Il “piccolo mondo intero” di Alice Visentin | Cieli Neri, Toast Project Space

“La pittura di Alice Visentin s’inscrive in questa dimora, nel luogo della memoria che non ha limiti nelle ombre della notte, che risuona dei contorni preesistenti, dell’eco lontana e dei rumori familiari, dell’erranza della vicinanza, della parola” Sonia d’Alto
6 Aprile 2021
Cieli Neri, Alice Visentin, 2021, Toast Project Space, ph di Leonardo Morfini

Immaginari e imprevedibilità. In queste due parole si racchiude il significato della pittura di Alice Visentin che nella sua residenza presso Toast Project Space (Manifattura Tabacchi) ha dato vita a un lavoro fluido, che richiama lo scorrere lento e costante del fiume Arno, collettivo – frutto dei racconti dei fiorentini – e individuale. Nella personale Cieli Neri, l’artista dipinge due rotoli di carta ad acquerello, lasciando che l’acqua distribuisca il pigmento a suo piacimento, creando delle associazioni e dei legami imprevedibili tra le diverse componenti che popolano questo piccolo mondo intero. In una contaminazione continua tra interno ed esterno, spazio vissuto e spazio abbandonato, domestico e selvaggio, si rinnovano costantemente riferimenti, relazioni e connessioni tra esseri, in una pittura capace di restituire la complessità e, talvolta, il nonsense del mondo che ci circonda. Figura e astrazione, uomo e natura si intrecciano nella fluidità dell’acquerello, metafora della fluidità della vita stessa. Alice Visentin racconta il suo progetto, la sua personalissima relazione con la città di Firenze, l’Arno e i suoi abitanti, e la sua idea dell’arte facendoci immergere nel suo “piccolo mondo intero”.  

Veronica Pillon: Cieli Neri è il titolo della tua personale a Toast Project Space (Manifattura Tabacchi), frutto di un periodo di residenza: quali sono le tematiche che hai voluto affrontare attraverso i lavori esposti?

Alice Visentin: Il lavoro che ho fatto da Toast Project Space presso la Manifattura Tabacchi si può definire un’occasione, nata dalla possibilità di lavorare qui per circa un mese. Il mio studio era un grande deposito di sedie, poltrone e tavoli dei designer Mono e Canificio, di cui una porzione era tutta a mia disposizione. Ho ipotizzato fin da subito di poter lavorare con gli acquerelli: quando rientro a casa la sera uso gli acquerelli perché sono veloci. Sono arrivata qui con quest’idea: creare un percorso di immagini e parole che mi restituissero con immediatezza delle nuove associazioni di pensiero e significati. Tutti i musei e tutti i portoni erano chiusi, tutti i bar e i luoghi di incontro. Questo mi ha permesso di vedere sfaccettature diverse della città e dare dei nuovi valori al paesaggio – urbano e naturale – fiorentino.

VP: In Cieli Neri hai utilizzato pochi materiali – due rotoli di carta, acqua e pigmenti colorati – per realizzare ciò che definisci “un piccolo mondo intero”: cosa significa per te questa definizione? 

AV: I supporti erano due rotoli di carta molto lunghi (12m l’uno); oltre all’acquerello, ho usato pastelli a cera, pennarelli e brillantini. Il piccolo mondo intero è il mondo che mi circonda. L’Arno mi ha fatto vivere una dimensione di lunghezza, di un prima e un dopo, di cosa avevo di fronte a cosa alle spalle, di fluidità e di orientamento: non mi perdevo e il cammino mi permetteva di accumulare narrazioni estemporanee dei passanti.

VP: In che modo il soggiorno fiorentino – le esperienze che hai vissuto, i paesaggi che hai visto, le storie che ti hanno raccontato – ha influenzato la produzione dei lavori e l’allestimento di Cieli Neri? 

AV: Ho utilizzato le fonti disponibili, semplicemente camminando per strada, guardandomi attorno e parlando con i passanti. Poter immaginare, tramite le parole di chi ti sta di fronte, le “cose” contenute dentro i portoni chiusi, le vicende che caratterizzano questo e quell’altro palazzo. Ho conosciuto un signore davanti all’orto botanico che mi ha raccontato quello che c’era nell’orto – le serre calde, le serre fredde, i movimenti delle piante; oppure un altro signore che, suonando la fisarmonica dalla finestra, con alle spalle il frigorifero della sua cucina, chiacchierava con alcuni passanti della sua passione. Sono stati incontri del genere che mi hanno portato ad immaginare cosa c’è dentro alle cose, alle persone, dentro ai palazzi chiusi. 

Gli spazi di Toast sono davvero piccoli, ambienti strani per me che lavoro sempre su grandi formati ma se è vero che i confini ci contengono, ci permettono allo stesso tempo di vivere quello che vogliamo al loro interno. Volevo che Toast, visto come un corpo, un monastero o una stanza, fosse un piccolo mondo intero e diventasse un grandissimo manifesto della vastità di ciò che ci circonda e della varietà di sogni, sfide, paure, riferimenti e immaginari che possiamo contenere. Utilizzare l’immaginazione come mezzo di cambiamento è un’arma potentissima! 

Cieli Neri, Alice Visentin, 2021, Toast Project Space, ph di Leonardo Morfini

VP: Questi riferimenti riguardano sia la dimensione “collettiva” e sociale – penso ai racconti dei signori fiorentini – che la tua esperienza personale? 

AV: “Le storie hanno questa caratteristica di scorrere insieme, come gocce di pioggia in uno stagno. Ciascuna nasce singolarmente dalle nuvole, ma una volta insieme non c’è modo di distinguerle “ dice Carmen Maria Machado nel racconto intitolato Il Nastro, nel libro Il mio corpo e altre feste

Nel rotolo, che si presenta come un lunghissimo papiro, tutto è dipinto, dato che ogni parte della carta deve essere sfruttata per poter raccontare un piccolo mondo intero; poi subentra anche l’idea dell’acqua che ha deciso lei stessa come mescolare gli elementi sopra il foglio. 

VP: C’è quindi un elemento legato all’imprevedibilità, al caso. 

AV: Esatto. E proprio per questo mi sono molto divertita! 

VP: L’analogia con il papiro riguarda anche la modalità di fruizione del lavoro, da “srotolare” e scoprire a poco a poco ma in maniera continua? 

AV: Non saprei, il formato del rotolo è stata una scelta che si è consolidata nel corso della residenza. In realtà l’avevo comprato perché era un formato bizzarro. Tempo fa l’avevo preso e mi ero chiesta: “chissà cosa si può fare qui sopra?” e poi mi sono resa conto che era calzante perché racchiudeva proprio la dimensione del fiume. Diciamo che tanti elementi si sono uniti insieme. Ho espresso il desiderio di poterlo allestire in questo modo, appeso. Appendere 24 metri di carta in uno spazio così piccolo è un altro modo, attraverso le pieghe che si formano, per creare associazioni tra altre parti del papiro. Magari se il papiro fosse stato disteso in modalità fiume e non “arruffato” e piegato, alcune parti non si incontrerebbero mai. Le pieghe e la fruizione dall’esterno permettono un ulteriore strato. 

VP: Si ha quindi una compenetrazione tra allestimento-opera-significato. 

AV: Esattamente. Ho scelto io l’allestimento proprio per questo motivo. 

VP: Per quanto riguarda il titolo invece? Che cosa rappresentano i Cieli Neri?

AV: Cieli Neri per me è quest’idea che una casa, un corpo o un monastero viene prima vissuto e poi abbandonato. Ho voluto immaginare Toast come una casa in mezzo ad un prato che una volta è stata abitata da qualcuno: una volta abbandonata, la casa ha ripreso l’illuminazione naturale del cielo sovrastante. Grazie al buio che viene a crearsi, dato dal selvaggio e dalla mancanza di illuminazione artificiale, si ha una visibilità migliorata delle stelle in cielo. Mantenere selvaggio un ambiente casalingo o un corpo ci porta a vedere meglio i corpi celesti. E per questo motivo ho scelto il titolo Cieli Neri. 

VP: Di questo periodo a Manifattura Tabacchi cosa ricorderai?

AV: Una Firenze completamente chiusa ma anche molto aperta.

VP: Ti aspettavi questo?

AV: Non conoscevo Firenze, però è impressionante pensare che esista un coprifuoco e una limitazione agli spostamenti. Nonostante questo, la città ha numerosissimi spazi di libertà, anche se si limitano ai contorni del nostro corpo. Voglio immaginare che ci si possa mantenere selvaggi dentro. 

VP: L’arte che ruolo ha e avrà in futuro rispetto a quello che sta accadendo intorno a noi? 

AV: Credo che l’arte, almeno su di me, abbia dato uno spazio di possibilità interiore che era quello di cui avevo bisogno. Creare un mondo che ancora non c’è. Durante il mio periodo a Firenze, non ho potuto vedere il Masaccio nella Cappella Brancacci ma alcuni amici me l’hanno descritto (ognuno a modo suo), tanto che adesso ho un’idea del Masaccio tutta mia. Sarà divertente in futuro andare a vederlo e poterlo confrontare. Questa relazione tra parola e immaginazione crea delle possibilità nuove e dei nuovi mondi.

Cieli Neri / Alice Visentin 
Testo critico di Sonia D’Alto
Manifattura Tabacchi (Toast Project Space)
Via delle Cascine, 33, 50144, Firenze 
Fino al 19 maggio 2021

Cieli Neri, Alice Visentin, 2021, Toast Project Space, ph di Leonardo Morfini.
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