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Un progetto site-specific a Sesto al Reghena | Intervista a Edoardo Monti

Nel quadro del progetto Tèste | Testé, gli interventi di cinque artisti dialogano da vicino con il patrimonio storico, artistico e paesaggistico del Comune in provincia di Pordenone.
Enej Gala, Segnali Ovvi, 2025, legno, dimensioni variabili, Prati Burovich | foto Andrea Pavan

Il Comune di Sesto al Reghena, in provincia di Pordenone, dallo scorso giugno è protagonista di un progetto di arte contemporanea site-specific dal titolo Tèste | Testé, curato da Palazzo Monti. Cinque artisti – Nicola Facchini, Enej Gala, Andrea Noviello, Barbara Prenka e Cosimo Vella – hanno instaurato uno stretto dialogo con il patrimonio storico, artistico e paesaggistico della zona e con la comunità locale, che sarà coinvolta in attività collaterali, workshop e incontri. Il percorso si diparte dall’Abbazia di Santa Maria in Silvis e prosegue lungo gli itinerari de Le Vie dell’Abbazia, attraverso i Prati della Madonna e i Prati Burovich, la Chiesetta di San Pietro a Versiola, il borgo di Ramuscello Vecchia e i Mulini di Stalis. Abbiamo fatto qualche domanda a Edoardo Monti, curatore di Palazzo Monti e del progetto Tèste | Téste.

Giulia Giacomelli: Il progetto Tèste | Testé propone una relazione dichiarata tra arte, territorio e comunità, inserendosi in un contesto rurale e storicamente denso come quello di Sesto al Reghena. Tuttavia, nei progetti d’arte pubblica, il rischio di interventi percepiti come “calati dall’alto” è sempre presente, specialmente quando gli artisti provengono da fuori e portano con sé linguaggi contemporanei non sempre immediatamente leggibili dalla popolazione locale. Come si bilancia, nel tuo lavoro curatoriale, l’identità di un territorio con l’autonomia del gesto artistico?

Edoardo Monti: Il bilanciamento tra identità del territorio e autonomia del gesto artistico è, per noi, un atto di ascolto reciproco. In Tèste | Testé questo dialogo è stato alla base di ogni scelta: da una parte il rispetto per un contesto rurale e storicamente stratificato come Sesto al Reghena, dall’altra la necessità di non sacrificare la potenza e la complessità del linguaggio artistico contemporaneo. Non abbiamo cercato una facile adesione ai gusti locali, ma nemmeno imposto visioni estranee. Gli artisti sono stati invitati a vivere i luoghi, a conoscerli, a farsene attraversare. Il risultato sono opere che non mimetizzano, ma nemmeno invadono: parlano al territorio, con il territorio, e attraverso di esso trovano nuove forme di leggibilità.

GG: Le opere sembrano gravitare attorno a temi come la fragilità, la transitorietà della memoria, il silenzio e l’ascolto: dalla stufa “inutile” di Nicola Facchini (Stùfis di essi stùis) al nido di Barbara Prenka (Covato), fino ai segnali di Enej Gala (Segnali ovvi), alla performance di Andrea Noviello (Monumento) o ai bassorilievi “effimeri” di Cosimo Vella (Se non cambierà bloccheremo la città). Si percepisce una tensione condivisa verso forme artistiche sottili, quasi invisibili, che sfuggono all’impatto visivo e si affidano invece al gesto minimo. Che tipo di narrazione corale volevi emergesse da questa pluralità di linguaggi? E che immagine di futuro lascia, secondo te, al visitatore?

EM: La narrazione che volevamo costruire è fatta di gesti minimi, poetici, fragili. Non ci interessava l’opera “iconica” ma quella che si deposita nel paesaggio come una memoria, una domanda, un invito al rallentamento. In questo senso, tutte le opere – dal nido di Barbara Prenka alla stufa “inutile” di Nicola Facchini, fino ai segnali filosofici di Enej Gala – condividono una tensione verso l’invisibile, verso una bellezza non urlata. Il futuro che immaginiamo è fatto di relazioni delicate, di sguardi attenti, di cittadinanza sensibile. Tèste | Testé lascia al visitatore l’immagine di un tempo più lento e di una possibilità: che l’arte possa ancora essere uno strumento di attenzione, di cura e di ascolto.

Nicola Facchini, Stùfis di essi stùis, 2025, legno, dimensioni variabili, Prati della Madonna | foto Andrea Pavan

GG: Il concetto di “comunità” è centrale nel discorso contemporaneo sull’arte pubblica e partecipativa, ma porta con sé anche diverse ambiguità: può diventare una parola rassicurante se non ci si interroga su chi ne fa davvero parte, su quali soggettività rappresenta e su quali invece esclude. In un progetto come Tèste | Testé, che si inserisce in un contesto fortemente identitario e rurale, come hai affrontato questa complessità? In che modo la curatela ha cercato di tradurre l’idea di comunità da concetto astratto a pratica concreta, capace di generare relazioni reali, anche conflittuali se necessario? E fino a che punto ritieni che sia possibile – o desiderabile – che il curatore diventi un facilitatore dei processi collettivi?

EM: Nel nostro approccio curatoriale, “comunità” non è una parola comoda o retorica. È una realtà plurale, stratificata, talvolta anche conflittuale. In Tèste | Testé abbiamo cercato di tradurre questo concetto in pratiche reali: incontri, workshop, momenti di condivisione, letture pubbliche delle schede migranti. Non volevamo parlare “alla” comunità ma con la comunità. Credo che il curatore, oggi, non possa più essere solo un selezionatore di artisti o un garante di coerenza estetica. Deve essere anche un attivatore di contesti, un mediatore, un interprete. Non si tratta di abdicare alla propria visione, ma di allargarla, contaminarla, lasciarla mettere in discussione. In questo senso, sì: il curatore come facilitatore non è solo possibile, ma necessario.

GG: Il titolo Tèste | Testé evoca un’ambivalenza tra la “testa” – come luogo del pensiero, della visione, dell’immaginazione – e il “testimone”, colui che osserva, ricorda, prende parola. In questa doppia direzione, il progetto sembra interrogare il ruolo dell’arte contemporanea come atto di consapevolezza e presa di posizione. Nella tua visione curatoriale – anche in relazione all’esperienza di Palazzo Monti che stai portando avanti – cosa significa oggi essere “testimoni” attraverso l’arte? E come si declina questa idea in territori come Sesto al Reghena, dove il paesaggio è segnato da una densa stratificazione storica e culturale?  

EM: Essere testimoni, oggi, significa assumersi una responsabilità: quella di ricordare, di osservare con attenzione, di lasciare tracce. Il titolo Tèste | Testé gioca su questa ambivalenza tra pensiero e memoria, tra visione e parola. L’arte, in questo progetto, si fa testimone di una condizione umana universale ma anche di specifiche storie locali: l’emigrazione, la protesta agricola, la spiritualità contadina, l’identità paesaggistica. A Sesto al Reghena, dove ogni sentiero racconta un frammento di storia, essere testimoni significa inserirsi con rispetto in questa stratificazione, ma anche osare una rilettura, una deviazione. Il nostro compito, come curatori e artisti, è quello di accompagnare questo passaggio: da spettatori a testimoni attivi di un tempo che cambia, e di un territorio che vuole essere narrato in modi nuovi.

Cover: Barbara Prenka, Covato, 2025, ferro e paglia, dimensioni variabili, Chiesetta di San Pietro | foto Andrea Pavan

Cosimo Vella, Se non cambierà bloccheremo la città, 2025, sabbia e gesso, dimensioni variabili, Mulini di Stalis | foto Andrea Pavan
Andrea Noviello, Monumento, 2025, carta e semi di fiori, dimensioni variabili, Ramuscello Vecchia | foto Andrea Pavan