Con il titolo “Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries”, la 23ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano si incardina sulla mostra tematica Unknown Unknowns a cura di Ersilia Vaudo, astrofisica e Chief Diversity Officer dell’Agenzia Spaziale europea. La mostra intende porsi come piattaforma discorsiva su ciò che “non sappiamo di non sapere” in ogni ambito: dall’aspetto ambientale al futuro delle città nello spazio, dalla genetica all’astrofisica, e genera un’esperienza composta da più di cento opere e progetti di designer, architetti, artisti, drammaturghi e musicisti che, coralmente, affrontano il tema dell’ignoto.
In comune accordo con La tradizione del nuovo, mostra del padiglione italiano a cura di Marco Sammicheli, Unknown Unknowns intende affrontare e problematizzare alcuni agenti del progetto come la gravità o la ricerca come strategia del futuro dell’architettura, con particolare riferimento al mondo extraterrestre. L’ignoto appare quindi manifesto e quasi classificabile attraverso le forti polarizzazioni della mostra: dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo, dalla fisica all’arte, dalla terra allo spazio, dalla luce al buio, dal passato al futuro. L’allestimento è di Space Caviar su direzione di Joseph Grima e Sofia Pia Belenky e nasce dal riutilizzo di materiali di scarto dell’industria agroalimentare stampati in 3D da WASP.
Di particolare rilevanza il contributo di Francis Kéré, vincitore del Pritzker Architecture Prize 2022, che ha curato l’allestimento degli spazi comuni di Triennale e le installazioni dei padiglioni africani. Oltre alla torre alta 12 metri posta all’ingresso del Palazzo dell’Arte, al centro della sezione delle partecipazioni internazionali l’architetto presenta Yesterday’s Tomorrow, installazione profondamente immersiva che interpreta l’architettura del Burkina Faso.
La Fondation Cartier pour l’art contemporain partecipa infine con la bellissima mostra Mondo reale a cura di Hervé Chandès, direttore artistico della fondazione, che espone 17 interpretazioni artistiche dell’ignoto quotidiano, allestite da Formafantasma.
Nell’affrontare il padiglione centrale di questa edizione, giusto riportare le parole di Stefano Boeri, presidente di Triennale: “Nel costruire questa mostra si cercano domande, non risposte, prendendo consapevolezza dello straordinario ignoto”. E ancora: “Quello che non sappiamo di non sapere non è la constatazione di un limite, ma la percezione di una forma di conoscenza che rispetta l’ignoto, a volte abbracciandolo, a volte attraversandolo, a volte eludendolo. Ma sempre accettandolo come presenza costante della nostra vita”.
Come convive la società contemporanea con l’ignoto? Che funzione si attribuisce al dubbio? La genesi della filosofia del dubbio risale già all’antico mondo greco, quando era la maieutica socratica il metodo di ricerca della verità, e si presentava come un costante esercizio dialogico del dubbio. Insomma, permettersi il dubbio rende liberi. Lo stesso riscontra la filosofia scolastica, cinquecento anni dopo: il dubbio è un passaggio obbligato per raggiungere la verità, anzi è l’espressione stessa della verità.
Nasce così un elogio del dubbio filosofico che contagerà, nei secoli, anche la filosofia della scienza. Lo stesso “io penso” cartesiano è a onor del vero un “io dubito”, dato che la stessa azione dubitatrice impone di coinvolgere un soggetto che sta pensando qualcosa, e quindi lo sta anche pesando, valutando. Lo stesso metodo seguirà anche l’empirista inglese David Hume nella sua analisi critica del principio di causalità, per arrivare all’epistemologia di Karl Popper della scienza come universo delle ipotesi.
La mostra curata da Vaudo si dimostra un vero e proprio campo d’esercizio di questa consapevolezza filosofica. E lo fa da un lato stabilendo certe relazioni, solo di primo acchito inconciliabili, e dall’altro problematizzando la vera natura delle cose. La stessa gravità, al centro dell’attenzione dei più importanti progettisti italiani della Tradizione del nuovo, qui stabilisce un nesso tra un’opera fotografica di Bruce Nauman, un lavoro di modellazione di Bosco Sodi ma anche il fenomeno dei meteoriti, che nella mitologia dei Nativi americani erano i visitatori del cielo. Proprio il tema dello spazio, cioè dell’infinitamente grande, ben si racconta in mostra attraverso le immagini della sonda Rosetta, che dopo 10 anni di viaggio incontra e fotografa una cometa. E poco più avanti, una serie di progetti indagano, mediante elementi di modellistica e video, le possibilità che l’uomo ha per la sopravvivenza oltre il pianeta Terra. Ani Liu arriva ad immaginare dei veri e propri gettoni sensoriali, ovvero capsule di profumo della Terra a rilascio prolungato, con l’intento di stimolare la memoria terrestre attraverso l’olfatto. Nel mentre, forte della sua esperienza di consulente cinematografico, Kostantin Tsiolkovsky immagina e disegna i possibili modi di viaggiare e abitare lo spazio remoto.
Il nesso tra infinitamente grande e infinitamente piccolo è svolto dall’installazione di Tomàs Saraceno, una vera e propria combinazione di luce e aria, dove un raggio di luce rende manifesti gli infiniti granelli di polvere che affollano lo spazio. Le particelle si muovono attraverso correnti d’aria, urti, calore ma anche energia elettrostatica, generando un vero e proprio microcosmo invisibile fatto di suoni inudibili ed equilibri energetici. Tanto si avvicina a quel visore di raggi cosmici pochi passi più avanti, mentre Julijonas Urbonas studia dopo una residenza a CERN le caratteristiche dei superconduttori per creare abiti in grado di levitare se inseriti in un campo magnetico. Di particolare interesse, infine, le Listening Chambers, ovvero capsule narrative dove è l’elemento uditivo a caratterizzare l’esperienza di visita attraverso le parole di Antonio Damasio, Carlo Rovelli, Telmo Pievani e Lisa Randall.
Unknown Unknows regala tante suggestioni. Prima fra tutte l’impossibilità pratica della conoscenza assoluta del reale, e quindi una rassegnazione all’incosapevolezza. Ma anche l’importanza e il ruolo chiarificatore della matematica, vera e propria traccia di accessibilità per definire il mondo da Galileo ad Albert Einstein. Per citare l’epistemologo Alan Chalmers, la scienza potrà un giorno descrivere tutto. In potenza, il mondo è scientificamente concludibile: attraverso la matematica, si potrà non solo creare un’altra realtà, ma soprattutto avere un’ipotesi complessiva del sapere. Ipotesi teleologica da sempre e per tutti ricca di splendore e di fascino.