Testo di Clarissa Virgilio —
“Are you a God?” (Gozer the Destroyer)
Un tempio grottesco ed irriverentemente glamour è quello allestito da Monster Chetwynd negli spazi dell’Istituto Svizzero di Milano, dal 20 settembre al 24 novembre 2024. Installazioni che richiamano architetture fantastiche “fatte con impazienza”, usando le parole dell’artista londinese: materiali semplici da lavorare e soprattutto da spostare, pareti di cartone, poster e lastre di compensato mettono in scena un paesaggio surreale dove fantascienza e rovine di palazzi antichi dal gusto Romantico si fondono tra loro, illuminate da luci da discoteca ed avvolte nella nebbia di una macchina del fumo. Zuul è un viaggio in un mondo immaginario, divertente e glam. La performance messa in scena in occasione dell’inaugurazione sottolinea l’importanza che per l’artista possiede il concetto di “sviluppo collettivo” di un’opera d’arte, che necessita un’attivazione, che sia tramite altr* artist* o grazie all’intervento del pubblico.
Monster Chetwynd (Londra, 1973 – vive e lavora a Zurigo) è un’artista eclettica. I suoi lavori, che siano sculture, installazioni o performance contengono sempre riferimenti ad eventi storici o ai fenomeni culturali più disparati: dalle Canterbury Tales di Chaucer (da cui Monster seleziona alcuni racconti per creare un libro d’artista illustrato in cui si mescolano l’immaginario medievale e la cultura pop) a quelli che lei definisce “random mainstream movies”, come in questo caso.
Il titolo della mostra è proprio un riferimento ad un personaggio del film del 1984 Ghostbusters: Zuul (the Gatekeeper) è infatti una creatura millenaria di sesso femminile al servizio di Gozer The Destroyer, divinità agender e violenta intorno a cui si è creato nei secoli un culto molto potente e pericoloso per gli equilibri sociali del mondo. Zuul è in grado di possedere i corpi degli esseri umani, e nel film ha il ruolo di annunciare la nuova venuta di Gozer. Guardiana dell’ingresso ad un altro mondo, come dichiara il suo stesso epiteto, Zuul si trasforma nell’angelo di un’apocalisse fantascientifica. A lei è dedicata la mostra di Monster Chetwynd, così come lo sono le tre statue presenti nell’allestimento: le sue fattezze ricordano quelle di un gargoyle, ma al contrario della decorazione architettonica di pietra le statue di Zuul prendono vita nella performance An Evening with Gozer The Destroyer. Qui Monster, che veste proprio i panni di una delle tre creature con le fattezze di Zuul, si muove negli spazi dell’Istituto Svizzero insieme ad altri dieci performer. Da questo punto divista, si può notare una divertente inversione dei ruoli tra l’essere immaginario e l’artista. È infatti proprio lei ad avere il potere di Zuul, “impossessandosi” del corpo della creatura e mettendolo in movimento. Tutti i costumi sono colorati, divertenti, consapevolmente e sofisticatamente kitsch: in una parola, camp. Il design è stato realizzato in collaborazione con Aelita Fashion, un negozio situato nell’ex quartiere a luci rosse di Zurigo Langstrasse. Piume, calze a rete, paillettes e body con stampe di corpi nudi attirano subito l’attenzione: i performer e le performer sembrano mostri in un night club spaziale di una galassia lontana.
Oltre a Ghostbusters, questa scena rievoca un altro immaginario tratto dal mondo cinematografico, allestendo un ambiente con richiami alla Taverna di Mos Eisley in cui entrano Luke Skywalker e Obi-Wan in Guerre Stellari. I performer e le performer danzano, accompagnano Zuul tra la folla. Solo un personaggio resta fermo: una creatura dalla pelle verde maculata come l’epidermide di una salamandra pezzata, dalle lunghe e flessibili antenne – che all’occorrenza vengono usate come accessorio da avvolgere intorno al collo – seduta comodamente in poltrona. Lei ed altri due performer sono gli unici personaggi che parlano. La loro voce modificata è baritonale, ricorda un ringhio. E proprio quando ci si aspetta che dalle loro bocche fuoriescano frasi come “One of these days, I’m going to cut you into little pieces”, i tre personaggi recitano invece a voce alta alcuni passaggi di Unbuilt: Radical Visions Of A Future That Never Arrived di Christopher Beanland e Architecture After God: Babel Resurgent di Kyle Dugdale. I due volumi non sono altro che l’ultimo dei riferimenti agli studi condotti dall’artista nel dipartimento di architettura dell’ETH di Zurigo. Un approccio alla storia dell’architettura che però, proprio come gli spazi allestiti da Monster, sfocia in un’interpretazione utopico-fantascientifica. Anche i testi di Beanland e Dugdal hanno un simile punto di vista: Unbuilt è un trattato sull’era dell’ottimismo in architettura del XX secolo, con un approfondimento su pilastri del mondo dell’architettura come Frank Lloyd Right, Le Corbusier, Zaha Hadid. Molti dei progetti di questi maestri non hanno mai visto la luce, e proprio la loro condizione di innovative costruzioni mai realizzate li rende lavori fantascientifici o perfino – si pensi al quartiere di Parigi di Le Corbuisier – disturbanti. Architecture After God: Babel Resurgent è una rilettura dell’episodio biblico di Babele che mette in contrasto le speranze dell’arte Modernista con l’ombra incombente delle due Guerre Mondiali. Nel libro il futuro viene analizzato dalla prospettiva dei grandi maestri del passato, una visione che non può che diventare per logica fantastica.
Di nuovo questa scelta mette in luce il profondo lavoro di ricerca condotto da Monster Chetwynd nell’elaborazione del progetto espositivo per l’Istituto Svizzero. Zuul è una nuova dimensione architettonica, immaginaria e fantastica. Il linguaggio artistico di Monster si fonda sulle connessioni inaspettate fra spunti di ispirazione tratti dai più diversi ambiti. Non per nulla, oltre ai riferimenti a Gostbusters, le fondamenta di Zuul sono costituite da un’altra immaginaria connessione inventata da Monster: il set del film Intolerance (1916) di David Wark Griffith sarebbe stato costruito dagli stessi artigiani – italiani che avrebbero poi progettato il quartiere Coppedè di Roma. Zuul diventa una fantasia, uno spazio reale ma prodotto dall’immaginazione. E come in una dimensione onirica, i personaggi all’interno di questo spazio architettonico immaginario – altrettanto immaginari – prendono corporeità, si muovono ed interagiscono con lo spettatore, immerso a sua volta nella nuova realtà ideata dalla mente di Monster Chetwynd.