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Virgilio Villoresi. Animagia | Fondazione Dino Zoli, Forlì

Macchine cinetiche, immagini animate e dispositivi riemersi dalla storia semi-dimenticata del pre-cinema abitano la penombra degli spazi espositivi della Fondazione Dino Zoli di Forlì. Prologo all’edizione 2023 di Ibrida – Festival delle Arti Intermediali, la mostra Animagia: dispositivi/visioni/film (aperta fino al 7 ottobre) apre una finestra sull’eclettica attività creativa dell’artista, animatore, filmmaker e pubblicitario Virgilio […]

Virgilio Villoresi. Animagia: dispositivi/visioni/film, installation view | ph Resina35 – courtesy Ibrida Festival

Macchine cinetiche, immagini animate e dispositivi riemersi dalla storia semi-dimenticata del pre-cinema abitano la penombra degli spazi espositivi della Fondazione Dino Zoli di Forlì. Prologo all’edizione 2023 di Ibrida – Festival delle Arti Intermediali, la mostra Animagia: dispositivi/visioni/film (aperta fino al 7 ottobre) apre una finestra sull’eclettica attività creativa dell’artista, animatore, filmmaker e pubblicitario Virgilio Villoresi (Fiesole, 1979). Villoresi è un artigiano dell’immagine in movimento, prodotta con le più varie tecniche di animazione analogica e meccanica, a partire dal recupero delle prime ricerche in questa direzione indagate nella seconda metà dell’Ottocento. Il curatore Bruno Di Marino, nel corso della presentazione alla stampa, ha sottolineato la stretta interdipendenza tra queste sperimentazioni aurorali e quella branca del cinema che, in tempi più recenti, ha sviluppato un linguaggio autonomo intorno alla messa in sequenza di illustrazioni o alla ripresa di oggetti frame-by-frame: “lo zootropio, il fenachistoscopio, il teatro ottico di Reynaud si basavano tutti sull’immagine disegnata, non sull’immagine fotografica. Si può dire che all’origine del cinema ci sia l’animazione, la forma pura e più diretta di immagine in movimento”. Questi dispositivi sono direttamente riproposti e integrati in assemblaggi meccanici interattivi, azionabili dai visitatori con dei pulsanti: è il caso di Faire de son mieux (2014) e di Click Clack (2015), costituiti da strutture metalliche ricavate da oggetti e arredi di modernariato in cui sono stati inseriti dei flip-book, le cui pagine ruotano velocemente per dare l’illusione del movimento di ciò che vi è rappresentato; da una parte il profilo in continua evoluzione di un volto maschile, dall’altro fotografie in sequenza dello stesso Villoresi, in un vero e proprio autoritratto cinetico. Un aspetto centrale per la comprensione delle tecnologie pre-cinematografiche è il valore fantasmagorico che giocavano nel contesto sociale dell’epoca, tanto da essere accostabili alla prestidigitazione e alle arti circensi. Il tema del trompe-l’oeil e dell’incanto fluisce anche nel lavoro di Villoresi, tra illusioni ottiche, sense of wonder e sinestesie avvolgenti. In Par le trou de la serrure (2018) una superficie retroilluminata apparentemente bianca, se osservata attraverso un grande buco di serratura munito di vetro polarizzatore e posto davanti ad essa, rivela allo sguardo due profili che si fronteggiano, citando la famosa illusione ottica detta “vaso di Rubin” (per la quale l’occhio non sa decidersi se dare priorità visiva ai volti oppure alla sagoma in negativo di un vaso che si frappone tra uno e l’altro); il visitatore è chiamato nuovamente ad interagire con l’opera, non solo attraverso l’atto voyeuristico, ma anche azionando una leva che ruota il vetro, provocando il baluginare dei prismi che compongono i profili.

Virgilio Villoresi. Animagia: dispositivi/visioni/film, installation view | ph Resina35 – courtesy Ibrida Festival

Nelle opere successive, protagonista è l’ombra proiettata sul muro da oggetti rotanti illuminati da piccoli faretti. Trompe-l’oeil (2016) consiste in un assemblaggio apparentemente casuale di lamine colorate in PVC trasparente, che nel corso del ciclo di rotazione sul proprio asse gettano combinazioni astratte sempre diverse di forme e colori, fino a quando, in un preciso momento, non si va a formare sulla superficie di proiezione la sagoma di un occhio. Il rimando è ovviamente al dato iconico dello sguardo penetrante, declinato nei modi più perturbanti e immaginifici in tanto cinema e tanta arte d’avanguardia sin dagli albori del Novecento; in questo caso, però, tale riferimento è accostato in modo inedito alle sperimentazioni di proiezione di László Moholy-Nagy e, più specificamente, al suo Modulatore spazio-luce, impiegato anche nell’unico film astratto prodotto dall’artista, Lichtspiel: schwarz, weiss, grau (1930). Seguendo lo stesso principio di Trompe-l’oeil, le proiezioni astratte di Danse Macabre (2016) si condensano in effimere silhouette di scheletri danzanti. In mezzo ad esse è installato un enorme zootropio che, una volta azionato, fa ruotare ad alta velocità tanti calchi in resina della testa dell’artista, che si apre in due metà, espone i bulbi oculari e si richiude, sulle note di una musica incalzante che sembra trascinare il movimento (Virgilio’s Zoetrope, 2018). In mostra è presente anche un’ampia selezione di corti, videoclip musicali, spot pubblicitari realizzati con le più varie tecniche di animazione, quasi esclusivamente analogiche, come la stop-motion, il matte painting, il glass shot. Nel catalogo che accompagna la mostra, Di Marino scrive che “l’animazione per Villoresi è un archivio di tecniche ed emozioni, di pratiche e di memorie, nel nome di un cinema che pretende di rimanere ostinatamente ‘povero’ di materiali e, al tempo stesso, ricco di coup de theatre, ludici, colorati, lussuosi e lussuriosi” (p. 21). Villoresi costruisce teatri in miniatura, assembla prospettive forzate che danno l’illusione della profondità, anima giocattoli vintage e ritagli di riviste; oppure riprende le proprie mani che intervengono in tempo reale per “animare”, rinunciando al filtro del montaggio, il comparto di oggetti di scena. Ricorrendo all’ombro-cinema (l’effetto moiré prodotto dallo scorrimento su un’immagine fissa di un foglio di acetato solcato da righe nere), o alla manipolazione diretta della scenografia e dei disegni, il regista svela platealmente il trucco scenico, ma al contempo affascina l’osservatore con l’affabulazione del marionettista, demiurgo di un piccolo universo di scena. L’apice dell’intrusione autoriale in questi tanti mondi fantastici è raggiunto nel corto Fine (2012), prodotto per una rassegna di lavori video ispirati al dramma incompiuto di Bertolt Brecht La rovina dell’egoista Johann Fatzer, in cui la mano di Villoresi si presta a raccontare, opportunamente pitturata, la nascita, la vita e la morte di un soldato. In mostra è presente, infine, anche un estratto di Orfeo, il primo lungometraggio di Villoresi, in corso di produzione: un viaggio onirico liberamente ispirato al Poema a fumetti (1969) di Dino Buzzati, che unirà animazione analogica e riprese live-action.

Virgilio Villoresi. Animagia: dispositivi/visioni/film, installation view | ph Resina35 – courtesy Ibrida Festival