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Artist-run spaces | Edicola Radetzky | Daniele Carpi, Devis Venturelli, Giovanni De Francesco

[nemus_slider id=”58418″] Edicola Radetzky, affidata a Progetto Città Ideale dal Comune di Milano, si affaccia nel rinnovato contesto della Darsena, in cui si inserisce con interventi site specific sempre visibili dall’esterno grazie alle pareti vetrate e ad un’illuminazione costante. La...

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Edicola Radetzky, affidata a Progetto Città Ideale dal Comune di Milano, si affaccia nel rinnovato contesto della Darsena, in cui si inserisce con interventi site specific sempre visibili dall’esterno grazie alle pareti vetrate e ad un’illuminazione costante. La stessa struttura del chiosco, di stile Liberty e conclusa da un caratteristico tetto a pagoda, crea nello spazio pubblico un contesto inedito in cui promuovere le forme sperimentali dell’arte contemporanea.

Progetto Città Ideale nasce a Milano nel 2015 per iniziativa di Mirko Canesi, Fiorella Fontana e Stefano Serusi. Tra i temi caratterizzanti il recupero della figura dell’artista come parte della comunità e la riscrittura di spazi connotati. In quest’ottica si inscrive lo stesso restauro di Edicola Radetzky e la sua conversione in spazio espositivo, della cui direzione è incaricato Andrea Lacarpia.

Daniele Carpi —

La complessità dell’essere umano come essere vivente ed artefice ispira la ricerca di Daniele Carpi, in una continua ridefinizione di forme tra presenza concreta e rappresentazione idealizzata. Nell’instabile sovrapposizione di vita biologica e stratificazione culturale egli cerca di rilevare e riprodurre in forma sintetica l’interazione tra gli estremi, per portare alla luce il costante confronto tra l’impermanenza della realtà e l’astrazione delle definizioni.

Nella propria produzione, Carpi utilizza materiali differenti, come gesso, ceramica, pietra e piante vive per le sculture, e collage, pittura e stampa digitale per le opere bidimensionali, il tutto spesso riunito in installazioni. In questo modo, seguendo un procedimento di accumulo e sottrazione e accostando elementi eterogenei, l’artista cerca di assemblare un “oggetto simbolico” che comprenda insieme stimoli percettivi instabili e regole di composizione, mutamenti imprevisti e punti di equilibrio. Il risultato è una compressione di forze, un’immagine che sedimenta una memoria distorta e paradossale perché sentita come prossima ed estranea insieme.

La testa è il soggetto principale scelto dall’artista, a volte inteso come vaso che contiene percezioni ed eredità culturali assorbite dall’ambiente, altre come luogo d’origine dell’azione che trasforma il mondo esterno, altre ancora come il campo della “vecchia rivendicazione rivoluzionaria di una forma che non ha mai corrisposto al suo corpo” (Artaud). L’incontro e lo scontro tra interno ed esterno e tra realtà e rappresentazione crea forme ibride, in cui la fisionomia del cranio e del volto si unisce ad architetture, geometrie e montagne (serie Nomos), a sezioni di sassi di fiume (serie Giano) e ad elementi vegetali come piante e muschi.

In particolare, le opere che nascono dall’interazione tra forme umane e piante vive nascono dalla riflessione, in parte ispirata a degli studi di Giorgio Agamben, sull’ambivalenza del ruolo sociale dell’alterità, intesa come natura selvatica allontanata e nel contempo integrata alla civiltà tramite alcune figure emblematiche che risultano essere necessarie all’ordinamento civile pur essendone esterne.

Dopo aver rappresentato il brigante come figura ambigua e inafferrabile (Can’t take my eyes off you, novembre 2011, MARS) e il ribelle come introduzione alla sfera politica (Der Waldgang, novembre 2014, Dimora Artica), nell’opera realizzata per Edicola Radetzky (marzo 2016) Daniele Carpi rappresenta la figura del sovrano, estremo opposto che chiude il cerchio di una narrazione unitaria dedicata alle figure intermedie tra cultura e vita biologica, nella quale le polarità finiscono per coincidere nello stesso ciclico rinnovamento.
Il busto che ritae l’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo, utilizzato come simbolo del potere, è stato immerso nella fitta vegetazione che ha invaso l’interno dell’edicola e che, crescendo, è andata a modificare l’aspetto fiero ed autorevole del sovrano restituendolo alla semplice vitalità della selva. Il potere politico, che per legiferare deve porsi al di sopra della legge, viene così ricondotto nel suo territorio d’origine, un luogo d’indifferenza tra prassi sociale e nuda vita, tra cultura e natura.

Daniele Carpi. L'imperatore era un vecchio,   2016,   particolare dell'installazione,   Edicola Radetzky
Daniele Carpi. L’imperatore era un vecchio, 2016, particolare dell’installazione, Edicola Radetzky

Devis Venturelli —

L’approccio visionario e utopico all’architettura costituisce il prodromo della ricerca di Devis Venturelli, che predilige lo studio del contesto urbano e la sua rete relazionale.
La performance urbana documentata come fenomeno temporaneo è prerogativa della sua sperimentazione artistica, ancora capace nell’era digitale di risvegliare la tensione per la ricerca di una poetica nel reale, aggiornata a nuove tecnologie visuali. La dimensione creativa e generativa della forma e la sua cinetica imprevedibile assumono come fondamento il concetto di estasi urbana.
L’architettura è il termine di confronto, lo scenario in cui la performance temporanea e nomade si svolge. La dimensione aptica individua nei suoi lavori un approccio destrutturante delle rigidità normative dell’architettura. Materiali tissurali e superfici fluide sono gli strumenti con cui avviene l’alterazione delle forme e la scoperta di una nuova spazialità transitiva. La forma-informe crea un atlante di itinerari geopsichici percettivi e multiformi. L’intervento artistico si delinea come un (dis)continuum in evoluzione, una mise en sequence cinematica in cui gli ambiti linguistici spingono continuamente a confluire l’uno nell’altro: dall’immagine in movimento alla grafica, dall’installazione alla fotografia, dall’immaterialità digitale alla manualità artigianale.
La ricerca di Devis Venturelli individua come tematiche d’indagine l’architettura, la moda, l’antropologia culturale, la spazialità e le sue relazioni espositive, lo studio sull’oggetto ed i suoi display inconsci. Tale percorso descrive una mappa che guida un viaggio attraverso i profondi legami tra realtà e visione.

Devis Venturelli. I'll never be a folk singer,   installazione,   2015,   Antiquarium Alda Levi,   Milano_foto Marco Mignani
Devis Venturelli. I’ll never be a folk singer, installazione, 2015, Antiquarium Alda Levi, Milano_foto Marco Mignani

Giovanni De Francesco —

Nella ricerca di Giovanni De Francesco è centrale la rappresentazione delle forme della natura, in un processo di continua rimodulazione formale che parte dall’osservazione della realtà naturale, la realtà che precede ogni intervento umano, per arrivare alla realtà addomesticata dall’artificio estetico, in cui l’ambiguità dei materiali si unisce alla seduzione delle rappresentazioni.

Ad interessare l’artista non sono i processi biologici, ma ciò che appare alla percezione dei sensi tra verosomiglianza e inganno. Nella riproduzione e ricomposizione di forme ricorrenti, il gioco di rappresentazioni ricalca il funzionamento degli archetipi simbolici che, come calchi di impronte originarie, si rinnovano continuamente pur nella sostanziale somiglianza con la matrice. La produzione di Giovanni De Francesco è legata ad un’idea di installazione che ricalca lo stile della natura morta, in composizioni che mettono in relazione armonica elementi eterogenei, realizzati per mostrarsi in modo inatteso rispetto alle proprie specificità fisiche e tecniche.

Tra i soggetti preferiti dall’artista, compare spesso il profilo del vaso, in cui l’esattezza della forma incontra l’espressività e risolutezza del gesto con cui è stata prodotta. In Ninfeo, imminente mostra per Edicola Radetzky (settembre 2016), Giovanni De Francesco va ad approfondire l’eco simbolico del vaso, in questo caso ispirato alla forma della zucca, collegandolo alla vitalità dell’acqua convogliata in un getto verticale che fa da eco al bacino idrico della Darsena, il tutto iscritto in una struttura formale e semantica che riprende la geometria ottagonale suggerita dal pennacchio che sovrasta l’Edicola. Come in occasioni precedenti, anche in questo caso il luogo condiziona la genesi e lo sviluppo dell’opera di De Francesco, divenendo matrice che contiene e forma il materiale installativo.

Giovanni De Francesco. Isola,   2013,   stampa su tessuto,   150 x 200 cm
Giovanni De Francesco. Isola, 2013, stampa su tessuto, 150 x 200 cm
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