Testo di Livia Sperandio
Lo spazio della galleria accoglie quattro basamenti ricolmi d’acqua, disposti nei punti cardinali, ognuno sostenente un calco in gesso. Di fianco a tre di questi piedistalli ci sono altrettanti calchi in bronzo e gesso raffiguranti un mento e una bocca. La posizione nello spazio dei due gruppi scultorei è determinata dalle forze magnetiche che li attraversano, l’uno è attratto dall’altro in uno schema estremamente preciso.
L’avvolgente ambiente creato da Anders Holen è reso neutro dall’acqua e dal bianco lattiginoso delle bocche che trovano un felice contrasto nei coloratissimi calchi di fiori che tengono stretti tra i denti. Caratteristica assente in questo lavoro è la casualità; i fiori sono stati scelti da Holen lavorando insieme a biologi che si occupano di ricerca su categorie estinte o in via d’estinzione. La tensione delle forze magnetiche ritorna nel gesto rigido del morso e nei tiranti che sostengono l’impronta antropomorfa definendo una modalità installativa inusuale quanto interessante.
Le quattro sculture che dominano i piedistalli cilindrici sono formate da una base di gesso combinata con delle resine; se in apparenza sono tutte candide, oggettivamente invece ognuna è resa particolare dalla dominante di colore dovuta all’aggiunta di un pigmento magenta, verde o grigio.
La mostra, visitabile presso la galleria Giorgio Galotti a Torino fino al 19 gennaio 2018, ad una prima occhiata sembra proporre un non finito della statuaria classica, più da vicino il lavoro si mostra nella sua complessità di significati. Una mano che tiene uno smartphone, l’occhio di Ra, elementi della simbologia magica, una scarpa Nike, Mr. Potato e la principessa Jasmine, di nuovo fiori, un braccio e un orecchio; questi sono alcuni dei personaggi che animano le scene delle sculture evocando un gusto piacevolmente barocco.
La tecnica del calco permette all’artista di imprimere elementi provenienti dalle proprie esperienze, avvalendosi di un’estrema resa del dettaglio. Si tratta di opere che meritano particolarmente di essere osservate da vicino; in una trovo un gomito che presenta una texture della pelle così definita da esprimere potenza e umanità. Si può parlare di un’esperienza anacronistica; la pelle di gesso accumula in sé tracce simili a geroglifici risultanti da una commistione di diverse e lontane ere. In questa dimensione archeologica, connotata dalle caratteristiche del fossile, l’artista utilizza un linguaggio che attinge a un patrimonio culturale e sociale interamente interpretabile da un uomo contemporaneo.
La delicatezza dei dettagli si fa ancora più preziosa una volta appreso che tutto il lavoro è totalmente realizzato dall’artista stesso, in ogni elemento è possibile cogliere la perizia con cui è stato disegnato e costruito. La visione dell’uomo e il suo corpo fanno parte dell’oggetto di questo ragionamento, non solo per la presenza di braccia, bocche, ma anche per le esperienze personali filtrate nel racconto visivo e per la fisicità materica propria della tecnica scelta.
Anders Holen pone l’attenzione sui fenomeni naturali che sottoposti a variazioni subiscono mutamenti. Tramite l’utilizzo di magneti che tengono in tensione i due poli del progetto, discute di interazione, dipendenza e cambiamento; al variare della posizione di un corpo corrisponde lo spostamento dell’altro. Il mondo si evolve e modifica il proprio aspetto adattandosi ai suggerimenti dalla natura stessa o per causa di agenti esterni come l’intervento dell’uomo; i fiori che vediamo qui ricalcati e dipinti sono una testimonianza del passaggio, infatti non possiamo più trovare in natura queste fattezze. Esistono solo derivati dall’alterazione. Da una parte il bilanciamento delle forze in sottile equilibro tra tensione e distacco, dall’altra il dinamismo narrativo dell’esperienza; così si instaura una relazione proficua in cui il movimento parla anche di connessione e provenienza; ogni scultura riconduce visivamente ad un altra, componendo un articolato e armonico apparato.