ATP DIARY

Vera Lutter. Spectacular | Fondazione Mast, Bologna

In mostra sono raccolti venti negativi fotografici di grande formato nati nel grembo buio di camere oscure appositamente progettate, con tempi di posa estremamente lunghi.
Vera Lutter. Spectacular, exhibition view | © Fondazione MAST

Guardando al passato, se è dal Rinascimento che l’impiego della camera oscura è teorizzato, e poi messo in pratica, come supporto tecnico alla realizzazione di opere d’arte, è addirittura dall’antichità che il fenomeno ottico alla base del suo funzionamento è oggetto di interesse da parte di studiosi e filosofi. È innegabile il fascino che suscita l’idea di un cono di luce che penetra attraverso un foro minuscolo in uno spazio buio e proietta il mondo reale su una parete. In continuità con questa tradizione millenaria, proprio attraverso il ricorso alla camera oscura Vera Lutter (Kaiserslautern, 1960) sin dagli anni Novanta ha trovato la chiave per sviluppare un metodo totalmente analogico di scavo e di manipolazione dell’immagine fotografica. Allestita presso Fondazione MAST fino al prossimo 6 gennaio, Vera Lutter. Spectacular, a cura di Francesco Zanot, offre l’occasione di una ricognizione della produzione trentennale dell’artista volta ad approfondire specificamente il suo interesse verso i temi dell’industria, del lavoro e delle infrastrutture per la movimentazione di cose e persone. In mostra sono presenti, oltre ad un’installazione, ben venti lavori in grande formato che, contrariamente a quanto potrebbe far pensare l’impiego del medium fotografico, sono tutti pezzi unici, proprio a causa della peculiare tecnica realizzativa, basata sull’impiego di camere oscure appositamente progettate e allestite in funzione dei soggetti che devono essere immortalati. All’interno di queste stanze totalmente buie, Lutter colloca sulla parete opposta al foro stenopeico un grande foglio di carta fotosensibile, che viene impressionata con l’immagine “trasportata” dal fascio di luce proveniente dall’esterno. I tempi di posa sono estremamente lunghi e possono variare da qualche ora fino addirittura a mesi di esposizione continuativa, in funzione delle dimensioni del foro stenopeico o delle condizioni di luminosità. L’artista si immerge per lunghe sessioni nel buio assoluto della camera oscura e sovrintende al lentissimo processo chimico da cui balugina sempre più nitidamente l’immagine, che si può configurare per Francesco Zanot come una sorta di “scultura fotografica”. “L’artista penetra nel ventre dell’apparecchio fotografico – ha notato il curatore in sede di presentazione alla stampa – è un lento rituale che si ripete ogni volta e che costituisce l’estensione del gesto del fotografo che metteva la testa sotto il panno nero del banco ottico”.

Rheinbraun, V: August 26, 2006 243 x 280 cm Fondazione MAST, Bologna | Courtesy of the artist. © Vera Lutter by SIAE 2024

Un tempo di esposizione prolungato implica che solo gli elementi fissi dell’immagine permangono nella fotografia, mentre tutto ciò che è mobile risulta inevitabilmente perduto; questo è il motivo per cui molte immagini risalenti ai primissimi anni della storia della fotografia (come nei casi celebri delle proto-fotografie di Niépce e Daguerre), quando non si erano ancora sviluppate tecniche efficaci di impressione dei supporti fotosensibili e si rendeva pertanto necessario prolungare smisuratamente il processo, appaiono prive di qualsivoglia presenza umana e dunque connotate da una certa atmosfera fantasmatica. Le immagini di Vera Lutter suscitano lo stesso effetto, accresciuto dal fatto che il procedimento di impressione tramite camera oscura porta a ottenere per sua natura dei negativi, che sono destinati a rimanere tali. Ne risultano vedute notturne e monumentali, in cui scheletri di edifici industriali mastodontici si stagliano contro il cielo nerissimo, e ogni presenza di vita non ha avuto il tempo e l’opportunità di eternarsi nell’immagine. “Vera Lutter – commenta ancora Zanot – si oppone alla logica della cattura di un istante che caratterizza la maggior parte della fotografia degli ultimi cent’anni, il cosiddetto momento decisivo, in favore di tutto quello che resta e permane, che resiste ancora e ancora. Quello che vediamo in queste immagini è come se avesse passato la prova del tempo”. Cavi, intelaiature metalliche, volumi massicci di cemento armato assemblano di volta in volta l’anatomia oltreumana e rifulgente di luce del più grande edificio di mattoni d’Europa (Battersea Power Station, II, July 3, 2004), della parabola di un radiotelescopio (Radio Telescope, Effelsberg, XII: September 9, 2013), di una macchina escavatrice colossale (Rheinbraun, XI: August 31, 2006). Nella serie West 39th Street (2011-2012), l’artista assiste e documenta l’avanzamento dei lavori del cantiere di un edificio posto esattamente di fronte alla finestra del suo atelier. In un altro caso, lo spettro evanescente di uno Zeppelin fluttua in un gigantesco hangar del sud della Germania: il dirigibile è stato spostato fuori e dentro la struttura durante i quattro giorni di posa, e questo ha comportato la parziale “evaporazione” dei suoi volumi (Zeppelin, Friedrichshafen, V: August 23-27, 1999).

Vera Lutter, Pepsi Cola Interior, XXIII: July 1–31, 2003, 225 x 284 cm | Courtesy of the artist. © Vera Lutter by SIAE 2024

In altri casi, da puro atto di contemplazione di maestose creature industriali lo sguardo di Vera Lutter si trasforma in sottile riflessione metalinguistica, come in Pepsi Cola, Long Island City, IV: May 19, 1998, in cui l’insegna del noto brand è immortalata dal retro così che nel negativo la scritta può essere letta nel verso giusto, attraverso l’impalcatura metallica che la sostiene e che scandisce ortogonalmente l’immagine, a contrasto con le linee mosse del logo; oppure in Pepsi Cola Interior, XXIII: July 1-31, 2003, che mostra l’interno abbandonato di un gigantesco capannone in cui sono posizionati due specchi posti in tralice, che creano un effetto di moltiplicazione prismatica delle linee di fuga. È nello squallore dei rifiuti abbandonati, così come nella vacua vastità della struttura, che Vera Lutter coglie un grado di insospettabile bellezza, lo spettacolo del vano e dell’infimo: è anche in questa accezione che va inteso il titolo della mostra. L’installazione che chiude il percorso espositivo, dal titolo Folding Four in One (2009), è un ulteriore dispositivo di contemplazione sviluppato stavolta nelle tre dimensioni. In questo caso l’artista si è posizionata sulla torre dell’orologio di un vecchio magazzino di Brooklyn, connotato dalla presenza di ben quattro finestre-orologi rivolte verso i punti cardinali, e ha prodotto una quadrupla veduta urbana; le quattro immagini, tradotte stavolta in positivo mediante un processo di sviluppo appositamente concepito da un laboratorio di fotografia di New York, sono riprodotte su supporti che ammettono un certo grado di trasparenza e sono state installate in mostra secondo una disposizione fedele a quella reale. Ciò consente al visitatore di fruire in prima persona di quella originaria esperienza percettiva, pur senza accedere al sacello sacro e inviolabile della camera oscura, là dove si scolpisce l’immagine.

Cover: Vera Lutter, Zeppelin, Friedrichshafen, V: August 23–27, 1999, 142 x 210 cm | Courtesy of the artist. © Vera Lutter by SIAE 2024.

Vera Lutter. Spectacular, exhibition view | © Fondazione MAST
Vera Lutter, Radio Telescope, Effelsberg, XII: September 9, 2013, 240 x 210 cm | Courtesy of the artist. © Vera Lutter by SIAE 2024