Valentina Furian | Mi aspetto sempre che diventi vulcano

Mi aspetto sempre che diventi vulcano, performance realizzata da Valentina Furian il 22 settembre nell'ambito del progetto Artificare, è la metamorfosi aperta delle nostre aspettative.
8 Ottobre 2017

“Ho lavorato ai piedi di una montagna dalla forma peculiare: due cuspidi ne tracciano la cima, è il Monte Summano.
Mi aspetto che dietro a quelle cuspidi sia nascosto un cratere, mi aspetto che un giorno si trasformi in un vulcano.
Ho lavorato nell’azienda Ugolini, entrando in officina l’odore è fortissimo, il rumore assordante, c’è un brulicare
di persone ancora sconosciute. Tutto questo mi riporta all’interno di un altro vulcano: quello mitologico di Efesto,
il dio della metallurgia, l’artefice supremo, chiamato Vulcano nella mitologia romana”

Tra i miti d’oggi, meglio quelli di ieri. Il mito è una «storia non vera», così ben costruita da apparirci plausibile e degna di considerazione. È lo strumento della giustificazione o una colta referenza con cui sostenere modelli di comportamento. Allora Vulcano è un’iconografia riconoscibile: un profilo di montagna a due gobbe pronto a schizzare grandi quantità di detriti incandescenti, per intenderci; ma è anche il dio romano delle fucine, l’artefice calmo e zoppo di cui si scongiura l’ira distruttiva. E se la prima immagine è un’impropria attribuzione al monte Summano, l’accostamento della seconda alla azienda metalmeccanica Ugolini (che sotto il monte vicentino ha la sua sede) non pare azzardato, anzi.

Mi aspetto sempre che diventi vulcano innesca un’intuizione, quella di un parallelismo tra il mito greco e latino del dio Efesto/Vulcano (figlio di Era e Zeus, catapultato nell’Oceano per la sua bruttezza, zoppo per la caduta e introdotto all’arte della forgiatura dalla nereide Teti) e i ritmi della produzione dell’industria metallurgica, la sua gerarchia, le sue fasi di lavoro, i suoi rumori, la sua estetica, i suoi prodotti. Che poi è quello che significa Artificare, il progetto entro cui si inserisce il lavoro della Furian, nato dalla collaborazione di Ca’ Foscari e IUAV con l’intento di attivare i processi ideativi e le logiche proprie della produzione artistica nelle aziende.

Valentina Furian, Mi aspetto sempre che diventi vulcano, 2017 - Foto Matilde Cassarini

Valentina Furian, Mi aspetto sempre che diventi vulcano, 2017 – Foto Matilde Cassarini

E infatti: nello spazio algido di un capannone non ancora occupato dalle attività della fabbrica, si innesca l’aspettativa, appare il vulcano, si consuma una narrazione composita, tanto mitologica quanto allusiva del lavoro nella fucina industriale. Un Efesto contemporaneo zoppica nello spazio attivando tre dimensioni – cratere, terra ed Olimpo – e costruendo il parallelismo con la realtà della fabbrica attraverso gli strumenti che appartengono al suo lavoro: una grata e una scala suggeriscono l’accesso al cratere, luogo dei saldatori, spazio per il bacino magmatico; l’aula del capanno è il calpestio terrestre, livello per il collaudo dei macchinari e dimensione umana (unica ad essere fruita dallo spettatore); un trabattello conduce all’Olimpo, luogo dei futuri uffici dell’azienda, posizione di controllo dell’intera gerarchia.

Il buio uniforma l’installazione ambientale ed è smorzato dalla sola torcia frontale indosso al dio e da un sistema elettrico stagno, posizionato alla base di una vasca di metallo riempita di acqua e anti-schiuma. Una composizione greve, metallica e continua (studiata da Matteo Polato per essere un paesaggio sonoro a tre canali) accompagna gli spostamenti e asseconda la climax delle azioni e la risalita del performer all’Olimpo, dove accendendosi una sigaretta diventa esso stesso vulcano: la bocca è il cratere e la montagna il suo corpo.

Certo dei trenta minuti di azione rimane una documentazione fedele ed eternizzata: l’happening non si esaurisce e il tempo gode della sua interpretazione quantistica nel video. Quel mezzo che garantisce la costruzione di scenari, la stasi del tempo, la forza espressiva del montaggio.

Comunque l’estetica è quella del segno (e pure un po’ del sogno) puro, della costruzione di immagini iconiche, dell’allusione a ulteriori mitologie che astraggono quella di partenza. E come potrebbe essere diversamente quando l’ambizione, ben riuscita, della Furian è quella di approfondire spazi fisici e percettivi distanti, nei cui fertili interstizi si confondono realtà e finzione.

Soprattutto qua, artificare, sarà un successo.

Mi aspetto sempre che diventi vulcano, 2017
installazione | performance
suono Matteo Polato
performer Michael Agyeman
in collaborazione con Ugolini srl

Valentina Furian, Mi aspetto sempre che diventi vulcano, 2017 - Foto Daniele Costa e Giulio Favotto

Valentina Furian, Mi aspetto sempre che diventi vulcano, 2017 – Foto Daniele Costa e Giulio Favotto

Valentina Furian, Mi aspetto sempre che diventi vulcano, 2017 - Foto Like Agency - Biagio Camiggio

Valentina Furian, Mi aspetto sempre che diventi vulcano, 2017 – Foto Like Agency – Biagio Camiggio

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