare quello che c’è di vivo e che eccede il pensiero.

Nel lavoro che verrà presentato a Verona, (connesso al libro Live in the house and it will not fall down pubblicato da MACK), sviluppiamo un linguaggio comune in cui le immagini diventano luogo per un’esperienza dello sguardo. Il lavoro diventa così frutto di un atto di fede più che di un certo modo di fare.
L’atto del guardare è processo complesso e sempre in corso, e per un artista, osservare è un modo per avvicinare le cose, la propria vita e l’esperienza che ne fa.

Ritratto Alessandro Laita e Chiaralice Rizzi 2016 courtesy MACK
Ritratto Alessandro Laita e Chiaralice Rizzi 2016
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