ATP DIARY

Alessandro Roma | Swamp, Villa Croce, Genova

[nemus_slider id=”61244″] “Liberarsi delle impalcature concettuali che talvolta inaridiscono il nostro sentire”: questa è uno dei suggerimenti che scaturisce dall’opera di Alessandro Roma. Seguendo un tragitto più esperienziale che concettuale, l’artista sembra aderire alla forma-paesaggio, ne racconta – per allusioni,...

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“Liberarsi delle impalcature concettuali che talvolta inaridiscono il nostro sentire”: questa è uno dei suggerimenti che scaturisce dall’opera di Alessandro Roma. Seguendo un tragitto più esperienziale che concettuale, l’artista sembra aderire alla forma-paesaggio, ne racconta – per allusioni, analogie o inspiegabili corrispondenze – la vita “interiore”, il suo inafferrabile significato.
Nella mostra ospitata al Museo  Villa Croce, “Swamp” – a cura di Ilaria Bonacossa, con testo critico di Silvia Simoncelli, visibile fino all’8 gennaio 2017 – l’artista espone una serie di vasi-sculture in ceramiche, acconto ad un imprevedibile percorso fatto di collage, materiale d’archivio, opere su carta, pubblicazioni ecc. Un bacino dove immergersi per capire molti suoi rimandi visuali, le inspiegabili analogie che si diceva poco sopra: elementi tratti o ispirati dalla natura, dalle sue oscure leggi e, non ultima, la sua affascinante bellezza.
Il fulcro della mostra è rappresentato da una selezione di sculture in ceramica: “forma d’elezione in Swamp il vaso diviene paradigma di trasformazione: tagli, fori, protuberanze trasformano la materia da inorganica a organica.” Come spiega l’artista, il trapasso da uno stato e l’altro, dall’essere contenitore a contenuto e viceversa, si attua grazie ad una sorta di predazione: il vaso inghiotte piate, fiori e questi ultimi, crescendo al suo interno, ne modificano la struttura. Ecco allo che i vasi si animano per diventare aperture, bocche, pezzi di arti-tronchi dalle diverse consistenze ed estensioni. La “pelle” simula i colori naturali dei muschi, delle cortecce, della terra, a volte invece se ne allontana per tramutarsi in lucida superficie acquatica, in epidermide rosa, in lattiginoso e pallido viola.

Alcune domande all’artista.

ATP: Nel testo di presentazione si rivela che la tua pittura di paesaggio tratta, anche, un paesaggio ‘interiore’. Mi spiega in che senso alludi ad aspetti più intimi, inconsci o, in ogni caso, profondi?

Alessandro Roma: Alludo ad un paesaggio interiore quando penso alla stratificazione che si crea nella nostra memoria, frutto non solo di ciò che abbiamo visto ma anche di ciò che abbiamo percepito e provato.  Esperienza dunque, un paesaggio fatto di costellazioni di esperienze che danno  vita ad un unica forma. Ho sempre pensato che quella forma possa essere rappresentata come un frammento di paesaggio. Un paesaggio viscerale quasi a sfiorarne carnalmente, tattilmente il suo corpo interno. 

ATP: In merito al legame che corre tra una serie di lavori e l’altra, perché mantieni queste relazioni? Perché ogni nuova serie di opere trattiene le tracce della ricerca precedente?

AR: Perchè è come un flusso che tenta di andare in profondità. Non ha bisogno di un apparato concettuale, preferisco spingersi o meglio imparare a seguire quella spinta che porta all’interno del “paesaggio”. Seguirla significa liberarsi dalle impalcature concettuali che talvolta inaridiscono il nostro sentire 

ATP: Cosa ti attrae della lavorazione con la ceramica? 

AR: L’imprevedibilità della materia, i suoi tempi. Bisogno imparare a capire le sue necessità e non farsi trascinare dal piacere che facilmente concede. Una cara persona all’interno della fabbrica di ceramiche un giorno mostrandomi alcuni cambiamenti della terra in cottura mi disse ” questo avviene perchè la terra ricorda”. Questo mi sembra un buon motivo oggi per ritornare a sporcasi le mani con lei. E un dialogo, un botta e risposta con il materiale.

ATP: Mi incuriosisce come attui la trasformazione della materia da inorganica a organica. Mi racconti questa alterazione nella lavorazione dei vasi?

AR: Sono delle forme che nascono come vasi per contenere delle piante, fiori, elementi naturali. Quello che ho voluto è far si che questi elementi organici anziché essere contenuti,  diventassero parte del vaso stesso. Come se la materia vivente prendesse possesso della vaso modificandola.  Questo potrebbe essere in qual modo la trasformazione.

ATP:  Perché hai scelto di dare come titolo alla tua mostra Swamp?

AR: Giorgio Manganelli è uno scritto complesso e di cui anni fa mi sono fatto coinvolgere nella sua vasta letteratura arrivando a scoprire un suo ultimo testo intitolato ”La palude definitiva”. In molti lavori è stato un libro che mi ha aperto molte porte.  Leggendolo si può capire come mai ho deciso di scegliere questo titolo…

Alessandro Roma,   Swamp,   Villa Croce,   Genova 2016 - Installation view - ph Matteo Zerbo
Alessandro Roma, Swamp, Villa Croce, Genova 2016 – Installation view – ph Matteo Zarbo

Segue il testo di  Silvia Simoncelli

La palude e? lentezza, pazienza, ripetizione; quante volte si e? riprodotto in una zona lo stesso disegno, ma
accompagnato da disegni diversi nelle altre zone; la palude e? pellegrinaggio, labirinto, la strada sbagliata ma pur
sempre strada, e? partenza identica all’arrivo, e? preparazione, apprestamento, e? anche il borbottio della senescenza,
perche?, anche se e? impossibile affermare che la palude e? vecchia, o che abbia una qualunque eta?, non si puo? non
riconoscere che la palude e? carica di tutte le possibili eta?.
Giorgio Manganelli, La palude definitiva

Nell’acqua opaca e iridescente della palude lenti movimenti disegnano in superficie forme astratte; sulle sponde resti di vegetazione consumata dal tempo, colonizzati da piante infestanti, si mimetizzano tra il fitto delle erbe alte. Il paesaggio della palude e? pervasivo, ogni passo per addentravisi incerto. Swamp, la palude, e? il progetto che Alessandro Roma ha ideato per il museo di Villa Croce a Genova, un percorso attraverso un luogo immaginato, scandito da dodici sculture in ceramica, dodici piccoli mondi in cui linguaggio artistico e forme naturali si fondono in un dialogo affascinante e misterioso.

Cave, forate, irregolari, solcate da tratti che evocano via via pattern geometrici, texture naturali, gesti automatici, le sculture sembrano aver intessuto un dialogo con l’artista, a partire dalla specificita? del loro stesso materiale. Il vocabolario formale di Alessandro Roma e? ricco di rimandi al regno vegetale e al paesaggio naturale: gia? sperimentato nelle sue tele stratificate, in cui si ritrovano assemblages di diversi materiali e l’uso di molteplici tecniche – dalla stampa al disegno, dalla pittura al collage – trova qui ulteriori potenzialita? di espressione e al tempo stesso limiti strutturali con cui confrontarsi, imposti dai tempi e dai procedimenti di cottura ed essiccazione, tipici della ceramica.

Il processo di mimesi, sperimentato nei primi tentavi con la ceramica, in cui le superfici rievocano cortecce e strutture arboree, lascia progressivamente spazio a forme sempre piu? astratte, che rimandano tuttavia nella loro conformazione ai processi di crescita tipici del mondo naturale. Ascoltando la specificita? del materiale, Alessandro Roma ripercorre riflessioni sviluppate da quegli artisti inglesi – tra cui Henry Moore e Barbara Hepworth – che intorno alla meta? del secolo scorso esploravano la relazione tra il farsi della forma dell’opera d’arte e i processi di crescita delle forme naturali, e che avevano trovato nel testo del naturalista D’Arcy W. Thompson “Crescita e Forma” un vademecum di morfologia artistica profondamente radicato nel mondo organico e nel linguaggio geometrico.

Anche nei lavori in ceramica Alessandro Roma non abbandona l’uso di un ricco repertorio iconografico legato in particolare al linguaggio surrealista e al mondo naturale, qui declinato nella gamma ristretta dei colori utilizzati e nell’aspetto ora opaco ora traslucido del materiale. Come intrappolate sulla superficie delle sculture, linee ricurve richiamano silhouette di Matisse, grovigli vegetali composizioni di Graham Sutherland, mentre l’attenzione per il dettaglio nella mimesi delle superfici naturali rievoca Max Ernst; ma i rimandi sono colti e ancora molteplici e includono anche autori meno noti, come l’acquerellista americanoCharles E. Burchfield e la vittoriana Georgiana Houghton.

In mostra le opere sono accompagnate dal suono ipnotico dei grilli, registrato dall’artista nei pressi di una cava, nella pianura Padana: ossessivo e cantilenante, accompagna lo spettatore nel paesaggio della mostra e di ogni singola scultura, in un continuo addentrarsi dello sguardo ora nello spazio ora nelle immagini, come in un percorso di esplorazione e contemplazione.

Alessandro Roma,   Swamp,   Villa Croce,   Genova 2016 - Installation view - ph Matteo Zerbo
Alessandro Roma, Swamp, Villa Croce, Genova 2016 – Installation view – ph Matteo Zarbo
Alessandro Roma,   Swamp,   Villa Croce,   Genova 2016 - Installation view - ph Matteo Zerbo
Alessandro Roma, Swamp, Villa Croce, Genova 2016 – Installation view – ph Matteo Zarbo