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Testo di Lorenza Pignatti
Cariatidi che “urlano”, Kouros, che nella statuaria classica rappresentano il modello del giovane uomo, ritratti con maschere antigas, ninfe con seducenti pepli interagiscono con smart technologies, ritratti di “vip” dell’antica Roma come Tarquinio il Superbo (settimo e ultimo Re della capitale), Castore e Polluce, e Abraxas rivisitati in chiave contemporanea: sono queste alcune delle opere raccolte nella personale di Alexey Morosov al Museo Archeologico di Napoli. Pontifex Maximus è il titolo della mostra che unisce diverse opere scultoree dell’artista moscovita, divinità elleniche, cariatidi, Kouros, guerrieri romani e ninfe classiche che Morosov proietta in un timescape in cui passato, presente e futuro si contaminano per far riemergere dall’archivio della memoria iconografie dimenticate.
La Caryatid_Supersonic, esposta nel giardino delle camelie del museo, è un omaggio al controtenore James Bowman, così come i guerrieri che viaggiano in segway sono statue romane che rappresentano giovani che potrebbero trovarsi in qualsiasi metropoli contemporanea. Non si tratta di un’operazione citazionista, né postmoderna, quanto piuttosto della volontà di creare dialoghi e contaminazioni tra la storia e l’iconografica del Mediterraneo e quella della cultura euroasiatica. Nato nel 1974 e formatosi con Leo Kerbel alla V. Surikov Moscow State Academy Art Institute, Morosov crede che la civiltà europea dovrebbe relazionarsi maggiormente con il suo passato, riflettere e analizzare situazioni contemporanee attraverso allegorie, miti e eventi storici per ritrovarne nuovi significati, perché quegli insegnamenti non sono morti ma possono coesistere nella contemporaneità. Nelle sue opere è possibile ritrovare gli echi e le riflessioni dello studioso di mitologia e religioni comparate Joseph Campbell che in diversi suoi libri ha analizzato la presenza di miti e di figure archetipiche in culture diverse, indicando come ogni mito sia in realtà metafora di un processo di trasformazione e mutazione. E se l’habitat odierno è diventato sempre più artificiale, Morosov registra e restituisce i segni e i temi della contemporaneità, mettendoli in relazione e in dialogo con i modelli del passato.
“Sono rimasta colpita dal lavoro di Morosov” ci dice Kristina Krasnyanskayav, curatrice della mostra insieme a Alessandro Romanini, “dopo aver visto la sua personale al Russian State Museum di San Pietroburgo, alcuni anni fa. Sono rimasta impressionata sia dalla bellezza formale delle opere, realizzate in materiali diversi — marmo, bronzo, pietraserena, ferro —, sia dalla sua capacità di aggiungere a iconografie classiche contenuti contemporanei. Non li stravolge completamente, li asseconda, i riferimenti sono riconoscibili e vengono riattualizzati. Attraverso quelle iconografie ci parla della questione dell’emancipazione femminile, della rappresentazione del potere e della pervasività dei dispositivi di comunicazione presenti nella nostra quotidianità. In questo modo crea un ponte tra la tradizione e la contemporaneità, aggiungendovi anche un pizzico di umorismo.” E aggiunge: “Morosov cerca di creare dialoghi tra la dimensione umana e quella divina, fra sacro e profano, percorsi di analisi anche di carattere filosofico come già indicato da Kant e Heidegger. La cariatide, che nel giardino urla rivolgendo il suo grido verso l’interno del Museo, ad esempio, intende sottolineare quanto i mutamenti culturali ed economici in atto possano trarre insegnamento dalla storia e dai valori del passato”.
Visitabile fino al 30 settembre, Pontifex Maximus sottolinea la vivacità del Museo ad aprirsi al contemporaneo, oltre alla mostra di Morosov ospita la personale Codex di Antonio Biasucci e la straordinaria mostra Mito e natura. Si tratta di un primo appuntamento in vista delle future collaborazioni con alcune prestigiose istituzioni russe come l’Ermitage di San Pietroburgo, come ha dichiarato il neo direttore Paolo Giulierini.
L’archeologico di Napoli è un museo iconico per le collezioni uniche al mondo che conserva e sempre meta privilegiata per la visita di stranieri che compiono il Grand Tour in Italia. Iconico anche perché vi hanno girato una scena particolarmente significativa del film Viaggio in Italia di Roberto Rossellini, in cui Ingrid Bergman rimane colpita dal fascino di diversi artefatti scultorei determinanti per la formazione della cultura europea.