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Il titolo della mostra ci porta lontano nel tempo, in un periodo di cui nessuno ha memoria, se non la materia. L’artista veneto Alberto Scodro ha presentato la sua ultima produzione nella galleria CAR DRDE di Bologna, in occasione della sua mostra Eocene (visitabile fino al 18.03.2017). Nell’intervista che segue l’artista ci racconta la gestazione delle sue sculture, la lunga lavorazione, gli imprevisti (o i benefici) del caso, l’influenza del territorio sulla sua ricerca. Costruita come un vero e proprio percorso, la mostra racconta di scoperte, di esperimenti, di tentativi (andati a buon fine) per completarsi con un’opera da considerare come una sorta di chiosa: “alla fine di questo percorso ‘alchemico’, all’interno dello spazio singolare di CAR DRDE, l’opera “Spiga d’Orata” – il più esile e quasi invisibile – parla di un rapporto tra interno ed esterno, tra opposti e contiene in se un tutto connesso.”
ATP: Dietro alla tua mostra Eocene alla CAR drde di Bologna, c’è un lungo e complesso lavoro. Hai deciso di esporre una serie di sculture accumunate da un comune tipo di lavorazione: la fusione dei materiali. Mi raccontavi che hai anche lavorato alla Fonderia Battaglia di Milano. Mi racconti cosa ti ha avviato a questa ricerca?
Alberto Scodo: L’origine di queste fusioni è un’evoluzione naturale, una convergenza di competenze lavorative che fanno parte del mio percorso, come l’uso delle sabbie nel campo dell’edilizia e l’uso dei forni ad alta temperatura per via della tradizione ceramica.
L’attenzione per i minerali nasce dal vivere ai piedi delle alpi, dalla presenza dei fiumi Brenta e Astico. Tutta la mia ricerca rispecchia un uso dell’ambiente e dello spazio considerando l’attorno come risorsa. In questo caso, non è più l’installazione che determina il lavoro, ma il lavoro in se che contiene i principi dell’installazione, come la tensione, il processo, la connessione di elementi disparati, la casualità, le contraddizioni, uno sguardo interno ed esterno alle cose…
La collaborazione con la Fonderia Battaglia è iniziata dopo un’esposizione nel 2015, con la Galleria Clima a Milano, dove erano esposte alcune di queste fusioni. Pochi giorni dopo la fonderia m’invitò in residenza per due mesi per sperimentare, con i loro forni e crogioli, la fusione tra le mie miscele e il loro bronzo. Tutto è nato, perché il Dottore si accorse che includevo del metallo all’interno delle lastre. A quel tempo usavo soprattutto ferro e leghe da ferramenta che trovavo in studio. La Fonderia mi ha permesso una produzione sperimentale molto intensa sia nella quantità sia nella qualità e un confronto stimolante tra il mio ed il loro sapere. Dalla Fonderia sono nati alcuni dei lavori portati in mostra da CAR DRDE a Bologna, ovvero le tre lastre Winter#1, Spring#11, 12 e 15.
ATP: Leggendo la composizione delle opere si nota che, per le tue fusioni, hai utilizzato bronzo, pigmenti, vetro, ossido, terra, resine.. Materiali sia naturali che artificiali. Che scoperte hai fatto nell’interazione tra questi elementi diversi?
AS: Nello specifico bisognerebbe analizzare lavoro per lavoro, nessuno contiene le stesse materie dell’altro e nessuno è realizzato con le stesse dinamiche di temperatura e tempi di fusione. I materiali da te menzionati sono grandi categorie, ma in realtà, per ognuna di esse bisognerebbe aggiungere i nomi specifici dei singoli elementi e granulometrie.
Le scoperte sicuramente più interessanti non stanno nel rapporto naturale/sintetico, che in questo caso è usato come espediente tecnico, ma nel rapporto metallo/minerale.
Per natura, i due tendono a respingersi, ma a determinate condizioni, succedono dei fenomeni come ad esempio la vulcanizzazione del bronzo che trovandosi immerso nelle sabbie passa dall’essere una “lega” al diventare un “legante” quindi un medium che aggrega le sabbie. In altre condizioni invece, si separa nei differenti metalli che lo compongono, come il rame, l’alluminio, il nichel, il berillio, lo stagno… Mi affascina il processo di fusione perché alcune sostanze resistono e si trasformano, altre invece evaporano, diventando parte dell’atmosfera, allargando la sostanza del lavoro e conferendo all’opera finale lo status di ciò che resiste al processo. Un’altra scoperta riguarda la cesellatura automatica della lastra di bronzo immersa in differenti granulometrie e tipologie di sabbia. Questo fenomeno e quello della disgregazione del metallo sono ben visibili nel trittico presentato in galleria.
ATP: Un dato importante di questa ultima serie di lavoro è l’alta dose di imprevedibilità dell’esito finale. Dallo stato liquido della fusione alla solidificazione dei materiali. Visto che non potevi controllare il risultato ultimo, ci sono stati molti errori e sbagli che hai dovuto superare per giungere alle attuali opere?
AS: In natura non esiste l’errore e il caos è un ordine ben preciso. Per lo stesso principio di naturalità considero questi lavori con accettazione.
Si, ci sono imprevisti ma non errori e c’è pochissimo scarto, più l’impasto viene fuso e rifuso più diventa interessante. Quindi in questo processo non esiste l’errore ma esiste la ripetizione, la perseveranza e l’aggiustamento.
ATP: Il titolo della mostra, Eocene, porta molto lontano. Non conoscevo l’origine di questa parola né il suo significato. Utilizzata per definire una precisa era geologica risalente milioni di anni fa quando si formarono le grandi catene montuose attuali come le Alpi e l’Himalaya, Eocene ha anche un affascinate significato etimologico, proviene dal greco antico – eos che significa “alba” e kainos, che significa “nuovo”- a indicare la nuova alba dei mammiferi moderni apparsi in questa epoca. Per quali ragioni hai voluto che le tue sculture fossero raggruppate sotto questa densa e importante parola?
AS: Eocene contiene un nesso temporale che lega l’origine degli elementi utilizzati in mostra. Immaginare un periodo ricco di sbalzi termici, vulcani e terremoti, un momento in cui si formavano le catene montuose e con esse molte delle tipologie di pietra ora estraibili.
Un’era che ha spazzato via animali mai più riemersi selezionando le specie che avrebbero resistito. Immaginare tutto ciò mi ha permesso di inquadrare l’origine di questi lavori.
Lo studio degli stessi animali, non può che avvenire tramite un’analisi fossile. È proprio rimanendo sul campo della geologia che ho scoperto che anche la talpa aveva la sua origine in quest’era mediana al Paleogene che è l’Eocene.
La mostra è una composizione di segni arcaici tracciati da animali altrettanto arcaici. Sono tutti lavori accomunati sia da processi formativi “sotterranei ed invisibili”, che dall’originaria distanza dalla presenza umana. C’è un’analogia visiva tra il processo formativo delle sculture, e la parola “nuova alba”. Le sculture sono passate da uno stato granuloso/scomposto ad uno stato liquido/luminoso, per finire nell’essere composti/solidi “metallici e/o cristallizzati”. Questo passaggio dal buio alla luce che li costituisce, coincide con il motivo per cui noi chiamiamo il fenomeno stesso dell’alba, Alba, che è seguito da questo breve frangente di luce dorata che chiamiamo Aurora. Vedere questi lavori come una catalisi dell’energia latente di un’aurora impressa in una materia, sono sfumature di senso che appartengono al mio immaginario.
ATP: In mostra c’è un gruppo di opere legate alle stagioni. C’è un particolare motivo per cui hai fatto questa scelta? Per cosa si caratterizzano?
AS: Considero il tempo atmosferico, i periodi dell’anno, come elemento fondamentale per aumentare la funzionalità e la produttività di determinati processi. Spesso, sembrano una visione aerea/satellitare del mondo, avendo un potenziale ciclico, è un modo per parlare del pianeta, sono dei microcosmi. Inoltre è una scelta che mi permette di archiviare i lavori semplicemente includendoli nel periodo di produzione.
ATP: Le sculture “Mole”, sembrano dei rami, dei corsi d’acqua in miniatura. in realtà sono dei calchi di tane. Come hai realizzato queste opere?
AS: Sono il calco dei tunnel di talpa presenti sul giardino di casa. Prima viene versato il gesso liquido all’interno del cunicolo e dopo essere stato estrapolato, viene ricavato lo stampo dal gesso. Per il momento ho trasformato i prototipi di gesso con la resina e il bronzo.
Questi lavori sono nati dall’interesse sull’analisi dello spazio fisico e architettonico, nel ricercare un’intimità, un’intuizione che mi spingesse oltre il visibile e verso l’inaspettato. Sembrano rami, ma si tratta di una vera e propria casa costruita da un architetto cieco che si muove per vibrazioni sonore, tattili e olfattive. Mi suona quasi da autoritratto!
Una volta estrapolata dal suolo, diviene un modo per mostrare e rendere scultorea la cecità, indagando con tensione verso il non conosciuto tramite l’azione del fare. Si tratta di una piccola società/comunità, fondata sulla collaborazione libera, io lascio a loro un terreno privo di veleni, antiparassitari ecc.. e loro proliferano sul mio terreno.
Tornando alla vibrazione che li contraddistingue, ho sempre pensato che le talpe seguano la via del silenzio nel loro scavare…, anche le altre opere in mostra sono la risultante di una vibrazione fisica, data dall’energia elettrica che tramite delle resistenze fonde i minerali lasciando una materia ruvida ma vibrazionale, in quanto la luce penetra nelle sabbie che le compongono.
ATP: Messa a terra, in un angolo, quest’opera sfugge quasi alla vista: ”Spiga D’Orata”. E’ stato definito “un fossile ibrido generato dall’unione tra una spiga e una lisca di pesce”. Quest’opera è l’unica in mostra, che ha una stretta relazione formale con la realtà. Che nesso c’è tra questa scultura con le altre esposte?
AS: Spiga d’Orata, oltre alla tautologia tra i materiali e gli elementi che la compongono, compreso il titolo, è la connessione formale tra l’interno di un pesce, la morfologia della sua lisca e l’esterno di una spiga. La spiga è la fine. È la relazione tra una dimensione interna ed esterna alla materia, tra il buio della spina e la solarità della spiga, che strutturalmente e vettorialmente si oppongono. Uno spinge in giù, l’altro in sù.
La mostra inizia con due lavori che conducono l’entrata nello spazio. Il primo è “Navigare per terra“, una trottola che, come una sorgente d’acqua, introduce alla mineralità di tutti i lavori e riflette sulla loro provenienza immersiva e sotterranea. Il secondo, entra nello spazio da una canna fumaria, rimanendo sopra la testa del visitatore, per immergerlo in questo ambiente che esclude l’idea di antico e di contemporaneo.
Quindi, alla fine di questo percorso “alchemico” all’interno dello spazio singolare di CAR DRDE, questo lavoro, “Spiga d’Orata”, il più esile e quasi invisibile, parla di un rapporto tra interno ed esterno, tra opposti e contiene in se un tutto connesso.