Con l’inaugurazione della 59esima Biennale Arte, Venezia ha riaperto le porte di tutte le sedi espositive in città, come sempre forse anche di più, considerando i tre anni di attesa trascorsi dall’ultima edizione. Oltre alle mostre e gli allestimenti dell’Arsenale e dei Giardini, moltissime sono le installazioni e le esposizioni che si incontrano in giro per la città, che ospitano artisti giovani ed emergenti ma anche ad alcuni dei più grandi nomi del panorama contemporaneo.
Nel cuore della città, il sestriere di San Polo ospita la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, la più antica delle scuole veneziane ancora in uso: è questa la magnifica sede scelta per l’attesa mostra di Ugo Rondinone, Burn, Shine, Fly. L’artista svizzero, che vive attualmente a New York, si inserisce in uno spazio già fortemente caratterizzato, con delle opere che incuriosiscono i visitatori amplificandone la bellezza.
La mostra, curata da Javier Molins e realizzata grazie al supporto di sei importanti gallerie – Galerie Eva Presenhuber (Zurigo), Esther Schipper (Berlino), Sadie Coles Hq (Londra), Gladstone (New York), Kamel Mennour (Parigi), Kukje Gallery (Seoul) – presenta tre imponenti opere una delle quali tra le più note dell’artista, the Sun, e due realizzate appositamente per la mostra, human clouds, e still life.
Camminando per la Calle del Magazen e arrivando davanti al decorato portale del setto si intravede il monumentale sole dorato che dialoga magnificamente con lo spazio del campiello in cui è installato trova: una scultura alta circa cinque metri, costituita da rami d’albero fusi in bronzo e dorati dall’artista.
Come suggerisce il titolo, the sun (2017), Rondinone presenta un simbolo del sole che oltre a essere un mezzo di scoperta e ricerca per le potenzialità della scultura, rappresenta anche una celebrazione della vita, come fonte di luce per tutti gli esseri viventi sulla terra.
Entrando nello spazio della chiesa, si incontra l’opera forse più spettacolare delle tre, human clouds (2022): sette sagome umane che sembrano danzare sospese nell’aria (i calchi sono per l’appunto da corpi di ballerini), fatte di terra mescolata a cera trasparente e poi dipinte con i colori del cielo e delle nuvole. Un movimento percepito ma indecifrabile che solleva una riflessione sui misteri della vita e dell’esistenza del mondo.
Nella sala attigua alla chiesa, le candele dell’opera still.life. proseguono in maniera discendente il movimento dei corpi danzanti. Dall’alto delle volte lo sguardo scende a livello del pavimento che ospita una lunga serie di candele fissate con il piombo: un elemento che rinforza la solidità di un’esistenza effimera, quella della candela, destinata a scomparire. La bellezza di questa installazione è data dal rapporto tra la dimensione dei ceri, la loro disposizione e lo spazio del pavimento, che crea un’interessante illusione di distanza tra l’osservatore e le candele stesse, come se si osservassero degli oggetti lontani piuttosto che di dimensioni ridotte.
Le tre sculture di burn, shine fly, come espresso dall’artista, vogliono generare una versione contemporanea di sublime, dalla piccola candela, al sole totalizzante, al “matrimonio stellare dei corpi terrestri con un cielo d’aria e acqua”.