Mauro Zanchi: In due episodi della serie Black Mirror (The Entire History of You, 2011; Crocodile, 2017) vengono utilizzati strumenti tecnologici avanzati per rivedere momenti accaduti in passato e fissati nella memoria aggiuntiva, innestata nel corpo. Uno, posto dietro l’orecchio, permette di rivedere tutti gli accadimenti registrati e le fotografie scattate, direttamente nella memoria personale, nello sguardo retroattivo, partendo dalla nascita fino a qualche attimo prima del viaggio a ritroso nell’archivio interiore. Il secondo dispositivo è un rammentatore, o riesumatore di ricordi, utilizzato per accedere agli “ingrammi”, ovvero ai ricordi di quanto è avvenuto nel passato, ai ricordi soggettivi e personali di un accaduto. Per esempio si può vedere nella memoria di chi era presente in un dato periodo, accanto a chi ha vissuto un momento traumatico o una qualsiasi altra esperienza, che è stata dimenticata o rimossa. Se tu potessi utilizzare questi due strumenti come li utilizzeresti nel corso di una seduta psicanalitica?
Carla Stroppa: Che ad offrire la suggestione per le tue domande sia la serie Black Mirror è per me una provocazione, passionale e intellettuale ad un tempo. Molto spesso la fantascienza, termine che non a caso sintetizza il rapporto tra scienza e immaginazione, altro non è che un’anticipazione visionaria di qualcosa che è già nell’aria e che prima o poi accadrà. Ma per entrare nello specifico della tua prima domanda, rispondo di getto che gli strumenti tecnologici che menzioni non entrerebbero mai nel setting psicoanalitico, per il semplice fatto che l’incontro tra i due partner rimane su un registro umano mediato non da strumenti ma dai corpi e dalle anime di entrambi. Il rifiuto del “postumano” fa parte del gioco, che diviene sempre più difficile data l’enfasi posta dalla contemporaneità sulla scienza e la tecnica, ma in ogni caso rimane parte integrante dell’approccio psicoanalitico, almeno di quello in cui ancora risuona l’anima, intesa come soggettività profonda e ineludibile dell’identità. Significativamente le funzioni degli strumenti in questione, ovvero rammentare ricordi del passato traumatico e non solo, stratificati nella “memoria aggiuntiva”, ovvero quella che va oltre la cognizione cosciente, è senz’altro uno degli obiettivi della psicoanalisi. Noi psicoanalisti la chiamiamo “memoria implicita”. La differenza sta nel fatto che non ci affidiamo a strumenti tecnologici ma a strumenti umani, umanissimi, come il sogno, l’immaginazione attiva, le rappresentazioni artistiche e tutto ciò che pertiene all’immaginario, sia personale che collettivo. Potrei dire che ci affidiamo alla cultura nel senso più profondo ed inclusivo del termine, che rimane un serbatoio prezioso di informazioni e di suggestioni. L’uso di strumenti tecnologici è intrigante e ha importanti ricadute sulla vita pratica, ma si porta con sé l’ombra della perdita di umanità, alias il Black Mirror.A questo proposito mi piace citare qualche pensiero di Giuseppe O. Longo, che non è uno psicoanalista che “tira l’acqua al suo mulino”, ma un informatico, epistemologo e divulgatore scientifico, oltre che scrittore: “Il nostro rapporto con la tecnologia dell’informazione, grazie alla quale sembrano aprirsi frontiere inaudite: protesi della mente in interazione con la coscienza e l’inconscio, riprogettazione del corpo, superamenti estatici di limiti spaziotemporali in una rarefazione fantasmatica, allucinatoria, che ci porta alle soglie di quella che si chiama l’era del post-umano” . E poco oltre sottolinea che quello che invece non dovrebbe venire meno è “la nostra inesausta attività narrativa, strettamente legata alla domanda di senso” (introduzione a Letizia Oddo, L’inconscio fra reale e virtuale, Moretti e Vitali editori, Bergamo 2018). Ma certo questa visione che molti contemporanei cercano di rilanciare di per sé è antichissima. Basti un esempio: Blaise Pascal, fisico, matematico, filosofo e teologo vissuto nel seicento, ha proposto una sintesi che è divenuta famosa: “il cuore ha ragioni che la mente non può capire”.
MZ: Se invece tu avessi a disposizione uno “schermo” in grado di mostrarti in modo limpido le immagini più preziose che sono contenute in te, quelle archetipali o quelle custodite in una dimensione per ora ancora inaccessibile o raggiungibile per pochi istanti, del corpo o della mente o dell’anima o di un altro non luogo determinato, cosa potrebbe cambiare nel tuo percorso di conoscenza rispetto alla tua ricerca attuale, portata avanti senza una strumentazione tecnologica?
CS: Per noi psicoanalisti, lo schermo che mostra le immagini più preziose è il sogno, che attraverso il suo linguaggio enigmatico di immagini oniriche mette in scena l’inconscio personale e quello archetipico. E come Jung diceva, differenziandosi in questo da Freud, il sogno mette in scena anche il loro finalismo, ovvero la loro energia propulsiva, orientata verso ciò che deve ancora avvenire. Le immagini della notte sono un serbatoio straordinario di conoscenza su se stessi e sul mondo. Il problema è quello di comprendere la loro lingua, non razionale ma simbolica.
MZ: Quali sono le immagini più sacre e profonde secondo te, quelle che riescono ad accendere un inedito e più espanso immaginario?
CS: Le immagini più sacre e profonde sono quelle che muovono l’emozione oltre che la curiosità intellettuale e sono quelle che mettono in scena, oltre che il cosiddetto romanzo familiare, il romanzo del mondo. Sono quelle in cui risuona la dimensione sacrale della vita, l’eternità della visione dell’anima. Sono le grandi immagini dell’arte, della letteratura e anche di certi sogni. Jung distingueva tra sogni legati alla storia attuale e i “grandi sogni” che compaiono solo talvolta e non a tutti, perlopiù nei momenti di grande smarrimento esistenziale. Compaiono come funzione compensatoria della psiche individuale che, attraverso i grandi sogni, si può sentire contenuta in un contesto condiviso da sempre dall’umanità. Si potrebbero anche chiamare “sogni sciamanici”. È un argomento assai complesso al quale posso solo accennare per approssimazione. Per la psicoanalisi lo schermo è interiore, sebbene le circostanze esterne abbiano il potere di accenderlo o spegnerlo.
MZ: Come possiamo rinnovare e ridisegnare il nostro vocabolario concettuale e immaginale attraverso un oltremedium, per ottenere una rappresentazione più chiara ed evoluta del nostro tempo e delle proiezioni sul tempo che verrà?
CS: L’oltremedium è senz’altro il simbolo. Un percorso psicoanalitico abbastanza profondo propizia la trasformazione della coscienza, che finisce per oltrepassare la visione dell’Io razionale nella quale si identifica, per aprire la porta della visione simbolica. Per essa le cose e i fenomeni del mondo si caricano di un senso ulteriore, un’area immaginale satura di rinvii a significati pluristratificati che confluiscono, sintetizzandosi, nella loro immagine fenomenica. Il simbolo è il tramite dell’oltre. Riguarda soprattutto l’arte visionaria.
MZ: Ammettiamo che quasi tutto ciò che abbiamo immaginato fino a ora sia soltanto una serie di nostre proiezioni, di menzogne ereditate e credute vere, e frutto di una successione di malintesi. Se invece avessimo accesso diretto alla fonte delle immagini profonde, allo specchio delle verità, alle illuminazioni, agli archetipi, cosa cambierebbe in noi e nella nostra percezione del mondo?
CS: Le proiezioni sono un movimento naturale e ineludibile della psiche. Se il soggetto non è conscio di sé proietta sull’altro parti di se stesso e gliele attribuisce, falsificando così le relazioni e l’interpretazione dei fenomeni. Certo ne possono nascere malintesi e fraintendimenti di tutti i tipi, e la storia è lì a dimostrarlo. Ma poiché ogni fenomeno è polivalente bisogna aggiungere che le proiezioni sono il collante delle relazioni. Dipenderà dall’integrità o meno del soggetto e dal suo grado di consapevolezza il fatto che le proiezioni facilitino o falsifichino le relazioni e dunque la storia del pensiero e dell’immaginazione umani. L’accesso alla fonte delle immagini profonde non può essere diretto dalla tecnologia, perché la psiche ha una struttura labirintica, non lineare e meccanica. Esplorarla è cosa complessa e delicata, che richiede umiltà e molta intuizione simbolica. Quando ci si inoltra in questo terreno bisogna abbandonare qualsiasi illusione di verità assoluta. Il vero “risveglio” e cambiamento in noi e nella percezione del mondo sta nel “sapere di non sapere” e dunque nella disposizione alla curiositas piuttosto che alla presunzione di raggiungere verità valide una volta per tutte. L’archetipo è un argomento troppo complesso per essere trattato in poche righe. Le immagini archetipiche possono rappresentare un orientamento profondo e veritiero solo laddove l’Io è umile e ha il senso del relativo.
MZ: Un modo fondamentale per descrivere un sistema complesso è quello di misurare la sua “rete”: il modo in cui le singole parti si collegano e comunicano tra loro. I biologi studiano le reti geniche, gli scienziati sociali studiano i social network e anche i motori di ricerca si basano, in parte, sull’analisi del modo in cui le pagine web formano una rete. Nelle neuroscienze, un’ipotesi di lunga data è che la connettività tra le cellule cerebrali giochi un ruolo importante nella funzione del cervello. Nell’ambito della psicanalisi secondo te sarebbe possibile agire mettendo in connessione l’inconscio di una singola persona con quelli di altri individui, come se agissimo nella stessa modalità – più espansa – entro le dinamiche che si innescano in un banco di pesci o in uno stormo di uccelli?
CS: Mettere in comunicazione l’inconscio di una singola persona con quella di molti individui è uno degli scopi della psicoanalisi: esplorando l’inconscio attraverso l’analisi dei sogni e dell’immaginazione si arriva a quello che James Hillman ha chiamato “il fondo poetico della mente”, ovvero a quello spazio psichico in cui si scopre che una rete di immagini e di simboli ci unisce tutti quanti. Le neuroscienze lo dicono attraverso il linguaggio scientifico della connettività delle cellule cerebrali del cervello. La cultura umanistica si basa su differenti e per me molto più affascinanti metafore, che tengono conto non solo del cervello ma anche del corpo emozionale. In buona sostanza si tratta pur sempre di connessione, rete, integrazione della complessità. In ogni caso per l’essere umano le dinamiche implicate non si ridurranno mai a quelle che si innescano in un banco di pesci o in uno stormo di uccelli. Anche se su un piano puramente meccanico può essere così, l’anima umana veicola un’eccedenza di senso e di immagini che sposta tutto su un altro livello. Proprio in ciò che non è riducibile a precise misurazioni, si dispiega il potere creativo delle immagini profonde e dei simboli che le evocano.
MZ: Al di là dell’autocoscienza, della dimensione psicologica, della cultura e delle radici personali, preesiste al soggetto una dimensione di significati, indipendentemente dal fatto che l’individuo ne abbia coscienza o meno? E nel campo della ricerca contemporanea come si situa secondo te un “veicolatore” di immagini (l’artista) in questa dimensione e come dovrebbe considerare la scelta del medium in grado di estendere i suoi sensi, la sua percezione e la sua consapevolezza?
CS: Noi psicoanalisti junghiani abbiamo aderito all’intuizione di una dimensione preesistente di significati nel soggetto umano. Si tratta appunto della struttura archetipica, intesa come serbatoio di memoria plurisecolare della specie inscritta nella psiche individuale e collettiva in modo innato. Questa memoria – fatta di immagini, emozioni, intuizioni fondamentali sulla vita e comportamenti tipici – si diversifica e si declina modificandosi in relazione alla storia, permanendo tuttavia uguale a se stessa nella struttura di fondo. Come dire che esiste una matrice che si diversifica infinitamente senza tuttavia perdere la sua natura di matrice, di origine, di paradigma umano variamente declinabile nell’esperienza: nascita, morte, amore, guerra, amicizia, potere, conflitto e via dicendo, insomma bene e male sono condizioni eterne, sebbene infinitamente mutevoli nella loro fenomenologia storica. L’artista visionario è per eccellenza il veicolatore di queste immagini/temi. La sua condizione psichica è speciale. Vi è un’ampia letteratura a questo riguardo: l’artista ha un accesso diretto alle immagini dell’inconscio, vede in trasparenza quello che l’individuo comune non vede e soprattutto ha la capacità tecnica per trasformare queste immagini in opere. La scelta del medium è vocazionale: dipingere o scolpire, o poetare o scrivere o dedicarsi alla scienza o altro ancora sono scelte che avvengono in funzione di talenti innati, che via via si mettono a fuoco e perfezionano con l’esperienza, l’impegno, la passione dell’oltre. Valga questa sintesi di Giuseppe O. Longo: “gli strumenti con cui ricostruiamo il mondo sono le narrazioni: arte, filosofia, religione, scienza e, oggi, soprattutto la tecnologia. Ma soggiace a queste narrazioni-costruzioni il brulicare incandescente della realtà primigenia, che esercita il suo richiamo potente: sotto le attuazioni più avanzate dell’intelligenza artificiale e della robotica umanoide ribollono le coincidenze inesplorate della sincronicità (Jung e Pauli), l’arbitrio della vita, le necessità e le ricorrenze nascoste, le emergenze spontanee ed enigmatiche” (introduzione a: Letizia Oddo, L’inconscio fra reale e virtuale, Moretti e Vitali, 2018).
MZ: Ogni anno, il genere umano produce più di un trilione di immagini. Un trilione significa un miliardo di miliardi, 1 000 000 000 000 000 000. È un numero che facciamo fatica a immaginare. Se consideriamo, infatti, che in epoca medievale una persona entrava in contatto, nell’arco della sua intera esistenza, con circa quaranta immagini artificiali – mentre oggi si calcola che siano circa dodici miliardi – abbiamo la misura di un passaggio epocale senza precedenti. Che valore ha per te ora la selezione, lo sfoltimento, la sottrazione, la riduzione all’essenziale, la ricerca dell’immagine necessaria?
CS: Oramai le immagini artificiali sono come un’onda anomala che tutto travolge e lascia l’individuo confuso e alienato da se stesso. Selezionare le immagini necessarie al senso di sé e del mondo diviene sempre più difficile, ma i sogni spesso portano a galla l’essenziale che l’intelletto non vede. Attraverso una progressiva presa di coscienza favorita dal dialogo fra l’Io e l’inconscio, veicolata da un certo tipo di analisi, è possibile ritrovare la bussola, l’orientamento. Come ho detto prima, gli artisti hanno un accesso privilegiato all’inconscio: vedono l’invisibile e lo mettono in scena con la loro opera.
MZ: Cosa innesca una visione? E cosa si muove nel profondo dopo una visione o un’esperienza estatica?
CS: Difficile dire cosa inneschi una visione. Certe sostanze allucinogene lo fanno, ma ovviamente non è questo il terreno della psicoanalisi. In ogni caso si tratta sempre di ridimensionare lo sguardo razionale alla vita per aprire “il terzo occhio” dell’anima che percepisce l’oltre. Penso che la visione estatica introduca l’elemento poetico nell’esistenza: la percezione del Bello, del Sublime, quel certo non so ché che non rinnega le cose ordinarie, ma le trascende sbriciolando l’armatura difensiva della coscienza, o, detto con altre parole, smascherando il volto artificiale della convenzionalità per sintonizzarsi sul mistero del Tutto, al di là delle categorie con le quali la mente si rappresenta il reale.
MZ: Hai sondato la possibilità di muovere immagini attraverso la telepatia? Sarà possibile, come aveva intuito Giordano Bruno, pensare per immagini e veicolare perfino le idee più astratte per mezzo della memoria e della mente?
CS: Ho sempre amato la visione di Giordano Bruno, la trovo straordinariamente profonda e profetica, visionaria appunto. Bruno ha visto e detto cose che solo molto più avanti sono state comprese nel loro senso autenticamente filosofico, creativo e profetico. “Pensare per immagini” è anche il portato della psicologia junghiana e la telepatia a volte si innesta nell’incontro psicoanalitico che raggiunge il centro “psicoide” della psiche. Non occorre promuoverla, accade a seguito di meccanismi psicologici che si attivano autonomamente quando l’incontro è intimo. È lo spazio dei sincronismi, cioè di quei fenomeni che non hanno un’origine causale, ma avvengono per intima simpatia tra mondo interno e mondo esterno. È “magia” dell’anima, che sente e vede il non udibile e il non visibile.
MZ: Che rapporto c’è tra imago e preveggenza?
CS: Psicologicamente parlando, l’imago è ancora una volta l’oltre di un’immagine che ricade sotto la percezione dei sensi. È il suo simbolismo implicito quello che apre l’orizzonte sui significati che essa (immagine) traghetta oltre se stessa, veicolando una dimensione che va oltre il tempo e lo spazio. In un certo senso coincide con l’intuizione medianica. Chi la possiede può prevenire qualcosa che non è ancora accaduto, ma che è già alluso nell’immagine che ricade sotto la percezione dei sensi. Diciamo che ha a che fare con il cosiddetto “sesto senso”. Giordano Bruno era così. D’altronde va detto che questa dimensione confina pericolosamente con la follia. È un argomento davvero complesso.
MZ: Le intuizioni più interessanti in ogni campo di ricerca e del sapere donano bagliori nella percezione, come se si potesse comprendere una lingua arcaica e scoprire magicamente di tradurre all’impronta, comprendere le sfumature di significato e accedere alla comprensione di un intero mondo senza grandi sforzi, spontaneamente. Quali opere o esperienze ti hanno fatto provare qualcosa del genere?
CS: Perfetto, lo dici bene tu: siamo tesi verso la comprensione di “una lingua arcaica da tradurre magicamente” per mettere a fuoco un mondo sotterraneo, ancora inesplorato, un mondo che riserva sorprese, bagliori, intuizioni fondamentali. Ciò che è arcaico, guardato nella giusta prospettiva apre al futuro, giacché il tempo e lo spazio non sono lineari ma spiraliformi. Certe opere di Leonardo mi hanno portato nella direzione che hai evocato. La loro imago agisce su di me in modo potente, ma certo potrei citarne molte altre della storia dell’arte.
MZ: La psicanalisi attuale ha spostato ulteriormente la sua capacità di entrare nella mente umana? Siamo in grado di entrare in un substrato a-logico e ultrasensoriale?
CS: È appunto quello che ho cercato di dire sin qui, ma bisognerebbe distinguere le filosofie di fondo che supportano la psicoanalisi, che, lungi dall’essere un corpus teorico univoco, si apre a diversificate interpretazioni.
Note biografiche —
Carla Stroppa
Psicoanalista junghiana, saggista e scrittrice. Membro didatta dell’Arpa (Associazione ricerca psicologia analitica) e dello Iaap (International Association of Analitica Psychology). Già docente alla scuola di specializzazione in Psicologia della Salute dell’università di Torino. Ha pubblicato presso Moretti e Vitali, di cui è direttrice scientifica, La luce oltre la porta (2007), Il satiro e la luna blu (2010), Fantasmi all’opera (2013), Il doppio sguardo di Sophia (2016), Sulla soglia di casa (2019), Gli spostati. Vivere senza amore (2020).