Il 18 settembre Pirelli HangarBicocca accoglie negli spazi dello Shed l’antologica dell’artista giapponese Yuko Mohri (Kanagawa, 1980) Entanglements, a cura di Fiammetta Griccioli e Vicente Todolí. La mostra sembra dettare l’epilogo di una stagione espositiva – quella del 2025 – all’insegna dell’arte cinetica, dalla retrospettiva di Jean Tinguely a Improvisation in 10 Days di Tarek Atoui, inaugurate rispettivamente nel gennaio e febbraio di quest’anno. Così il titolo Entanglements, traducibile come “intrecci”, sembra segnare non solo il concept di per sé ma anche il forte legame di Mohri con gli altri artisti che in HangarBicocca hanno posto al centro il movimento. Yuko Mohri sfrutta con abilità lo spazio dello Shed, esponendo metà delle opere alla luce naturale, ma lasciando anche una sezione al buio. È come se l’artista volesse separare una zona, dedicandola poi interamente all’installazione You Locked Me Up in a Grave, You Owe Me at Least the Peace of a Grave (2018). L’opera prende spunto dal pensiero del rivoluzionario francese Louis-Auguste Blanqui e porta con sé una forte carica ideologica, intrecciando riferimenti politici e storico-artistici. Ne è un esempio il progetto di Tatlin per il Monumento alla Terza Internazionale, omaggiato dalla scala a chiocciola sospesa rotante.
Nella sezione illuminata dalla luce naturale, nonostante vengano impiegate le competenze tecnologiche maturate da Mohri durante gli anni trascorsi nel quartiere di Akihabara a Tokyo, gli oggetti utilizzati negli assemblaggi risultano più direttamente legati alla vita quotidiana. Proprio questo dettaglio offre all’arte cinetica, di cui due declinazioni sono già state esplorate con le mostre di Tinguely e Atoui, una prospettiva nuova, ironica e al contempo fortemente ideologizzata.
Il “fronte” della mostra di Yuko Mohri non può non far pensare a una casa. Tapparelle, fogli di carta, stoviglie, stendini e guanti di plastica: sono tutti elementi utilizzati dall’artista per creare alcune delle sue installazioni più incisive. E ancora un armonium della Yamaha, un piccolo acquario di pesci rossi, dei cucchiaini da tè. Alcuni degli oggetti qui menzionati sono usati dall’artista per Morè Morè (Leaky): Variations (2018). Prendendo spunto dalle riparazioni improvvisate che si trovano nelle linee della metropolitana di Tokyo per fermare le perdite d’acqua, Mohri realizza tre nuclei di assemblaggi con gruppi di oggetti differenti: stoviglie, guanti e mollette, un cimbalo. L’artista crea un sistema aperto ed apparentemente instabile, dove il suono prodotto dall’acqua risulta incostante. Dietro ad un’operazione volutamente spontanea si nasconde una critica alla politica giapponese e in particolare alla sua tendenza a “limitare i danni” anziché risolvere il problema alla radice. Ma non c’è solo questo. Yuko Mohri racconta: «Ero interessata più al movimento dell’acqua che agli oggetti che ne convogliavano il flusso. Puoi cercare di controllarla, ma finisci per ottenere una forma del tutto inaspettata.»




Questo aspetto che l’artista stessa sottolinea, ci porta ad analizzare sotto un’altra – o meglio, ulteriore – luce le sue opere, e in particolare I/O (2011 – in corso) rappresenta la summa di un concetto riassumibile in “rendere percepibile l’invisibile” o, meglio ancora, nel mostrare la forza di ciò che è (apparentemente) intangibile.
In quest’opera lunghi rotoli di carta bianca pendono dal soffitto e si muovono sfiorando il pavimento. Durante questo movimento raccolgono la polvere e le particelle presenti nello spazio. Questi residui vengono analizzati da un sensore e convertiti in segnali elettrici casuali, che attivano una serie di oggetti (lampadine, persiane, strumenti musicali). L’installazione non è sensibile soltanto alla polvere raccolta per terra, ma anche ai flussi d’aria e all’umidità della stanza, tutti fattori non solo impossibili da vedere, ma anche apparentemente non registrabili dalla percezione umana. Eppure, questi elementi acquisiscono una tangibilità tanto potente da far accendere la luce di una lampadina, o ancora da far suonare un vecchio xilofono.
Protagonisti e condizioni necessarie per l’attivazione di tutto lo spazio diventano quindi l’aria e le particelle, forze invisibili che si muovono nello spazio e che muovono lo spazio. I vuoti e i pieni causati dal movimento degli spettatori nella stanza sono energie di cui le installazioni di Yuko Mohri diventano l’impressione, visibile e tangibile. All’interno di tutta la produzione artistica di Yuko Mohri sembra scorrere un’energia invisibile, una sorta di Anima dello spazio.
Nell’esposizione Entanglements assume particolare rilievo il legame con il passato dell’artista, che sceglie di presentare Magnetic Organ (2004), la sua prima opera, concepita come progetto di laurea. Al centro del lavoro si trovano due antenne in filo metallico disposte una di fronte all’altra, in dialogo attraverso un campo elettromagnetico. Questa zona di interferenza è volutamente destabilizzata da elementi mobili realizzati con bobine di rame e microfoni piezoelettrici collocati nelle vicinanze, che ne alterano l’equilibrio. Dopo il terremoto del 2011 in Giappone, l’artista riprende l’opera attribuendole una nuova risonanza simbolica, trasformandola – di nuovo – in una riflessione sulle forze invisibili che plasmano la materia, attraversano lo spazio e incidono sull’equilibrio del mondo.
«Ogni opera d’arte contiene elementi sonori, come la luce e altre forze invisibili. In questo luogo coesistono davvero moltissime energie. Mi piace molto l’idea di conservare tutte le energie in questo spazio immenso.»







