Progetti a 360° per 365 giorni all’anno: questi gli “estremi” che fanno girare Artissima nelle edizioni dirette da Ilaria Bonacossa. Attori fondamentali per rendere attivo l’ “ecosistema” sono le gallerie e i partner che gravitano attorno alla fiera. Già dalle prime risposte della direttrice, nell’intervista che segue, si intuisce la complessità che governa una kermesse che, edizione dopo edizione, si è imposta nel panorama internazionale e, con le unghie, vuole restarci.
Tra gli elementi più significativi di quest’anno, snocciola nomi di gallerie importanti presenti – Sadie Coles, Gavin Brown’s Enterprise, Giò Marconi, Campoli Presti, Kraupa-Tuskany Zeidler -, influenti presenze come Iwona Blazwick, Krist Gruijthuijsen, Carolyn Christov-Bakargiev, Stefan Kalmár, Philippe Van Cauteren – tra i giurati dei vari premi legati alle sezioni della fiera – ma anche progetti come Hub Middle East, che offre una ricognizione su un’area geografica centrale per gli sviluppi della società contemporanea.
Desta ancora molta curiosità, anche se la direttrice ha avuto modo di raccontarlo nelle varie presentazione – Milano, Luglio 2019 / Torino, Settembre 2019 – il tema della fiera che si gioca sulla relazione complementare/antitetica tra censura e desiderio.
Le abbiamo chiesto una riflessione su questo binomio, su uno dei punti forti (a nostro parere) della fiera, la sezione Disegni, e, non ultima, la mostra da lei ideata e curata da Vittoria Martini, ospitata alle OGR: Artissima Telephone.
Elena Bordignon: Sono tante le novità che danno vigore e vivacità
ad Artissima. Da Hub Middle East, il
progetto offre una ricognizione su gallerie, istituzioni e artisti attivi su
un’area geografica centrale come il medio oriente, alle iniziative come #ArtissimaStories
#ArtissimaPills; dal tema ‘scottante’ come quello della censura al
proseguimento delle ricerche su suono con la mostra Artissima Telephone alle OGR, ideata da te e a cura di Vittoria
Martini, solo per citarne alcune.
Un elenco di iniziative che gravitano attorno alla fiera e che le danno,
appunto, vitalità. Per concentrarci nello specifico sulla fiera, quali ritieni
essere, le più significative proposte di questa edizione? Quelle che ritieni
vincenti?
Ilaria Bonacossa: Artissima è un ecosistema vitale composto dalle gallerie che partecipano alla fiera e dai partner con cui attiviamo diversi progetti speciali, alcuni durante la settimana della fiera e altri nei successivi 358 giorni dell’anno. Queste iniziative nascono in collaborazione con le gallerie per offrire momenti diversi di presentazione dei loro artisti a collezionisti, curatori e al grande pubblico. Credo che sperimentare nuove modalità sia importante per capire come il modello della fiera potrà trasformarsi ed essere sempre più ricettivo alle esigenze di gallerie, collezionisti, curatori e direttori di istituzioni d’arte e convincerli che nel serrato calendario mondiale, Torino resta una tappa imperdibile per gli appassionati d’arte.
Sono particolarmente soddisfatta della fiera di quest’anno per la qualità delle gallerie selezionate e per essere riuscita a riportarne a Torino alcune di cui rispetto il lavoro e la ricerca quali Sadie Coles, Gavin Brown’s Enterprise, Giò Marconi, Campoli Presti, Kraupa-Tuskany Zeidler.
Credo che l’appeal di Artissima sia la sua energia creativa, l’imprevedibilità dell’offerta artistica e la voglia di scambiare idee ed esperienze in un contesto aperto e ricettivo. A questo si aggiunge l’attenzione che riserva alle pratiche sperimentali e alla ricerca, e la volontà di concentrarsi sulle gallerie che, indipendentemente dalle misure dei loro spazi o dalla grandezza del loro staff, scoprono artisti, ci lavorano e crescono insieme, e non si concentrano esclusivamente sul massimizzare le vendite, trasformandoli in pura merce di scambio. In questa prospettiva, il lavoro di sostegno alle gallerie emergenti attivato nel 2018 con il New Entries Fair Fund, fondo istituito da Professional Trust Company, si è rivelato uno strumento importante. Le tre gallerie vincitrici di questa edizione, Öktem Aykut di Instanbul, Emalin di Londra e Vin Vin di Vienna, avranno degli stand davvero imperdibili. Inoltre i sei premi legati a diversi partner come la Fondazione Sardi, Irinox, illycaffè, Campari, per citarne alcuni, possono vantare dei giurati importanti la cui visione del mondo dell’arte resta per noi centrale, penso tra gli altri a Iwona Blazwick, Krist Gruijthuijsen, Carolyn Christov-Bakargiev, Stefan Kalmár, Philippe Van Cauteren.
Quest’anno poi con Hub Middle East la fiera offre una ricognizione su un’area geografica centrale per gli sviluppi della società contemporanea. Mi sembra un esperimento riuscito grazie anche alla collaborazione di Sam Bardaouil e Till Feerath di Art Reoriented e curatori del Padiglione Emirati Arabi Uniti alla 58 Biennale di Venezia. Insieme non solo abbiamo intercettato gallerie centrali al sostegno della scena mediorientale come Sfeir-Semler, Marfa’, Grey Noise, Ab-Anbar, Dastan’s Basement, Sommer, Isabel van den Eynde, ma porteremo a Torino collezionisti, curatori e patron di importanti istituzioni e fondazioni per l’arte contemporanea attive nei diversi paesi di quest’area.
EB: In merito al tema, stupisce la contemporaneità del taglio che hai voluto dare a questa edizione. Il tema della censura, ma soprattutto quello del desiderio, la bramosia di apparire, avere e sembrare. Mi accenni da dove ti è nata l’idea per questa tematica? Al di là della mostra a cura di Lucrezia Calabrò Visconti e Guido Costa, Abstract Sex. We dont’ have any clothes, only equipment, che ‘effetti’ avrà il tema desiderio/censura sulla fiera?
IB: Credo che quest’idea del tema faccia parte del mio background museale, ma nello specifico questa polarità contraddittoria tra desiderio e censura nasce come risposta a una sensazione di chiusura del mondo, dei suoi confini e al contempo alle sue trasformazioni vertiginose. Il desiderio mi sembrava la “linea di fuga” capace di mettere in discussione lo status quo e aprire alle visioni libere e imprevedibili degli artisti. Ci sono oggigiorno più metri di muri di confine tra paesi rispetto al 1989 quando è caduto il muro di Berlino, e alle barriere architettoniche si aggiungono filtri digitali che controllano il flusso di informazioni e di immagini. Chiunque usi i social media è “controllato” e in potenza censurato dagli algoritmi che supervisionano immagini e parole “per tutelare il pubblico”. Noi come Artissima abbiamo visto bloccare la sponsorizzazione dei video della fiera sui social media perché presentavano scene di nudo implicito. Volevo pertanto un tema che parlasse di come l’arte debba sempre fare i conti con questa polarità.
Il binomio desiderio/censura sarà centrale anche nei talk curati da Anna Daneri al Meeting Point ed è stato fonte di ispirazione per la terza edizione di Artissima Experimental Academy, guidata dall’artista iraniana Setareh Shahbazi in fiera e negli spazi di Combo Torino.
EB: E’ una delle sezioni che più apprezzo della fiera: elegante, originale, sempre ben curata. Parlo di Disegni, a cura dai due curatori portoghesi di DISEGNI, João Mourão e Luís Silva. Quali ritieni essere gli aspetti vincenti di questa sezione?
IB: Credo che la sezione funzioni perché tutti gli artisti per pensare disegnano, in qualche modo possiamo dire che concepiscano i lavori attraverso le immagini, e questa forma espressiva riesce a essere contemporanea pur mantenendo un forte legame con la sua tradizione. Mostrare ventun monografiche di disegni crea uno spazio di pausa e di riflessione all’interno della fiera, permettendo di entrare in una relazione intima con gli artisti, quasi si spiasse il loro diario. La forza e la novità di questa sezione stanno proprio in questo: mostrare le ricerche più sperimentali del disegno contemporaneo, inteso in tutte le sue forme, dando visibilità alla crescente popolarità che questa forma espressiva sta acquisendo sul mercato, attraendo anche chi è alle prime armi come collezionista. Inoltre per la natura delle opere è una sezione che richiede alle gallerie un limitato sforzo economico dando al contempo una grande visibilità, unendo artisti giovani come Giovanni Kronenberg a maestri come Mimmo Rotella, Bruno Munari, Anna Maria Maiolino o John Bock.
EB: In merito alla mostra ospitata alle OGR – Officine Grandi Riparazioni, Artissima Telephone. Il progetto espositivo offre una ricognizione sul telefono come mezzo espressivo artistico attraverso una selezione di progetti realizzati da artisti delle gallerie partecipanti alla fiera: opere “telefoniche” o presentate al telefono. Mi accenni da dove è nata l’idea per questa mostra e mi racconti gli aspetti più sperimentali che si possono tracciare sia nella scelta degli artisti che per quanto riguarda l’allestimento?
IB: Il telefono è oggi qualcosa di più di un semplice dispositivo vocale, è il nostro principale strumento di comunicazione e di interazione con il mondo, ventiquattro ore su ventiquattro. Artissima Telephone nasce proprio in risposta al rapporto simbiotico e ormai ossessivo che ognuno di noi ha con i propri smartphone, oggetti che ci rendono sempre più connessi alla rete e che fungono da tramite essenziale nelle relazioni sociali, sia professionali che personali.
Insieme a Vittoria Martini abbiamo selezionato opere eterogenee delle gallerie presenti in fiera e che utilizzano il telefono come medium oggettuale o concettuale, offrendo così un’esperienza uditiva in grado di amplificare quella visiva. La mostra e l’allestimento porteranno lo spettatore a fare l’esperienza, oggi paradossale, di doversi recare in un luogo preciso e alzare un ricevitore per poter ascoltare uno specifico lavoro, pur avendo in tasca il proprio smartphone.
I progetti scelti si confrontano inoltre con il tema desiderio/censura offrendo così un’ulteriore riflessione su come le tecnologie abbiano ridefinito le nozioni di pubblico e privato, di intimità e condivisione, rendendoli più labili e mobili.